Andrea Bosca,”lo spettacolo è, come la vita, sempre in bilico”

Getting your Trinity Audio player ready...

La stagione del Teatro Stabile d’Abruzzo si è conclusa il 5 aprile, con la commedia Karma di Xavi Moratò, per la regia di Alessandro Maggi con Gaia Aprea e Andrea Bosca. In un luogo dove il tempo è indefinito e il contorno impalpabile, due anime si trovano a condividere sensazioni, dubbi e paure per ciò che sarà il loro futuro. Attraverso uno scambio di idee e supposizioni che avviene tra i i due attori con naturalezza, vicinanza emotiva e profondità di intenzioni, si arriva a capire che le loro anime si sono rincorse in tutte le loro esistenze e che, ogni volta, qualcosa va storto. Perché succede? Perché quel sentimento totalizzante e invincibile che è l’amore pare arrestarsi di fronte ai loro percorsi? E perché sempre nello stesso modo? Il circolo vizioso va interrotto e, il tempo che hanno a disposizione per farlo, è poco, troppo poco per avere la certezza di stare insieme, stare insieme almeno una volta, senza incomprensioni, a cuore leggero e per sempre.

La vicenda scorre veloce, ci arriva, è immediata, efficace. Ci tiene lì, ci rende inevitabilmente parte integrante dell’intero spettacolo. Si crea uno specchio tra noi e i personaggi. Veniamo trasportati in questo luogo non luogo, è inevitabile non calarsi nei loro panni, domandarci cosa proveremmo noi al loro posto. Chiederci se davvero ad ognuno di noi non sia riservata una persona speciale, che ci aspetta, che ci tende la sua mano ed è disposta ad attenderci, a seguirci e a lottare contro tutto e tutti pur di averci. Tutto ciò non è certamente merito solo della fluidità del testo ( tradotto da Alessandro Maggi) ma anche e soprattutto della bravura, della limpidezza, del talento di Andrea Bosca e Gaia Aprea. I due sono connessi, ci rapiscono dall’inizio alla fine. Ci fanno godere di tutte le più disparate emozioni umane, in una pluralità di registri invidiabile. Apparentemente sicura di sé, distaccata e razionale lei, insicuro, tenero e capitato lì per sbaglio, lui. Nel corso della serata le carte in tavola mutano, i caratteri si ribaltano, quando tutto è chiaro, nulla resta come prima. Si crea inevitabilmente un prima e un dopo. L’energia che si libera sul palco è enorme. La fragilità e lo scoramento di lei prendono piede con eloquenza; lui si trasforma e dà sfogo a tutta la caparbietà, alla lotta, alla determinazione, alla volontà di amare e di riuscirci, almeno una volta, per sempre.

Come hai vissuto lo studio di un testo così diverso rispetto a quelli che avevi fatto in precedenza?

Innanzitutto è stato un po’ come tornare alle origini, noi facevamo così con Ronconi e con Avogadro, si prendeva un testo, si intuiva un potenziale che poteva essere forte per i nostri giorni  e poi si leggeva tutto in quella chiave. Allo stesso modo abbiamo fatto con il regista Alessandro Maggi e Gaia Aprea; leggendo il testo abbiamo deciso di privilegiare determinati aspetti. Abbiamo voluto dare vita ad un piano inclinato, di non limitarci alla puntualità delle battute, al battibecco e al modo in cui Xavi Moratò ha scritto, ma di arrivare a rendere lo spettacolo qualcosa per cui quando noi ridiamo la gente piange, quando noi piangiamo la gente ride, qualcosa che è, come nella vita, sempre in bilico, qualcosa di straniante e non soggetta al solo dato naturalistico. Alcune parti del testo le abbiamo rimosse per essere sempre fedeli alla nostra idea iniziale, un’intuizione che io in principio non avevo nemmeno compreso benissimo, per cui mi sentivo un po’ io la prima immagine di karma che all’inizio circolava, quando lo spettacolo doveva ancora essere definito, cioè un corpo vagamente femminile vestito di bianco con una nuvola in testa.

Spiegami meglio la vostra idea iniziale.

