Le 5 opere più folli vendute all’asta

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L’arte, per sua definizione, deve reinvetarsi continuamente, sfidare i limiti delle rappresentazioni precedenti con nuovi medium provocatori e, talvolta, davvero “folli”. Le aste poi sono il veicolo privilegiato per la vendita di queste opere, dato che ricercano, quasi per la loro stessa natura, l’evento che catturi l’attenzione di media e critica.

Impossibile non citare, per una breve “menzione d’onore”, la “Merda d’artista” di Piero Manzoni, oppure le recenti trovate di Maurizio Cattelan con “Comedian”, la banana venduta per 120.000 dollari durante Art Basel 2019, e di Banksy che ha venduto nel 2018 una sua opera tritata per di 22 milioni di euro, ma c’è tanto di più sconvolgente. Proviamo dunque ad elaborare una speciale classifica delle 5 opere più folli vendute all’asta…

Grimes: il valore dell’anima

Grimes, compagna dell’imprenditore più noto al mondo, Elon Musk, in occasione della sua prima mostra online “Selling Out” (2020), scelse di mettere in vendita una percentuale della sua anima. Compravendita che ha previsto un vero e proprio documento legale con il quale le parti si impegnano a rispettare l’accordo preso. La mostra è tuttora visitabile online sul sito della “Maccarone Gallery” e sulla piattaforma digitale “Galleryplatform.LA”. La stravolgente esposizione ha permesso al pubblico di conoscere il percorso artistico di Grimes, che si è avvicinata alle arti visive in tempi non sospetti, ben una decina di anni prima di iniziare la carriera da musicista. Le sue illustrazioni sono già state esposte in gallerie e musei, tra cui il Guggenheim di Bilbao. Inoltre, ricordiamo che la cantante canadese ha progettato tutte le copertine dei suoi album.

“Mi sono avvicinata all’arte dieci o dodici anni prima di toccare una tastiera. Mi sento prima di tutto un’artista, ho sempre considerato strano che la gente mi conosca esclusivamente per la musica. Le stampe, i disegni, le fotografie e altre opere sono una continuazione e non un punto di partenza della mia musica” (Grimes)

Attraverso l’esposizione l’artista offre uno scorcio sulla sua personalità, manifestando i vari riferimenti stilistici: dall’immaginario degli anime giapponesi agli artisti comici come Charles Burns e Daniel Clowes. “Selling out” è una retrospettiva capace di infondere consapevolezza nel fruitore-compratore, per avvicinarsi intimamente a Grimes prima di effettuare l’acquisto. Infatti, secondo la cantante, l’operazione appare più provocatoria di quanto sia in realtà, sostiene che un vero e proprio contratto serva solo a formalizzare l’idea che “ogni volta che un’artista vende un pezzo della sua arte, parte dell’anima viene venduta con esso”. 

Come si stabilisce il prezzo di una porzione di anima? La nota gallerista Michele Maccarone, fondatrice della Maccarone Gallery di Los Angeles, ha fornito una risposta criptica, dichiarando che il prezzo è intrinsecamente correlato ai costi di produzione: “Ho valutato il prezzo logicamente, considerando che l’artista in questione è emergente e non ha grossi precedenti in termini di vendite”. Mentre Grimes al tempo dichiarava di voler mettere in vendita la sua anima a 10 milioni, tuttavia “visti i difficili anni vissuti a causa della pandemia” le due donne hanno optato per un’asta alla migliore offerta!

Max Papeschi presenta Oops! I did it again: mi sono venduto la mamma

Vendere l’anima può essere considerato un topos letterario, basti pensare al Faust di Goethe, certamente nessuno prima di Grimes lo aveva messo in pratica, tuttavia potrebbe comunque essere inquadrata come un’operazione artistica di non assoluta novità, ma se invece qualcuno volesse mettere in vendita la propria madre? Potrebbe suonare folle, ma è successo veramente. L’artista italiano Max Papeschi, divenuto famoso grazie ai suoi collages sarcastici e polemici che stravolgono orribili fotografie della storia moderna sostituendo i volti con quelli dei più noti personaggi dei cartoon, ha stupito ancora scegliendo di mettere in vendita la madre. Inizialmente, Giovanna Papeschi non era così convinta. Riflettendoci bene, non molte madri accetterebbero volentieri di essere vendute al miglior offerente dal proprio figlio. Tuttavia, l’opportunità di diventare un’opera ed entrare nella storia dell’arte sembra aver esercitato il suo fascino sulla donna. È così che la signora Papeschi si è ritrovata seduta su una sedia posta su un alto piedistallo, con tanto di cartellino riportante il prezzo, come pezzo di punta della mostra “Oops!…I did it again” (2011), a cura di Igor Zanti, presso la Galleria Rinascimento Contemporaneo di Genova. La donna è stata esposta come un’opera qualsiasi: pronta ad essere al centro di negoziazioni riservate e organizzate al solo scopo di raggiungere l’offerta migliore. È stata la più audace iniziativa di protesta contro il consumismo, la politica internazionale e la guerra mai realizzata dall’artista. Max Papeschi si è superato. Quest’opera rappresenta un passo in avanti che ha spostato la sua linea di ricerca, che traccia con ironia la linea sottile che divide il bene dal male, nella sfera del concettuale oltrepassando la Digital Art e l’utilizzo delle icone dell’universo dell’animazione americana e giapponese. 

