Stefano Tamburini, un’acceleratore di particelle creative da Ranxerox al Macro

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Stefano Tamburini, oggi in mostra al Macro di Roma (Accelerazione, fino al 25 agosto), appartiene alla genia sfuggente dei talenti in purezza interiore e pienezza esogena. Cosa rara, va detto, che accade quando lo sguardo attraversa il midollo spinale della società, scrutando sotto le tracce del quieto vivere, bruciando in modo accelerato e radiante dentro l’inquieto stravivere. Mentre percepiscono un futuro brevissimo e un presente densissimo, questi anomali umani rifiutano l’apologia del compromesso, convinti (per fortuna nostra, osservatori e consumatori privilegiati) che solo sui bordi, cogliendo l’istante “biblico”, si conquista il “centro” dei migliori contenuti politici in una società destinata al fallimento tenace.

Immaginiamo le mani di Stefano Tamburini come due fili elettrici scoperti, carne viva che accelerava le risposte estetiche davanti alle espressioni artistiche di un’epoca militante. Tamburini creava oggetti grafici per stabilizzare una dissonanza, per sporcare lo sporco con grafie antagoniste che maneggiavano Futurismo, Dadaismo e Fluxus in un collagismo metalpunk, nel cuore batterico della carta, nella vertigine spazialista delle forbici come strumento di costruzione.

Stefano Tamburini nasce a Roma nel 1955 e qui muore nel 1986. Una cometa radioattiva che ha elettrificato la cultura grafica di Cannibale e Frigidaire, che ha dato vita e sangue a Ranxerox (il cyborg iperviolento che diede lo spunto agli sceneggiartori di Terrminator), disegnando uomini e mondi con tratti follemente punk, zigzagando la linea, dando militanza al bianconero, rompendo con gli angoli morbidi, fotocopiando per reinventare l’unicum oltre la copia. Tamburini era artista, grafico, fumettista, creativo elastico con la permeabilità degli sguardi porosi che captano le origini del malessere sociale, la militanza orgasmica e poetica, la voglia di spaccare per ridefinire una posizione scomoda ma culturalmente ergonomica. 

L’installazione museale interpreta oggi questo tuono detonante (il tappeto in stile Metallica ne è prova inconfutabile) della cultura antagonista mondiale. L’allestimento teatralizza la sua grammatica con un palco vinilico che diventa collage antologico a schema libero. È proprio una tenda ondulata che perimetra lo spazio, un’onda di vibrazioni lynchiane che si anima come un lungo monitor onirico dalle schermate multiple, analogico per vecchia e nuova natura, un coacervo di appunti appuntiti che include il battito rivoluzionario nel dibattito schizoide dei quadri viventi.

Dice Franco Berardi Bifo che Tamburini non era un profeta ma un terminale schizo. Così scrive: “Non serve a nulla la previsione di tendenze del mondo oggettivo, perché il mondo oggettivo non c’è. Quel che serve (forse) è una macchina di trascrizione degli impulsi che provengono da sensori disseminati nella psicosfera che ci sta intorno illimitatamente. Un terminale schizo è un ricevitore dotato di altissima sensibilità, capace di ricevere e interpretare le vibrazioni psichiche disseminate nell’oceano-mente…”

Tra un’apnea dentro Burroughs e altre apnee di filosofica veemenza epidemica, Stefano Tamburini ha vissuto la spaccatura sismica tra la modernità orientata ad un futuro luminoso e la contemporaneità disseminata di macchine celibi, macchinazioni algoritimiche e accelerazioni verso un baratro antropologico. Sempre Bifo, nostro gigante del pensiero radicale, scrive così: “Fu chiaro che non potevamo staccarci dalla macchina e che la macchina ci stava stritolando. Alla fine ci stritolò, e Tamburini fu tra le prime vittime. Il Settantasette fu l’ultimo movimento proletario del XX secolo, ma anche l’annuncio della fine dell’epoca moderna. Dopo il sommovimento iniziò l’accelerazione. Da quel momento in poi sapevamo che il lavoro si sarebbe accelerato intollerabilmente…”.

Se oggi sperimentiamo la coscienza elettronica di un nuovo soggetto metafisico (Intelligenza Artificiale), dobbiamo ringraziare chi ha creato quel magnifico acceleratore di particelle creative che è il cervello in cattività amazzonica: un cervello anomalo che agisce mentre pensa e analizza mentre riformula l’accesso al mondo.

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