Cecilia Casorati: “A Roma l’Accademia è anche archivio, laboratorio, galleria d’arte. Cominciamo con Kounellis”

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È stato finalmente restaurato lo strategico atrio centrale del Palazzo Camerale detto Ferro di Cavallo che collegava la via di Ripetta con il Lungotevere, su iniziativa di Cecilia Casorati, direttrice dell’Accademia di Belle Arti di Roma. Il 10 Aprile inaugura con una mostra su Jannis Kounellis, maestro indiscusso dell’Arte Povera nonché illustre allievo dell’Accademia negli Anni Sessanta, scomparso nel 2017. Lo spazio, di stile neoclassico e battezzato “Galleria Accademia Contemporanea”, sarà aperto al pubblico e nelle ore di chiusura resteranno illuminati il suo colonnato e la sua volta a botte cassettonata con i magnifici stucchi floreali. Una vera e propria galleria d’arte in Accademia quindi, che viene a completare l’attività didattica della scuola d’arte con un lavoro di ricerca sull’arte contemporanea, e che sarà visibile anche di notte nel tessuto urbanistico dello storico district artistico di Roma tra l’evocativa Piazza del Popolo, la Via Margutta e il Mausoleo di Augusto in restauro fino al 2026 e che sarà riallestito dall’archistar Rem Koolhaas, proprio di fronte alla teca dell’Ara Pacis firmata da Richard Meier.

A Piazza Augusto si è già insediata dall’anno scorso la maison Bulgari con il suo hotel di lusso e che ha appena annunciato alla stampa la sua neonata Fondazione Bulgari per ora solo virtuale. La galleria dell’Accademia, che ospiterà mostre di rilievo e parteciperà alla vita culturale della Capitale al momento in preparazione del Giubileo, è solo la punta di diamante della dinamica direzione della Casorati che prevede altre novità e ammodernamenti prima della fine del suo secondo mandato nel 2026.

La prima galleria dell’Accademia inaugura con una mostra su Jannis Kounellis subito dopo la presentazione del libro di Barbara Drudi sull’indimenticabile Toti Scialoja, dal cui corso di scenografia esce tutta una generazione di artisti degli anni Sessanta, da Pino Pascali ad Anna Paparatti e Giosetta Fioroni.

Kounellis è stato allievo dell’Accademia di Belle Arti di Roma, era iscritto al corso di Pittura con Gentilini ma ha frequentato i corsi di Scialoja che sono stati per molti fondamentali. Kounellis ricorda in particolare quelli sulla pittura in Bianco e Nero, Scialoja era di ritorno da un viaggio negli USA. È stato Scialoja a presentare Kounellis a Plinio De Martiis della storica galleria La Tartaruga.

Stai rinnovando l’Accademia di Belle Arti di Roma. Quali sono i tuoi obiettivi e la tua visione della scuola d’arte?

Credo che la formazione debba essere legata ad iniziative culturali e all’attività di ricerca dei musei. Ne traggono vantaggio tutti. Alcuni nostri studenti fanno i mediatori culturali e gli stagisti nei musei come ad esempio alla Galleria Nazionale; sono molto bravi e preparati a pubblici diversi, com\presi i disabili. La relazione tra la formazione e le istituzioni culturali pubbliche apre nuove prospettive e possibilità che potrebbero svincolare la ricerca artistica dalla burocrazia. In questa ottica questo nuovo spazio può diventare un modello.

Questo nuova galleria ha una doppia funzione, didattica oltre che espositiva?

L’idea è di sfruttare lo statuto accademico per fini culturali. Pensiamo per esempio alla possibilità di creare un archivio video. Per scopo didattico, abbiamo la possibilità di mostrare le opere senza pagare il copyright. Ci sarà la possibilità di realizzare proiezioni visibili dall’esterno. Zerynthia ci ha donato un archivio sonoro aperto agli studiosi che è diventato una sorta di museo del suono allestito in una stanza al pianoterra con un touch screen a quattro postazioni audio con 5000 file audio che stiamo implementando. L’idea è di fare la stessa cosa per la videoarte.

Questo spazio che collegava l’Accademia al Tevere era chiuso da decenni, avete dovuto bonificare l’area?

La Passeggiata di Ripetta era diventata un posto orrendo, lo spazio era chiuso da entrambi i lati ed era diventato una specie di deposito. Gli abbiamo ridato una centralità.