Siamo partiti dal fatto che siamo due anime che cercano molto sentitamente di reincarnarsi e hanno a che fare con l’amore, con l’amore incondizionato l’uno per l’altra e con un legame forte. In questa messa in scena io mi sono trovato a dover abbandonare il dato naturalistico del parlarsi uno di fronte all’altra, occhi negli occhi, per accettare invece il gioco teatrale e simbolico dell’aprirsi all’esterno, del parlarsi ascoltandosi col corpo, anche con un comportamento e un modo di fare straniante che permettesse di simboleggiare anche altre cose. Ad un certo punto le due anime hanno delle reminiscenze, all’interno del loro dialogo si inseriscono, come dei ricordi, delle cose di cui loro non sanno bene l’origine, che però li riportano a delle vite vissute durante le quali si sono rincorse nei secoli. E’ qui che subentra il momento, che noi abbiamo chiamato la cechoviana, in cui un oggetto che sta in scena li riporta ad un momento della loro vita ben preciso. Loro nel presente sentono di avere dei forti momenti di deja vu però non sanno come rintracciarlo, perché come abbiamo detto e lo diremo, le anime non si ricordano le loro vite passate, hanno solo una sensazione, una reminescenza.

Credi nella reincarnazione?

Sono figlio di una cultura cristiana e ho incontrato e studiato vari percorsi spirituali: tutti prendono in considerazione un loro tipo di reincarnazione. È un tema che ricorre. Ma io nella realtà  pratica della mia vita ti posso dire che vedo la reincarnazione nei vari cicli che ho attraversato, nei legami e con me stesso. Cioè io nella mia vita ho già vissuto diverse vite, cicli, e ogni volta è stato compierne uno, morire per poi rinascere. Anche nelle storie d’amore che si sono susseguite c’è stato questo schema ciclico e penso che anche chi sta insieme viva dei momenti ciclici che possono determinare la fine della relazione o la sua continuazione,  è un continuo reinventarsi.

Allora lo spettacolo karma è un simbolo, perché parla sicuramente di due anime che devono reincarnarsi, ma parla a tutti noi che tutti i giorni ci reincarniamo, sempre in una versione di noi stessi, ma cambiando degli elementi. In un certo senso tutto deve cambiare perché qualcosa rimanga uguale, come nel Gattopardo:  noi per preservare quel bene assoluto, per preservare quell’amore incondizionato di cui siamo fatti e che noi portiamo nel nostro unico pezzo resiliente che è il dna delle nostre esperienze, in realtà cambiamo continuamente forma e abbiamo reminiscenze. Magari stando con qualcuno reminiscenze di cose fatte con un’altra persona, magari  facendo un lavoro hai un rimando non definito ad una situazione passata.  Io credo a questo, di essermi reincarnato più volte già nella mia stessa vita, figurati in quelle successive, solo che siccome io non ho ricordi, né di quelle passate né di quelle future, quello che posso dire è che mi concentro sul presente, su quello che c’è perché nel piccolo sta il grande, psicologicamente e quindi dal mio punto di vista dico questo: Io mi sono e mi sto reincarnando continuamente in me stesso e devo essere in grado di preservare l’unica cosa che conta che sono i legami. 

A proposito di legami, quali sono gli errori irreparabili in una relazione, sempre che esistano errori irreparabili e che non siano la manifestazione di noi stessi e quindi non si possano chiamare errori.

C’è una domanda che scaturisce dal testo che per noi è stata importante all’inizio, poi ce ne siamo un po’ dimenticati, che invece rimane molto al pubblico attento: perché il mio personaggio che ha fatto certe cose ha determinati punti? Ci siamo dati diverse spiegazioni, qualcuno simpatizzante o praticante buddista dice che la persona che apparentemente ti fa male perché ti rivela le tue mancanze, i tuoi punti deboli, le tue difficoltà, in realtà ti sta facendo un gran servizio, perché ti aiuta a crescere, ti mette di fronte ad una crescita, alla realtà. Questo secondo me è un tema importante. Io posso dirti che nelle mie relazioni, nei miei lavori e in tutto quello che ho fatto, ci sono stati dei momenti che sembrano irreparabili, ma io non mi pento di niente perché mi hanno insegnato qualcosa in quel momento lì, mi hanno messo di fronte a determinate cose, alle mie capacità e alle mie incapacità ed è questo il tema per cui tutti i giorni devo ricordarmi che comunque ho fatto quello che potevo quando potevo e questa è la cosa che non mi fa sentire rimorsi, sicuramente avrei voluto migliorare, voglio migliorare delle cose, perché senza ombra di dubbio c’è un buon margine di miglioramento, però credo che sia la cosa più importante di tutte.

