MiArt, la Top Ten è questa: i migliori quadri della “nostra” fiera

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Tu chiamala (se vuoi) la Top Ten del Miart edizione 2024 secondo Beluffi, con la dadaistica pretesa che diventi come le mitiche Billboard o Top of the Pops. 

Una necessaria premessa: the Magnificent Ten ha a che fare (quasi) solo con i quadri, quindi scultura, video, istallazioni et cetera ne sono esclusi unicamente per ragioni categoriche, che non sono gli imperativi di Kant. 

1. Helen Teede

Helen Teede, Cocoon 1, olio e pigmenti su tela, cm 51 x 31. Courtesy Helen Teede and First Floor Gallery Harare.

In ordine rigorosamente personale e a insindacabile giudizio del sottoscritto, si inizia con l’Africa, perché come cantavano nei Novanta gli Almamegretta siamo “Figli di Annibale” e anche il genetista Luca Luigi Cavalli Sforza l’ha dimostrato: imperdibile Helen Teede (First Floor Gallery Harare), una sorta di Scipione al femminile, le silhouette della serie Cocoon che sopravvengono sulla superficie rosso porpora (alla Scipione, appunto) sembrano un Cardinale decano laico, anzi laicissimo, anzi carnale e affascinano per loro esuberante bellezza.

2. Katlego Tlabela

Katlego Tlabela, C.R.E.A.M III, 2022, acrilico, inchiostro, collage tecnica mista vari su tela, cm. 76×76.

C.R.E.A.M. III di Katlego Tlabela (Osart Gallery) ci proietta in una koinè estetico/visiva che sembra riemergere dall’epoca d’oro dei Sixties pittorici made in U.S.A., ma nella piena contemporaneità e soprattutto con una sensibilità fortemente personale, anche dovuta a quella declinazione grafica che colpisce per nitore e ordine nella composizione.

3. Paul Rouphail

Paul Rouphail, Credenza (After Caravaggio), 2023, olio su lino, cm 106,7×137,2.

Tante sorprese con Paul Rouphail (Stems Gallery), con una bellissima opera intitolata Credenza (After Caravaggio), dove tradizione fa rima con provocazione: la luce (caravaggesca, come no, come non ricordare La vocazione di San Matteo?, anche qui la luce vien da destra ma anzichè salire scende, forse perché sarebbe d’uopo magnificare la nostra terrestrità e la nostra essenza carnale), ma… quell’albero di Natale di Paul McCartney 😆presente sull’angolo a destra come elemento costitutivo dell’arredo del quadro e della sua stessa composizione la dice lunga sulle meraviglie che può occasionare un’opera d’arte: è il perturbante di Freud? Non solo ma anche.

4. Andrea Mastrovito

Imprescindibile Michela Rizzo, Dio lo fulmini chi non si è fermato almeno 5 minuti a rimirar le opere dell’eccellentissimo Andrea Mastrovito: il light box nello stand ha catturato il sottoscritto, ma tutto quel che fa Mastrovito è semplicemente eccezionale. Imprescindibile, appunto.

5. Franklin Evans

Franklin Evans, Blueblachandsaspurplegreen, 2014, acrilico su tela, cm 140×142. Courtesy Wizard Gallery.

Franklin Evans da Wizard Gallery è sempre una garanzia, la sua personale in galleria a Milano è una grande novità per l’evoluzione del suo lavoro (andate a vederla, chi scrive lo segue da 17 anni, tempus fugit e qualcosina l’ha imparata) e al Miart è presente con un’opera annata 2014 e wertmullerianamente intitolata blueblachandsaspurplegreen, una moltitudine coloristica che è un paesaggio di singolarità, singolarità coloristiche che ri-suonano come “singolarità sonore”, come disse Antonio Arèvalo in occasione della mostra in via Felice Casati nel lontano 2007. Il colore, con Franklin Evans, suona. Provare per credere.

6. Enzo Cucchi

Enzoi Cucchi, Fase finale, 2003, tecnica mista su carta montata su tela, cm 19,5×25.

Dice: e i grandi? Ma se tu dici Maestri dici Enzo Cucchi  e io non posso esimermi dal menzionare il Maestro visto (in ispirito, cioè attraverso un quadruccio, nella fattispecie Fase finale del 2003, una piccola opera che è una grande opera, l’opera al nero che se-duce, cioè ti porta a sè e tu non puoi farci niente) nello stand di Galleria Antonio Verolino.

7. Charlott Weise

Sensazionale lo stand di Belmacz con l’installazione di Charlott Weise, dove l’eterno femminino in pittura riemerge in una sorta di grammelot visivo che colpisce per il suo stile scabro e ammaliante: la Weise è l'”arcano incantatore” di questa grande messinscena visuale/narrativa, tu entri, ti ci perdi ma poi ti ritrovi a bocca aperta. Charlott Weise impareggiabile e anche qui Dio stramaledica chi nei 4 giorni di fiera non si è accorto di lei.

8. Nicola Verlato

Nicola Verlato, Flood III, 2024, olio su tela, cm 150×100.

Lo avevamo visto da Bonelli di recente in occasione della sua personale in galleria e al Miart lo abbiamo ritrovato nella mostra a cura di Luca Beatrice Io sono una forza del passato nell’area lounge di Intesa Sanpaolo con Gallerie d’Italia: lui è Nicola Verlato ed è semplicemente una forza, “del passato”, del presente e del futuro. Incomparabile.

9. Thandiwe Muriu

Thandiwe Muriu, CAMO-Untitled, 2024, fdotografia, cm 150×100. Courtesy

Sono fotografie ma sembrano quadri. E, se fossero quadri, sembrerebbero tappezzerie anche senza essere tappezzerie. Un gioco di mimetismi e di incroci tra linguaggi che merita senz’altro una segnalazione, per la freschezza, i colori, il gioco optical che ci rimanda all’arte programmata e cinetica, pur venendo anch’essa dall’Africa, e precisamente dal Kenya. Un Alighiero e Boetti in salsa africana, un arazzo in cui non è possibile non perdersi, che non poteva non farsi notare nel bello stand della 193 Gallery.

10. Edo Bertoglio

Edo Bertoglio, dalla serie “Basquiat” – Head 1981, scattate nel 1981, stampata nel 2017, stampa ai pigmenti, cm 37×54, edizione di 5.

Visto che le regole sono fatte per essere infrante, allora citiamo anche un altro fotografo, il mitico Edo Bertoglio su cui era incentrato lo stand della Galleria Giampaolo Abbondio: la pittura non è nel medium utilizzato, ma evocata nei soggetti, per esempio attraverso le foto di un mito universale, Jean-Michel Basquiat: chi, al Miart 24, si è fermato qui, si è fermato accanto a questo nostro lungo tempo presente, che già è Storia con la S maiuscola.

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