Wim Delvoye: solo vera pelle

Wim Delvoye è artista Belga conosciuto per la sua ricerca estrema e provocatoria definito uno degli enfant terrible dell’arte contemporanea. Il suo lavoro iniziò ad avere una risonanza mondiale sin dagli anni ‘90, quando nel 1997 si mise a tatuare i maiali ottenendo presto varie esposizioni negli USA e in Cina, dove ha costruito una cosiddetta Art Farm. Uno scenario distopico che si svolge in una fattoria nella quale anestesisti in camice bianco sedano maiali per poi costringerli a farsi tatuare da professionisti ben pagati. Questi animali aspettano la morte naturale per essere imbalsamati o scuoiati allo scopo di essere venduti come opere d’arte. Possiamo immaginare che l’artista non goda del supporto degli animalisti, ma di questo si tratta.

Non contento, Delvoye realizzò altre macabre creazioni come “Cloaca” (2000): un’opera che riproduce l’apparato digerente umano, dall’inizio alla fine, con tanto di defecazione, che viene poi venduta a cifre incredibili in contenitori trasparenti sottovuoto. Ciò nonostante, la raccapricciante produzione non soddisfò abbastanza l’artista che decise di spingersi oltre passando dalla pelle di maiale a quella umana.

È così che nasce l’opera “Tim 2006-2008”, allestita letteralmente sulla schiena Tim Steiner, tatuata nel giro di un paio d’anni da Matt Powers (esecutore per Wim Delvoye) e già proprietà di un collezionista Rik Reinking, che avrà diritto alla pelle dopo il suo decesso. E qui facciamo un passo indietro e torniamo ai maiali, perché la procedura è esattamente la stessa, tanto più che il tatuaggio di Tim è identico a quello di Silvie (maiale ormai imbalsamato). Al momento della sua morte, l’uomo verrà scuoiato e la sua pelle tatuata sarà esposta incorniciata nel salotto del mecenate o degli eredi.

Vi chiederete se quest’opera sia visibile nei musei. Ebbene sì, Tim Steiner si presta a esporsi periodicamente nelle sedi espositive di tutto il globo, seduto con le spalle rivolte al pubblico, perfettamente immobile per ore. Steiner conobbe Delvoye per caso, perché un’amica, assistente di galleria a Zurigo, gli raccontò di un artista famoso che cercava una schiena da tatuare, eppure mai si sarebbe immaginato di stare seduto su una sedia rossa di velluto dentro il Louvre a Parigi, o al Tinguely Museum di Basilea di fronte a centinaia di persone accorse per vederlo. Quest’uomo ha stravolto la sua quotidianità diventando letteralmente un supporto vivente capace di presenziare immobile per 6 mesi durante un’esposizione al Mona di Hobart, in Australia

Gunther von Hagens: regalami il tuo cadavere e diventerai un’opera d’arte

Dulcis in fundo, troviamo la macabra arte di Gunther von Hagens, anatomopatologo e artista tedesco nato nel 1945, riconosciuto a livello mondiale dal 2004 grazie alla sua mostra itinerante “Body World” (Körperwelten). Più di 13 milioni di persone hanno visitato le sue controverse esposizioni, organizzate in Germania, Giappone, Inghilterra, Corea del Sud, Svizzera, Italia e Belgio.

Hagens, noto anche come “Dottor Morte”, espone dei veri e propri cadaveri. Nel lontano 1977, lo scienziato ha messo a punto un metodo di conservazione delle salme che permette la perfetta conservazione di organi e tessuti attraverso un trattamento chimico. Il nome della procedura è Plastinazione, si tratta della sostituzione dell’acqua che compone le cellule con della plastica. La tecnica permette ai cadaveri di mantenere posizioni realistiche e, quindi, di essere utilizzati per composizioni artistiche. Nelle sue mostre è possibile ammirare corpi così conservati che giocano a dama, a scherma, a pallone, o che vanno a cavallo (o persino in cammello), ma anche donne incinte con il ventre aperto, esposto al pubblico, e in fine atleti con i muscoli in vista sezionati e disposti a piacere. Ogni visitatore, giunto all’uscita delle esposizioni è invitato a firmare un documento con il quale dona il proprio corpo (ovviamente post mortem) all’eccentrico anatomopatologo. Sorprende come siano molti a farlo, ad oggi ben 3.600 persone desiderose di donare il proprio corpo hanno firmato i documenti necessari e sembra che le richieste crescono a ritmo costante, circa di cinque al giorno

Per molti la plastinazione”, afferma il professor von Hagens, “è il modo per secolarizzare la propria sepoltura e attenuare l’angoscia di perdere la vita, attraverso la possibilità di estendere la propria esistenza fisica dopo la morte”.

Naturalmente, le salme sono in vendita alle Università di circa 40 Paesi in tutto il mondo. Il loro costo si aggira intorno ai 75mila euro. Sono state numerose le critiche e le proteste contro l’arte anatomica di von Hagens, accusato di godere del macabro e metterlo in mostra, di non avere rispetto per la morte e per la dignità della persona. Lui rimane fermamente convinto della sua posizione, sostiene di anteporre la divulgazione scientifica alle questioni morali, di avere il merito di aver esposto l’anatomia al di fuori delle sedi accademiche e dei laboratori e ricorda l’assoluta volontarietà delle donazioni. Esistono molte argomentazioni inerenti alla bioetica che potremmo avanzare a riguardo, ma forse non è questa la sede. Vi lasciamo liberi di farvi la vostra opinione e ci limitiamo ad attribuire il primo posto in questa folle sfida a Gunther von Hagens, che senza dubbi ha compiuto il gesto più eclatante e sconcertante mai realizzato in ambito espositivo. 

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