L’Accademia ha anche una sede all’ex-Mattatoio dove si trova l’Università Roma Tre. Che attività offrirà l’Accademia decentrata nel rione Testaccio?

Con i suoi 4000 iscritti, gli spazi dell’Accademia sono pochi. Da due anni abbiamo preso uno spazio a via del Corso per il corso di Moda nel Palazzo dell’Aran che ha tantissimi iscritti. Nella sede centrale rimarranno i corsi storici: Pittura, Scultura, Scenografia, Incisione che sono i simboli propulsori dell’Accademia d’arte. Al Mattatoio sposteremo i corsi di Design e di Arti Grafiche. Al Mattatoio ci sono già i corsi di Nuove Tecnologie: Video, Fotografia e Grafica Editoriale. Sono stati appena restaurati gli ex Fienili dove andrà il laboratorio della Carta e un’aula dedicata ai tanti workshop che facciamo. Se guardiamo la pianta del Mattatoio, la parte a destra è di Roma Tre, in mezzo c’è la Pelanda e il museo, e in fondo a sinistra, nel Campo Boario, oltre alla Città dell’Altra Economia, al centro sociale e al centro culturale Kurdi – con cui abbiamo organizzato dei workshop molto interessanti e che hanno aiutato a bonificare l’area – ci sono gli spazi dell’Accademia di Belle Arti con un altro accesso. Oltre ai due padiglioni che erano già stati restaurati e agli ex Fienili, il Comune di Roma ci ha dato in concessione gratuita per 40 anni le ex Stalle, circa 6500mq. C’è anche un giardino bellissimo che stanno ancora bonificando, ne faremo un giardino sostenibile. Restaureremo inoltre il Panottico, la torre di guardia, con la sua bellissima scala elicoidale. Vorrei diventasse la memoria del luogo. Gli Stalker ci hanno lavorato tanto.

Chi sono gli artisti che insegnano attualmente all’Accademia di Belle Arti di Roma?

Sono tanti gli artisti che vogliono venire a insegnare all’Accademia a Roma. Per citarne alcuni: Daniele Puppi che insegna Videoscultura, Alfredo Pirri e Sergio Sarra a Pittura, Bruno Esposito a Tecniche della Scultura, Piero Mottola che fa Sound design e Donatella Landi Video installazione, Alberto Moretti che insegna Fashion design, e altri più giovani come Luana Perilli che ha fatto l’Accademia qui.

Luana Perilli che ha appena vinto l’Unicredit Award e che è stata come me tua allieva al corso di Fenomenologia delle Arti Contemporanee nel quadriennio 2003-2007.

Ero ai miei inizi qui quando lei si è presentata all’esame di ammissione, mi sono subito resa conto che era bravissima ma non volevano farla entrare perché non era capace a disegnare. Mi ricordo di aver detto al Prof. Francesco Delli Santi che ero pronta a legarmi al cancello con la mia catena del motorino se non la ammetteva al suo corso di Pittura.

Roma ha tutte le carte per competere con altre accademie d’arte italiane ed europee, per esempio l’Accademia di Brera a Milano o les Beaux Arts di Parigi?

Certo, ma con Brera non siamo in competizione, anzi collaboriamo molto. L’Académie des Beaux Arts di Parigi è un’isola a sé, credo ritenga di essere l’unica accademia d’arte al mondo. Abbiamo invece collegamenti e scambi Erasmus con l’accademia di Lione e con quella di Dresda in cui insegna Carsten Nicolai.

Qual è la forza dell’Accademia di Roma che non hanno le altre accademie d’Europa?

Roma offre la possibilità di coniugare la Storia e la contemporaneità. L’Arte in questa città è fondamentale, se non la conosci ti travolge, se la conosci puoi declinarla in modo interessante in ogni percorso di studio. È questo che fa la differenza tra l’Accademia di Roma e le altre. Sicuramente ci mancano delle cose, nuovi studi ci mostrano che Roma non è fra i posti del mondo in cui si vive meglio anche se sul piano simbolico ci piace ancora immaginarci come centro del mondo.

La scelta di inaugurare la galleria con un artista che si è formato in questa accademia non è soltanto simbolica. Quale lavoro di Kounellis hai scelto di presentare?

