Memorie del sottosuolo, ovvero gli angeli caduti di Kiefer a Firenze

La mostra Fallen Angels di Anselm Kiefer, attualmente in corso a Palazzo Strozzi a Firenze, non è di agevole comprensione. Curata da Arturo Galansino, direttore della Fondazione, è stata inaugurata il 22 marzo e terminerà il 21 luglio. L’allestimento occupa la corte interna del palazzo e il piano nobile, con opere polimateriche che mischiano oggetti e lavorazioni diverse in cui in primo piano è sempre il processo o l’avvenuta trasformazione. Raccontare una mostra di questo tipo richiede di addentrarsi nell’immaginario di Kiefer e, come sostenuto da Maurizio Ferraris in un saggio dedicato a questa esposizione, The Artist as a Critic, trasformare l’onniscienza e la dominanza del critico in un lavoro da detective in cui si trovano indizi per capire a tutto tondo la personalità dell’artista a partire dalle sue opere. 

Anselm Kiefer, ph Ludovica Arcero, SayWho

La carriera di Anselm Kiefer (1945, Donaueschingen), parte dagli studi di giurisprudenza e delle lingue romanze, e si snoda nell’Accademia con cui arriva ad affrontare la problematica storia del suo paese a partire dal Terzo Reich in un confronto perenne con la Germania del Secondo Dopoguerra. Lavorando con tecniche e materiali legati alla scienza e all’alchimia come il piombo, le piante, la xilografia e i tessuti, Kiefer cerca di unire il fisico allo spirituale, legando questo studio alla mitologia classica, alla filosofia antica e contemporanea, alla storia e alla religione, con particolare interesse verso la teologia cristiana e il misticismo ebraico. La sua produzione è spesso affiancata alla letteratura, tramite la scrittura presente sulle sue tele, così come il tema del viaggio che lo porta a introdurre una riflessione sul rapporto tra oriente e occidente, dopo essere stato in India, America e Nord Africa, tramite la creazione di strutture che rimandano all’architettura mesopotamica e che diventano sensazionali installazioni o innesti di statue umanoidi. 

©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Fallen Angels racconta di angeli caduti, esseri che sono diventati carne e tridimensionalità dopo aver disatteso le linee guida dell’energia o della divinità suprema; la mostra svela la capacità distruttiva e rigeneratrice dell’uomo, della trasformazione della materia, dei rituali di purificazione dalla corruzione dell’esistenza e di come questa stessa corruzione provocata dalla malattia e dalle sostanze nocive sia fonte di meraviglia, inscritta sempre nel tunnel della temporaneità. Niente è eterno, nemmeno per gli angeli che si trovano nei più alti cieli dell’Empireo. Tutto è trasformazione, mutazione, cambiamento raccontato in ogni suo aspetto: dall’interiorità per raggiungere la trascendenza, alla fisicità che cambia per protezione o punizione, al travestimento – anch’esso cambiamento, seppur momentaneo – con cui si riflette sull’oscuro riflesso di un nero sole. 

Engelssturz (2022-2023), l’opera creata da Kiefer appositamente per Palazzo Strozzi, rappresenta la sconfitta di Lucifero e degli angeli al suo seguito per mano dell’Arcangelo Michele. l’artista vuole creare un allestimento che sia sempre in connessione con il luogo in cui le opere vengono esposte. Le stratificazioni che questa intenzione può creare sono infinite, specie in un luogo permeato da tanta storia qual è uno dei palazzi simbolo della ricchezza e della potenza della città rinascimentale. E’ presente un rimando alla fastosità artistica di Firenze nella ricerca di uno stile baroccheggiante per la figura di San Michele, il cui modello è l’omonima opera di Luca Giordano, artista napoletano seicentesco ampiamente apprezzato dalla stessa famiglia Medici che gli commissionò uno dei più importanti e meravigliosi affreschi di Palazzo Medici Riccardi L’Apoteosi della Dinastia Medici (1682-1685). Il Barocco è lo stile dei pieni e dei vuoti, della perfetta sinergia degli opposti necessari affinché si creino ritmo e movimento. Michele caccia gli angeli ribelli che ormai sono diventati carne e ossa e di cui possiamo vedere i volti e le vesti lacerate. È il tema che ci accoglie e che ci accompagna anche nella prima sala del piano nobile: la necessità di cacciare il corrotto per far spazio all’inizio del vero cammino di Salvezza. 

