Storie d’arte, di guerra e Resistenza: Pirro Cuniberti e Mario Nanni

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Nel 1943, Mario ha 22 anni vive a Monzuno, prende la maturità artistica, ma non ha nemmeno il tempo di festeggiare che i tedeschi attuano le loro rappresaglie nelle zone dell’Appenino. Lo stesso anno, Pier Achille ha 21 anni, ha la tessera del fascio, vive a Bologna e deva lasciare gli studi alla Reggia Scuola per le Industrie Artistiche perché deve partire per il servizio militare.

Un anno dopo, Mario è su Monte Sole, combatte con la Brigata Stella Rossa agli ordini del comandante ”Lupo”, per difendere i propri territori dalle rappresaglie dei nazisti, che nel cercare i partigiani incendiano abitazioni con intere famiglie inermi e ordinano fucilazioni di massa. La Brigata si trova proprio a Marzabotto durante la strage, ma il rapporto nel confronto armato tra loro e le SS è di 1 a 10. Mario Musolesi, detto “Lupo” viene catturato ed ucciso e il battaglione con Mario vaga disorientato a valle, lungo l’argine del fiume Setta, in mezzo alla nebbia e raffiche di mitra tedesche.

Contemporaneamente Pier Achille ha 22 anni, è in Germania per fare addestramento militare come granatiere. Non fa un granché, non si diverte più di tanto. Gira a piedi per la foresta nera, fa freddo ed è sudato. Cerca un riparo e trova un vecchio negozio di libri. C’è un raccoglitore di stampe, ne prende una a caso, la piega in più parti e se la mette sotto la camicia, per ripararsi dal freddo.

Nel 1945 Mario Nanni ha contribuito alla Liberazione in prima linea. Torna a casa salvo, ma pieno di paure. Gli incubi lo tormenteranno per anni, fino a che ricorda di essere stato pittore prima della Resistenza. Sente il respiro internazionale della non-forma come reazione alla guerra.

Mario Nanni, Senza titolo, 1957.

Negli anni Cinquanta sviluppa la serie dei “Nuclei”, in totale sintonia con l’atmosfera artistica internazionale del dopoguerra, in particolare questi suoi lavori richiamano l’Art Brut di Jean Dubuffet, che già da qualche anno lavora ad un progetto di ricerca negli ospedali psichiatrici e nelle prigioni, in cui sono rinchiusi molti sopravvissuti del conflitto. Seppur molto vicina allo stile del pittore francese, l’opera di Nanni, rispetto a quella di Dubuffet non contempla affatto un tipo di forma riconoscibile, non c’è nessun disegno.

Le cicatrici dei conflitti mortali nelle fitte nebbie dell’Appennino emiliano lo portano ad avere una visione per niente definita della realtà, scompare qualsiasi forma riconoscibile che invece distingueva tutti i suoi lavori prima della guerra. Dipinge macchie sfocate, corrose dal fuoco come bagliori che filtrano l’atmosfera intasata di fumi, uno spazio materico tendente al monocromo, ma ricco di alterazioni, bruciature e rilievi. Nient’altro.

Pirro Cuniberti.

Nel 1945 Pier Achille “Pirro” Cuniberti torna a casa, ha con se ancora quella stampa che intanto scopre essere una riproduzione della Casa di Vincent ad Arles di Vincent Van Gogh. La sua guerra si è conclusa con un inutile vagare a piedi, ma da quella stampa trovata per caso in Germania inizia tutto. Si informa su Van Gogh, curiosità che lo porta nel 1948 a visitare la Biennale di Venezia, la prima dopo la guerra e, oltre a Vincent Van Gogh, incontra per la prima volta l’opera di Paul Klee. La svolta per la sua carriera.

Pier Achille Pirro Cuniberti, Composizione, 1957, olio e tecnica mista su carta.

Le piccole dimensioni, i tratti sottili, le carte esposte ordinatamente dentro a delle teche come delle miniature, tutto lo affascina. Il lavoro di Cuniberti è un lavoro segnico, anche lui travolto da suggestioni post-belliche, Bologna del resto era parzialmente distrutta e, come in Nanni, il confronto con  il mondo brutale lo avvicina all’Informale e al brutalismo in stile Dubuffet, molto evidente in lui in alcune teste disegnate in quegli anni.

Pirro Cuniberti, Alfabeto, tecnica mista e acquerello su carta.

Cuniberti avverte il bisogno immediato di dare un alfabeto a quei segni per farli dialogare nello spazio. Discorso che svilupperà nel tempo, dando vita ad un universo di forme nuove, concrete e linguisticamente istruite. Un leitmotiv che lo accompagnerà per tutta la sua vita.

Mario Nanni, I giochi della metamorfosi, 2001.

Le due esperienze sono, ad ogni modo, l’esempio di come gli eventi catastrofici possano modificare anche le tendenze creative. La Guerra e la Resistenza, rispettivamente in Cuniberti e Nanni, hanno segnato un nuovo punto di partenza condiviso da entrambi e dalla maggioranza dei creativi di quel periodo. L’Informale, per chi ancora si pone il problema della difficoltà di lettura, è una reazione realista alla distruzione subita.

Dopo la guerra non poteva più esistere il paesaggio naturale e bucolico, il bel ritratto o qualsiasi retorica celebrativa. Alla fine del conflitto si contavano i morti, le abitazioni crollate e le vite distrutte.

Mario Nanni, Risultato provvisorio di un processo, 1966.

Cuniberti e Nanni informali e brutali, così come tutta la generazione degli informali europei, sono la conseguenza naturale delle tragedie che hanno vissuto. La Guerra e la Resistenza sono stati il pane avvelenato con il quale hanno nutrito la loro creatività.

Bagnasciuga di San Benedetto del Tronto, 6 luglio 1969, “azione sul paesaggio” dell’artista Mario Nanni “I giochi del malessere”. A destra: Germano Celant (con accanto Achille Bonito Oliva e Maurizio Nannucci) registra i “processi di auto misurazione esplorazione” dei bagnati. A sinistra: Ugo Nespolo, Tommaso Trini e (di spalle) Nanni e Bruno D’Amore che preparano il lancio dei dischi legati alle funi (Foto Emidio Angelini).

Tutto sarebbe potuto rimanere normale, bello come un paesaggio impressionista, ma l’invasione dei territori da parte di un esercito oppressore è l’innesco per la fine. Ad ogni invasione militare dovrà sempre corrispondere una Resistenza del popolo oppresso, porti quel che porti. Se poi le conseguenze sono la nascita di nuove poetiche, riflessioni ricche di profondità e di vissuto, ben venga tutto.

Viva la Resistenza dei popoli oppressi sempre. Buona Liberazione.

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