Chi è Nil Yalter, Leone d’oro alla carriera alla Biennale 2024

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I Leoni d’oro alla carriera quest’anno andranno all’artista turca, Nil Yalter e all’artista brasiliana Anna Maria Maiolino. Premi voluti da Adriano Pedrosa (curatore della 60. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia) che ha visto in queste due artiste una piena risposta al suo tema “Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere”. E in effetti Nil Yalter è di origine turca, ma è nata al Cairo, si è trasferita poi a Istanbul e infine a Parigi, dove attualmente risiede e Anna Maria Maiolino nata in Italia è emigrata da bambina in Sud America.

Le due vincitrici saranno premiate il giorno dell’inaugurazione della prossima Biennale il 20 aprile a Ca’ Giustinian.

Conosciamo la vita, l’opera e il pensiero di Nil Yalter.

Nil Yalter, Topak Ev [Yurt], 1973, metal structure, felt, sheepskins, leather, text and mixed media, Ø 3 m, © Courtesy santralistanbul Collection

Nata in Egitto da una famiglia turca, Nil Yalter è cresciuta a Istanbul dove ha imparato a dipingere da autodidatta. Nel 1965 si è trasferita a Parigi e qui ha iniziato il suo percorso. Nel corso di quattro decenni, il viaggio artistico di Nil Yalter l’ha portata a piedi in India e in Iran, alle rivolte di sinistra in Medio Oriente, alla ricerca sul campo con donne nomadi nell’Anatolia orientale e ai migranti privi di documenti a Parigi. Il suo lavoro itinerante abbraccia scultura, film, attivismo, media interattivi e pittura.

La vita dell’artista è parte preponderante della sua arte, gli eventi del maggio 1968, il movimento di liberazione delle donne e un altro soggiorno in Turchia nel 1971, dove fu sconvolta dall’insediamento forzato delle popolazioni nomadi, e l’incontro con l’etnologo Bernard Dupaigne furono fonti di ispirazione per il suo lavoro. 

Infatti, per la sua prima mostra personale al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, costruì una tenda da nomade intitolata Topak-ev “la yurta”, dove disegni e scritte sui pannelli esterni spiegavano le condizioni di vita delle popolazioni nomadi in Turchia. In un’intervista l’artista racconta così la sua opera “Ho costruito la struttura in alluminio e l’ho rivestita con feltro e pelle di pecora. Ho dipinto forme astratte sulle pelli e cucito estratti dal romanzo di Yaşar Kemal Il canto dei mille tori, un inno al popolo nomade dell’Anatolia, insieme alla poesia futurista di Velimir Khlebnikov sui popoli itineranti della steppa Kalmyk.”

Nil Yalter, La Femme sans tête ou la Danse du ventre, 1974, vidéo noir et blanc, 24’, Courtesy Nil Yalter

Tra le sue opere più innovative (parliamo del 1974), “La Femme sans tête ou la Danse du ventre” un video concentrato sullo stomaco di una danzatrice del ventre e sulle misteriose scritte che la protagonista traccia su di sé, legando il tema della liberazione sessuale a quello dell’oggettivazione delle donne mediorientali. 

Nello stesso periodo crea La Roquette, jail de femmes, con la pittrice Judy Blum e la videoartista Nicole Croiset. L’installazione multimediale ricrea le esperienze delle donne detenute attraverso i loro racconti. 

Nil Yalter, Harem, 1979, black and white video, 45’, collage with photographs and drawings, 120 x 80 cm

Con Harem, ancora una performance video, utilizza il mezzo in modo più sofisticato. La Roquette presentava inquadrature di labbra in movimento e di mani che ripetutamente passavano e accarezzavano oggetti banali come coperte, brocche o cappotti sullo sfondo del muro della prigione, Harem utilizza la ripetizione all’interno degli schermi con effetti inquietanti. Nella sequenza di apertura Yalter appoggia le mani sullo schermo del monitor, mostrando un primo piano di un occhio femminile, riflesso in due immagini di dimensioni decrescenti. In un altro scatto, l’artista tiene di traverso tra le gambe un monitor su cui appaiono labbra dipinte con denti in un modo che inevitabilmente richiama alla mente il mito della vagina dentata. Visioni frammentate di occhi, labbra, gambe, piedi e seni appaiono prigioniere, confinate nei loro monitor, che sfumano in modo sconcertante, tra realtà e rappresentazione.

Nel corso degli anni Ottanta Nil Yalter ha continuato a lavorare su temi legati agli spostamenti con una serie di lavori sull’immigrazione e sulla classe operaia che riflettevano il suo impegno comunista con Croiset, come Les Métiers de la mer

Qualunque sia la data della loro creazione, le opere di Nil Yalter colpiscono per il suo occhio acuto in sintonia con temi ancora attuali, la condizione delle donne, l’esilio e l’importanza del luogo.

Nil Yalter, Rahime, femme kurde de Turquie, 1979, photographs, drawings, video, variable dimensions

È un esempio il video Rahime, Kurdish Woman from Turkey, che racconta una minoranza, quella curda, ferocemente repressa anche dall’attuale governo turco. L’installazione comprende una serie di disegni, un video di 55 minuti realizzato in collaborazione con Nicole Croiset, fotografie e disegni, che utilizzano anche sottili sfumature di malva, giallo e giada per colorare porte, cuscini, copriletti e mobili e vari pezzi di abbigliamento. Al contrario, le teste e gli arti rimangono vuoti e sfumano sullo sfondo, ugualmente privi di colore. La cosa più sorprendente è che un denso ammasso di strisce di stoffa, tinte di rosso ruggine, sporge dal centro di un insieme fotografico incorniciato. Mescolati con fili strettamente avvolti, questi “stracci insanguinati” alludono al delitto d’onore della figlia di Rahime da parte di uno dei suoi parenti, narrato nel video, ma evocano anche il più ampio interesse di Yalter per la cultura e i rituali nomadi che si fa strada attraverso il suo lavoro.

“Exile Is a Hard Job”, un work in progress iniziato nel 2012 con l’affissione di manifesti sui muri di Valencia accosta video, fotografie e oggetti per costruire un collage sulla vita dei lavoratori migranti affidato al racconto delle donne. L’ artista di origine turca è stata anche protagonista di una delle diciotto mostre che il ministero della cultura d’oltralpe ha organizzato dopo gli attacchi del terrorismo islamista culminati con la strage del Bataclan: 18 esposizioni che hanno sottolineato l’importanza dell’arte nella ricostruzione di un legame pacifico tra culture avvelenate da fondamentalismo religioso e colonialismo.

Il tema ricorrente per la Yalter è il nomadismo. Un non luogo, ma sintesi di tutti i luoghi, attraverso il quale riafferma il significato di un luogo materiale nel caso degli esuli, ma anche l’importanza di un luogo di libertà di gesti e di pensieri, che la società ha il dovere di tutelare per gli uomini e soprattutto per donne.

Per la prima volta alla Biennale, Nil Yalter presenterà una riconfigurazione della sua innovativa installazione “Exile is a hard job”, insieme alla sua opera iconica Topak-ev “la yurta”.

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