Scaturisce da qui la necessità di essere un vero uomo del Rinascimento che, attraverso la filosofia neoplatonica di Ficino e Pico della Mirandola, giunge a unire religione e alchimia, paganesimo e scienza, per costruire opere che parlino al presente, pur restando ancorate a una tradizione artistica e filosofica antica. 

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A fare da sfondo a Engelssturz c’è l’oro, materiale alchemico e trascendente. Estratto sulla terra dalle sue profondità, viene utilizzato per rappresentare l’invedibile, la divinità la cui essenza e forma non è umanamente concepibile, se non fallata da simboli imperfetti che appartengono al reame del conosciuto umano. L’aspetto del divino, dunque, già in epoca medievale si trasferisce alla trascendenza data dalla foglia d’oro, materiale riflettente, fonte di luce e movimento. Questo metallo, continua Kiefer, non viene dal pianeta Terra, ma nasce dalla collisione di due stelle di neutroni,. È una “reliquia di soli morenti”  arrivata sulla terra tramite meteoriti schiantatesi al suolo. La luce e il suo legame con le stelle, in particolare con il Sole, percorre tutto l’allestimento: la prima che vediamo è quella di Michele, poi in Luzifer (2012-2023), dove il portatore di luce subisce la sua trasformazione in principe delle tenebre; la dicotomia tra Lucifero e Michele è rappresentata dall’ala di un aereo da guerra che si inserisce brutalmente sul fondo della tela. Le ali dell’arcangelo sono quelle donate direttamente da Dio, le ali dell’aereo rappresentano la capacità dell’uomo di sfidare i limiti fisici imposti dalla sua natura, la sua ambizione e l’avventatezza nell’andare oltre quanto da Dio gli è stato donato. Lucifero, come un Icaro divino o una stella cadente (non a caso, sotto l’Impero Romano era la divinità associata alla stella del mattino) precipita e dà inizio al mondo, creando una frattura tra bene e male. 

Il sole fa un viaggio da simbolo di conoscenza a simbolo di crudeltà e accecamento; il serpente passa da simbolo del maligno a conoscenza primordiale proveniente dalla Grande Madre delle profondità della terra. È il viaggio delle stelle dal firmamento all’Inferno, e degli animali del sottosuolo dalla malvagità alla loro natura primordiale. A fare da contraltare a Engelssturz nel cortile di Palazzo Strozzi, infatti, la mostra termina con il “sole nero” di Heroische Sinnbilder (2009): si torna alle radici dell’opera dell’artista, quando, ancora studente all’Accademia di Belle Arti, si fece fotografare durante azioni in varie località. In queste foto, indossando la divisa della Wehrmacht del padre, emula il saluto nazista. Anche il Nazismo scelse il sole come simbolo, ma adesso rappresenta qualcosa di oscuro e malvagio. 

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Sole e stelle sono in contrasto con il serpente, in un continuo scambio di energie che porta alla distruzione tramite trasformazione e lento deperimento. Nella sala dei filosofi, la seconda in ordine di allestimento, questa dicotomia non è ancora visibile e la luce è sempre simbolo di conoscenza, mentre il serpente è relegato nelle profondità della voragine che si è formata dalla sua caduta. La pittura per Kiefer è filosofia e cerca di manifestarlo nel modo più lapalissiano possibile: le tre tele presenti in questa sala rappresentano volti di filosofi antichi che abitano spazi rinascimentali e raffaelleschi. La scuola di Atene (2022) è un diretto omaggio all’affresco vaticano di Raffaello: il realismo aristotelico e l’idealismo platonico si confrontano ancora in un dialogo serrato, insieme ad altre teste distribuite sulla tela, tra cui figura quella di Eraclito. La sua ricerca lo ha condotto a chiedersi quale sia l’origine di tutte le cose. Per il filosofo pre-socratico non c’è dubbio che la sostanza che ha dato inizio al mondo sia il fuoco: leggero, impalpabile, va verso l’alto, dà ed estingue la vita. Come il sole. Dottrina pagana e dottrina cristiana si incontrano nella figura di Maria, con la tela Ave Maria (2022) in cui il collegamento con la temperie rinascimentale si fa forte della presenza dei filosofi antichi in spazi liturgici, come l’architettura che fa da sfondo alle teste dei filosofi. In quest’opera i ritratti dei pre-socratici sono ripetuti due volte intorno a Maria “chiara e pura come il sole”.