Da un certo punto di vista, se uno riuscisse ad accettare tutto e a darsi completamente, errori irreparabili non ce ne sarebbero, però non è vero questo nella pratica della vita con gli altri, nel senso che si commettono e allora il discorso è che tutti noi pensiamo in fondo di essere buoni e di fare le cose per il bene di noi stessi e degli altri, però non è così; secondo me esistono gli errori e l’irreparabilità, se una cosa è fatta con un principio di ingiustizia o di mancanza di rispetto,  è un errore irreparabile, perché l’idea di irreparabile mi fa pensare alla riparazione. Riparare significa usare il tuo tempo prezioso per mettere a posto qualcosa che è stato rotto. Io non dico che le cose rotte non vadano bene, anzi, vanno benissimo, ma il discorso è “ tu mi stai rubando il tempo per riparare una cosa”. Quindi quello che è irreparabile è il tempo che tu togli ad una persona se le manchi di rispetto nel fare qualcosa perché poi questa persona prima di tornare di nuovo a posto  ci mette un sacco di tempo. Quindi cos’è irreparabile? Mentire quando sai che la cosa è finita. Perdere tempo. Non è dire una cosa dura o metterti di fronte ad una situazione difficile. E’ giocare con il tempo degli altri. 

Ti è mai capitato di conoscere una persona e di pensare di sentire una familiarità insolita come se l’avessi sempre conosciuta?

Sì, mi capita. E’ una cosa a cui sto attento, mi piace pensare che o risuoniamo della stessa energia o abbiamo pezzi di anima in comune. Sicuramente queste sono le cose che poi fanno la differenza tra un avvicinarsi più profondo e anche più duraturo e qualcosa di più superficiale, che poi la superficie non manca di profondità. Bisogna saper leggere le cose. Anche lì il tema più importante è il tempo. Perché puoi fare anche una cosa breve ma super intensa. Quindi sì, il tempo è intensità.  Mi è capitato e mi capita, se lo penso tendo a non dirlo, ma a viverlo e vedere di più, perché oggi come oggi è un po’ abusato “ mi sembra di averti già incontrato “. Nello stesso tempo, se capita, è bello viverlo perché io penso che sia un segno. 

Destino, libero arbitrio o sano equilibrio tra i due?

Io credo che molte delle cose che noi facciamo, le facciamo per degli automatismi e delle superstizioni, per degli archetipi, insomma siamo inconsci per la maggior parte delle nostre cose, anche quando pensiamo di essere consci. Ed è un grande lavoro quello di liberarsi di tutto questo. Lo chiamiamo destino ma in realtà è il nostro carattere, le abitudini, il programma con cui ci siamo formati ed è difficile “sprogrammarsi”. Però è un lavoro che una persona deve fare se vuole crescere, se vuole essere libera e vuole guardare il mondo con una vera profondità. Nonostante tutto poi ci sono delle cose che dici “oh è destino, è qualcosa che va oltre la mia capacità di comprensione”. Sono modi in cui ci siamo figurati il nostro inconscio, il nostro non comprendere le cose, la fisiologia. Io penso che il mio sia un cammino di conoscenza, di crescita, di vivere a pieno la vita.

Le mie scelte io cerco di farle il più possibile libero e non condizionato. Più cresco e più mi rendo conto che comunque anche io sono condizionato da certi schemi ma ho trovato persone come me e mi diverto a pensare che ci sia ancora spazio per crescere, per essere liberi. Il destino cos’è? E’ il tuo carattere. Tu sul tuo carattere puoi lavorare. Puoi cambiare se vuoi. Gli altri non ti cambieranno molto, vorranno che tu cambi ma non ti cambieranno se non  dandoti spazio e amore, attenzione e tempo. Ma il vero cambiamento lo fai tu. Se tu te ne rendi conto, puoi farlo.

E allora forse puoi cambiare anche il tuo destino, altrimenti no. Il tuo libero arbitrio è che tu hai una piccola luce dentro ad una grande oscurità. Dove dirigi e come proteggi questa luce, è il tuo compito. Il resto non lo puoi sapere, però è già molto portare un po’ di luce nel buio e non in maniera dominatrice o con la razionalità, ma perché tu sai che questo puoi fare, noi funzioniamo così. Liberare il più possibile il tuo cervello dai preconcetti, dalle superstizioni, dalla paura del diverso. Il non lo so fa paura. E lo chiamiamo in tanti modi.