La scelta di Kounellis non è simbolica, è la prova reale che dalla nostra Accademia escono degli ottimi artisti. Il percorso artistico di Kounellis testimonia la sua straordinaria capacità di rimanere legato alla Storia pur con uno sguardo contemporaneo. Lui stesso si definiva pittore benché il suo lavoro sembri così distante dalla pittura in senso tradizionale. Noi esponiamo i suoi enormi cavalletti di ferro di quattro metri e venti (4,20m) con queste lastre di ferro invece del quadro e dove non c’è pittura. Ci sarà una piccola chicca dietro che bisogna venire a vedere.

La mostra si fa in collaborazione con l’Archivio Kounellis?

Sì, abbiamo collaborato con l’archivio Kounellis, in particolare con il figlio Damiano Kounellis, Valentina Palazzari. Loro sono molto felici di questa mostra.

Che cosa avrà questa mostra in Accademia in più o in complemento della mostra Kounellis al Maxxi in corso fino al 26 Maggio?

Noi cercheremo di non fare un’installazione ma una presentazione del suo lavoro. La forma del cavalletto è lo strumento simbolico per eccellenza di ogni corso di pittura nel mondo. E all’Accademia di Roma sono molti i corsi di pittura in cui i cavalletti sono stati messi da parte.

Forse il primo a vietare i cavalletti in classe è stato il professore Delli Santi che eredita della cattedra di Monachesi.

Non so se è stato il primo a farlo qui. Delli Santi faceva azioni, quasi folli, ha spaccato un pianoforte a coda in piazza qui sotto. Certo lo ha fatto negli anni giusti, erano gli anni Settanta.

Avete riesumato documenti di archivio dei tempi in cui Kounellis era studente in Accademia?

Abbiamo ritrovato molti documenti tra cui un permesso dell’ambasciata di Grecia con una foto di lui giovanissimo. Era iscritto qui insieme alla prima moglie, Efi Kounellis, che è la mamma di Damiano.

Efi che è scomparsa l’anno scorso e che ha lavorato insieme a Kounellis nei primi anni della sua carriera. Avete in progetto di fare qualcosa per contribuire alla sua riabilitazione?

Non so ancora cosa hanno in archivio di lei, stiamo cercando materiale con il figlio, vedremo. Bisognerebbe fare una giornata di studi su di lei, secondo me lei è stata un critico interessante.

Avete già un programma espositivo per la galleria? Quante mostre all’anno pensi che farete?

La mostra su Kounellis si terrà fino a giugno. Probabilmente la galleria resterà chiusa d’estate seguendo l’anno accademico e riprenderà a settembre. La prossima mostra si dovrebbe fare nel periodo da ottobre a dicembre. Abbiamo un bel dipartimento di curatela che lavorerà al programma. Dovremmo fare tre o quattro mostre all’anno.

Quali sono gli obiettivi di questa prima galleria dell’Accademia oltre a riappropriarsi il merito di aver formato Kounellis?

È un piccolo spazio ma nel pieno centro di Roma, il che è un fatto abbastanza rilevante. Iniziare con una mostra su Kounellis è notevole per l’Accademia, per dare l’idea che diventare un artista dopo aver studiato qui è possibile. Secondo, dimostriamo che qui si fa anche ricerca. L’idea è di diventare un centro propulsore autonomo.

Qual è il budget a vostra disposizione per organizzare mostre qui?

Il budget è ridotto ma essendo questo luogo estraneo alle speculazioni riceviamo delle attenzioni particolari. L’Archivio Kounellis è stato molto generoso oltre a mettersi a disposizione e a prestarci l’opera che volevamo.

Toti Scialoja. Foto di Mimmo Frassineti, 1991.

Perché non aver iniziato con una mostra su Scialoja? Volevi rimanere sull’arte più contemporanea?

Sicuramente ci sarà la possibilità di fare una mostra su di lui, anche se è difficile pensare a cosa potremmo esporre non essendoci pareti in questo spazio. Tanti artisti sono stati allievi di Scialoja, è stato come Fabro a Brera, c’era una transumanza per seguire i loro corsi. Entrambi hanno segnato un’epoca perché, credo, insegnavano la consapevolezza e parlavano di realtà più che di tecnica.

Tu non hai studiato all’Accademia.