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Questo astro, concepito da alcuni come collante che tiene insieme l’universo, e la cui presenza è stata solo richiamata indirettamente, è il protagonista manifesto della terza sala, dedicata a chi di esso ne ha fatto un elemento di culto, chi ha deciso di trasformare se stesso per seguirlo tutta la vita. In Für Antonin Artaud: Helagabale (2023) Kiefer rende omaggio all’opera del grande intellettuale francese Héliogabale, ou l’anarchiste couronné (1934) in cui si evoca il ruolo del sole nei rituali di purificazione e potenziamento. Così come questo astro si manifesta direttamente nell’oro dei fondi, nella presenza dei girasoli, si palesa il suo supposto oppositore: il serpente. Tuttavia, nella religione solare dell’imperatore Eliogabalo si dice che si mirasse a una sintesi di unione degli opposti. Il serpente, per la sua natura sotterranea, è considerato fin dall’antichità un animale misterioso che si connette con il principio femminile che anima il mondo. È la creatura dei mutamenti interni e della trasformazione che porta allo slancio della vita verso l’alto, come il fuoco. Il serpente si muove solitamente ai margini di strade battute dal sole, vive nelle acque che risalgono le profondità terrestri, eppure in SOL INVICTUS Heliogabal (2023) è, insieme al girasole, uno dei protagonisti di questa immensa tela. Come in una gigantesca ed essenziale natura morta, in cui ogni elemento è metafora viva, si avvicinano i poli di congiunzione tra le due sfere opposte dell’esistenza: la luce e il giorno, l’oscurità e la profondità della notte; il maschile e il femminile; il Sole e la Luna, governatrice dei grandi cicli, dei ritmi di nascita e morte. Per questo motivo il serpente non è schiacciato, ma si insinua in mezzo alla tela: nonostante l’unione di pagano e cristiano, si ha una riabilitazione di questo animale che nella tradizione cristiana viene calpestato dall’uomo. 

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È l’animale che sale la scala dell’evasione dalla semplice esistenza materiale per elevarsi non solo alla vita sulla terra, ma anche alla vita ultraterrena, per raggiungere l’unione e la conoscenza divina. In En Sof (2016), si ripercorre questo mito della creazione all’interno di una vetrina – elemento ricorrente nelle opere di Kiefer, il vetro, strumento alchemico creato dal fuoco che plasma la terra, è come una lente che consente di vedere al di là dell’apparenza. Kiefer ci parla delle Sefiroth, le luci increate che vanno a riempire dieci vasi, strumenti di Dio di grande importanza nella Cabala ebraica. Questi dieci principi basilari sarebbero in grado di unificare e dare pienezza al caos della vita umana; e il serpente è lì, a salire questa scala dal basso verso l’alto, animale astuto e intelligente tra tutti quelli creati da Dio nel Vecchio Testamento. Il desiderio è sempre quello di ricongiungersi con la conoscenza suprema che è Dio stesso, inconoscibile nella sua emanazione più pura. Ma il parametro della genuinità e della giustezza delle azioni divine va pian piano ribaltandosi e così come il serpente si eleva a simbolo di conoscenza, il pantheon degli dèi si rivela per la sua natura volubile. Solo Maria, turris eburnea (2017), si rivela ancora degna degli appellativi di purezza e incontaminazione, tant’è che delle tre sculture Die Frauen Der Antike (Le donne dell’antichità) è quella a cui è stata attribuita la presenza di una torre al posto della testa non tanto per rappresentare una trasformazione materiale, quanto per rendere agli occhi dell’uomo la sua natura celestiale. Maria non si nasconde dalla divinità, ma è una torre d’avorio che offre, come parte della divinità, rifugio, diversamente da Daphne (2008-2011) che implora gli dèi di essere trasformata in qualcosa che nasconda la sua bellezza affinché Apollo smetta di inseguirla, e di Nemesis (2017), la dea della vendetta che ha un sasso al posto della testa, quella stessa pietra che ricorda la sfera perfetta che Dürer ha posto ai suoi piedi e quel poliedro troncato che inserisce in una delle sue incisioni più famose Melancolia I (1514). La pietra blocca il passaggio della luce, così come il piombo, altro materiale prediletto da Kiefer.