La novità, il cambiamento in generale fanno paura.

Fanno paura perché devi prenderti anche delle responsabilità. A volte potresti essere solo, la solitudine spesso fa paura, credo, però se uno vuole crescere deve trovare la forza. 

Qual è la formula dell’amore? Inteso non soltanto come amore di coppia ma amore per il genere umano.

Questo è un tema sul quale io mi scervello. Credo che una cosa possa essere il fatto di mettere la propria attenzione sugli altri permettendogli di essere tutto quello che possono essere. Dare uno spazio all’altra persona per poter essere tutto quello che può essere. Saper accogliere questa cosa è un atto d’amore enorme. Non cercando di cambiare questa persona, ma accettando quello che è. Stando insieme. E’ una cosa molto difficile, perché poi nell’amore noi diciamo che amiamo senza riserve ma in realtà abbiamo delle aspettative, è molto difficile non averle. Io penso che una cosa meravigliosa sia la reciprocità, in fondo noi trattiamo gli altri come trattiamo noi stessi, specialmente quelli più prossimi a noi.

Da questo punto di vista, capire questa cosa è molto difficile e doloroso ma va fatto, perché noi tratteremmo le persone vicine a noi come trattiamo noi stessi e questa cosa a volte è veramente crudele, bisognerebbe modificare entrambe le cose. Dall’altra parte, se una persona ti lascia lo spazio per essere quello che sei, davvero, è uno splendore. Il tempo e lo spazio per essere te stesso. Un’altra cosa che a me piace molto è io ti vedo nel tuo mondo ma non smetto mai di pensare che anche nel momento più oscuro che tu hai e magari io vedo, o io ho e tu vedi, io continuo a tenere e tifare per quella parte che invece vuole vivere, costruire, gioire, fare festa. A me piace vivere così, vivere, fare festa. Sono uno che se mi lasci andare faccio serata volentieri, però non vivo sempre così. Vivo anche con molta pesantezza. Sono entrambe le cose, però la mia migliore versione di me penso che sia quella che dice sì, che dice va bene, che dice ok, che dice dai buttiamoci, proviamoci. L’altra non la rinnego, perché c’è, anzi, è una grossa parte. Noi, nella semplicità, dobbiamo prenderci il rischio di andare verso i sì della vita. Dire sì alla vita.

Perché sennò non è più vita ma diventa una sopravvivenza.

Il grosso rischio che abbiamo è quello di continuare a sopravvivere, siamo molto bravi a farlo, perché tutto il nostro sistema è costruito per quello, e invece c’è un’arte raffinata nel vivere e bisogna impararla. Quelli che sanno vivere a me piacciono tantissimo perché hanno sempre quella leggerezza, quel sorriso. Spandono una luce intorno a loro che aiuta gli altri. Creano delle combinazioni. Quindi bisogna ricordarsi, lo dico a me stesso ma a tutti quelli che leggono, che noi abbiamo questa potente radio dentro di noi e dobbiamo riuscire a trovare la maniera di girare la manopola verso questa leggerezza che viene dal fatto che tu hai passato momenti di pesantezza  e di profondità ma non ti sei identificato con quelli.

Tu ti identifichi con un creatore, con un artista, con qualcuno che ha tutti questi elementi ed è bambino dentro di sé ma è anche un adulto che realizza queste cose, che le realizza con gli altri. Che dà forma alle cose che sogna. Che è un creatore della propria vita. Attingere a questo significa attingere secondo me a quella parte di noi che non muore mai, che passa dentro di noi nelle varie generazioni e che ha molto a che fare con l’attenzione e con l’amore incondizionato. I legami possono trasformarsi ma, come mi hanno sempre detto, il bene, se è bene, non muore mai. Quella è l’unica parte veramente imperitura di noi. Lo vedo sulle persone a cui ho voluto bene e che non ci sono più. Dov’è il mio bene? E’ qui e non va mai via. Sia che esistano che non esistano, che respirino o non respirino, non cambia. Quindi io voglio essere un custode. Voglio vivere di questo.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Artuu consiglia

Iscriviti alla Artuu Newsletter

Il Meglio di Artuu

Ti potrebbero interessare

Seguici su Instagram ogni giorno