Io ho studiato letteratura e cinema, arrivo alla Sapienza nel 1977-78, la Facoltà di Lettere era in pieno fermento, c’era una spinta innovativa straordinaria mentre i corsi di Storia dell’Arte erano ancora tradizionali. Per me era impensabile non far parte di quel fermento.

Come ti avvicini al mondo dell’arte?

Per puro caso, andando in Francia ho incontrato uno scrittore che mi ha inserito nell’ambiente artistico del Marais nei primi anni Ottanta, le gallerie della Bastiglia erano appena state aperte e ho fatto l’assistente di galleria. A me piaceva scrivere. L’arte contemporanea ti dava la possibilità di scrivere come volevi, non dovevi per forza fare l’analisi dei lavori, ho cominciato scrivendo racconti che accompagnavano le opere.

Tornando a Roma, continui a frequentare l’ambiente artistico qui. Non c’erano ancora realtà come il Maxxi.

Non c’era niente, solo gallerie private. Una delle prime che ho frequentato è stata la galleria di Ugo Ferranti, una persona straordinaria, vicino a Piazza Navona. Poi ho lavorato tanto con la galleria Il Ponte a Piazza Sant’Ignazio tenuta da un’americana, Margareth Failoni. Mi ha fatto perfino curare la mostra di Vito Acconci, benché fossi molto giovane. Ci davano retta, forse perché io insieme ad altri oltre a Giovanni Jovine, eravamo giovani intraprendenti. Ora anche Jovine è direttore, dell’Accademia di Brera.

Cosa speri di riuscire a fare prima della fine del tuo mandato nel 2026?

Ho lavorato qui come ho lavorato sempre, rischiando. Dietro la facciata, c’è tutta la parte difficile, a livello burocratico, a livello dei riconoscimenti. Per esempio, appena eletta direttrice, ho proposto di stanziare un fondo per istituire due borse di dottorato anche se il Terzo Ciclo per l’Accademia non esisteva. La fortuna ha voluto che ci chiamasse l’università per fare il dottorato in collaborazione con loro. Siamo già al secondo ciclo e abbiamo due borse con il Dams e quattro con Tor Vergata. Con il Dams siamo riusciti a fare il primo dottorato practice based sulle arti performative. Da quest’anno, ci saranno anche i dottorati dell’Accademia.

Achille Bonito Oliva nel suo studio a Roma, 2021. Foto Carolyn Christov-Bakargiev

Hai fatto tante cose con Bonito Oliva in particolare in televisione. Come vi incontrate e come sei riuscita a non farti schiacciare dalla sua personalità?

Ci siamo incontrati alla fine degli anni Ottanta, nel 1989 mi ha proposto di aiutarlo per la mostra “Europa America” all’attuale Macro. Alla sua Biennale del 1993 non mi ha chiamato. Bonito Oliva mi piace molto, pur con il suo narcisismo, lavorare con lui significa incontrare la genialità. Appartengo ad una generazione che non ha voluto padroni né maestri per questo sono riuscita ad avere con lui un ottimo rapporto. La Biennale di Valencia fatta insieme nel 2001 è stato un lavoro importante ma le collaborazioni più belle sono state quelle televisive, con Sky e con la Rai. Nell’ultima, “Fuori Quadro”, ero autrice.

Subito dopo questa esperienza e dopo tanti anni di insegnamento, hai sentito che era arrivato il momento di metterti in gioco in Accademia e ti sei candidata come direttrice. Non hai mai sentito il bisogno di creare anche tu un movimento?

Ho sempre portato il mondo dell’arte in Accademia, a un certo punto serviva aprire l’Accademia all’arte contemporanea e per farlo bisogna metterci la faccia. Dagli anni Ottanta i movimenti non avevano più senso e l’idea comunque non mi ha mai sfiorato. Mi piace l’idea di aver contribuito al percorso di tutti quelli che hanno creduto di potercela fare e che ce l’hanno fatta. È difficile diventare artista, ci sono dei momenti di fragilità, di debolezza, a me fa piacere aiutare, anche adesso, evitando il più possibile di creare consensi. L’ultimo movimento interessante secondo me sono stati gli indiani metropolitani, quelli che in mezzo alle manifestazioni e ai tumulti tiravano fuori il pianoforte e si mettevano a suonare.

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