Il piombo è un altro degli elementi alchemici per eccellenza: a differenza dell’oro, non riflette, ma assorbe la luce e ha proprietà metamorfiche. Ciò che non si trasforma in oro, nelle storie di bramosia di re e avventurieri, ha l’amaro sapore del piombo saturnino. A questo materiale sono legati una serie di spiacevoli conseguenze, non solo la perdita finanziaria, ma, soprattutto quella del senno. Il cosiddetto saturnismo era causato, infatti, dal contatto frequente e ravvicinato con questo materiale che in antichità era tanto usato, quanto, in un passato più recente, amianto ed eternit. Mentre Cynara (2023) e Daphne si nascondono dalle ricerche dei rispettivi dei che le costringono a trasformarsi o le puniscono mutandole in vegetali, ancora avvolte dal bianco e dall’oro del mondo iperuranico, Locus Solus (2019-2023) ci mostra, in una teca, un paesaggio disseminato di denti, una veste e un serpente. In alto, appeso al vetro di copertura, un pezzo di piombo gocciolante. Il materiale è direttamente connesso, e da qui il nome della malattia, al dio Saturno, colui che per i Greci era l’antico Kronos, padre di tutti gli dèi. Saturno è connesso alla bile nera nella scienza rinascimentale, all’umore malinconico e, come ci viene mostrato dall’incisione di Dürer, è proprio nella Malinconia che si trova nuovamente l’unione degli opposti; a una lunga inazione, infatti, nella persona malinconica segue un guizzo di inaspettata e fervida creatività, dimostrata dagli oggetti di cui quell’angelo, in atteggiamento di pensosa stasi, si è circondato: un quadrato magico, una bilancia e, soprattutto, il grande poliedro spezzato, forma instabile e perfetta che unisce il cubo alla piramide, il maschile al femminile. 

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È una trasformazione che non ha inizio né fine, perché noi, come umani, siamo immersi nel groviglio delle maglie del tempo. Tutto ciò che possiamo fare è attendere per cogliere un pizzico di quel cambiamento che nel microcosmo della nostra quotidianità è un tassello di un disegno più grande. Vestrahite Bilder (dipinti irradiati, 1983-2023) è una metafora materializzata di questo mutamento che porta in sé i segni della malattia perenne che rende ciò che contamina affascinante e temporaneamente “meraviglioso”. Come l’uomo guarda con ammirazione all’animo del malinconico che produce con il suo intelletto e il suo tormento opere di mirabile ingegno, così lo spettatore guarda anche ai dipinti irradiati di Kiefer, prodotti in un processo lungo quarant’anni in cui l’artista ha immerso i dipinti in una vasca, sottoponendoli a elettrolisi. Questo processo ha avviato il distaccamento dei legami tra gli elementi chimici che componevano la tela, facendo letteralmente ammalare lo strato di materia che subisce un lento e inesorabile processo di distruzione. Siamo di fronte a un vero e proprio processo di decadimento che avviene costantemente di fronte ai nostri occhi. E’ come osservare il deperimento mentale nel momento in cui la mente viene attaccata dalla follia saturnina. Qui l’uomo diventa davvero misura di tutte le cose e guarda ciò che ha creato esaurirsi in un ciclo di inizio, rottura e, in qualche modo, riparazione. L’elettrolisi, così come il processo di irradiazione “nucleare”, è lo specchio della dissoluzione derivata dalla corruzione e dal mutamento. Kiefer ci aveva avvertiti fin da Engelssturz e Luzifer: nemmeno l’arcangelo Michele si salva definitivamente una volta entrato a contatto con la corruzione, seppur per allontanarla nella lotta. Questi 60 dipinti sono i riflessi delle ultime cose, dove al di là non c’è la sicurezza di un Paradiso o di una nuova Terra. E l’oro, il piombo, la tempera sono semplicemente elementi corruttibili che si innalzano o sprofondano sballottati dall’unica volubilità che conosciamo, quella dell’uomo creatore imperfetto. 

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