“Sciamani. Comunicare con l’invisibile”: quando antropologia ed etnografia incontrano l’arte

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Dall’incontro di tre grandi musei trentini nasce “Sciamani. Comunicare con l’invisibile”, mostra multidisciplinare che, attraverso l’unione di antropologia, psicologia, archeologia e arte contemporanea, costruisce un percorso incentrato sul rapporto tra essere umano e soprannaturale. L’esibizione, ospitata negli spazi del Palazzo delle Albere a Trento e del Museo etnografico trentino a San Michele, indaga considerando diverse prospettive una pratica ancestrale molto diffusa nella storia dell’umanità: lo sciamanismo. 

“Sciamani. Comunicare con l’invisibile” è un progetto espositivo inedito scaturito dalla partnership tra il Muse – Museo delle Scienze di Trento; il Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, e il METS – Museo etnografico trentino San Michele. Ogni istituzione ha curato e gestito una sezione dell’esposizione, approcciando il tema con le proprie caratteristiche e competenze, contribuendo così alla definizione di un percorso variegato che potesse venire incontro all’esigenza di un’ampia fascia di pubblico. 

Fino al 30 giugno 2024, sarà possibile ammirare una serie di utensili e strumenti musicali utilizzati dagli sciamani durante le loro pratiche spirituali accostati ad elaborati costumi e opere d’arte contemporanea ispirate allo sciamanesimo

Al METS di San Michele troviamo una sezione dedicata alle tecnologie popolari, intitolata “Téchne, spirito, idea”, a cura di  Sergio Poggianella, Micaela Sposito e Luca Faoro. Nelle sale e nel chiostro è possibile immergersi nell’agricoltura, nel lavoro, nella produzione tessile e negli ambienti vissuti dagli sciamani nelle loro terre d’origine in dialogo con le opere di undici artisti contemporanei: Adolf Vallazza, Luca Pojer, Pietro Weber, Denis RIva, Andrea Marinelli, Federico Lanaro, Bruno Norbu Grupach, Piermario Dorigatti, Andrea Tagliapietra, Paolo Dolzan e Elias Grüner. Artisti posti a confronto con manufatti della collezione di arte sciamanica della Fondazione Sergio Poggianella, reperti provenienti prevalentemente dall’Asia Centrale, e con una yurta, abitazione mobile adottata da molte popolazioni nomadi, di provenienza centro-asiatica e completa di arredi originali.

Lo scopo è tessere opportunità preziose di interazione tra l’esterno e l’interno del museo, sperimentando una strategia trasversale. L’installazione di questo nucleo abitativo rappresenta un approfondimento che offre un interessante paragone tra le collezioni di tecnologie popolari trentine (riproduzioni dedicate alle pratiche agricole, alle macchine idrauliche, al bosco e alla segheria, alla tessitura) e i corredi rituali sciamanici eurasiatici (amuleti, tamburi, abiti e copricapi). Con la loro presenza le opere degli artisti contemporanei stravolgono l’identità degli oggetti dentro il museo, i quali non si presentano più come presenze statiche affiancate da una breve didascalia in memoria della loro funzione, ma al contrario come fonti evocative che mutano nello sguardo dei visitatori dell’oggi.

Proseguendo verso Palazzo delle Albere, sezione a cura di MUSE – Museo delle Scienze di Trento, entriamo nel vivo dell’argomento analizzando aspetti meno concreti per immergerci nella dimensione ultraterrena vissuta dagli sciamani. Salendo al primo piano entriamo in un universo composto da riti atavici, maschere angoscianti, allucinazioni, stati alterati, vestiti, accessori sonori e luoghi esotici. Sorge quindi una domanda, cos’è davvero lo sciamanismo? Chi sono questi individui dotati di poteri e visioni celesti e come svolgono i loro riti? Gli sciamani possono essere considerati degli stregoni, delle guide spirituali, oppure degli individui capaci di connettersi più a fondo con la natura rispetto alle altre persone?

Il percorso espositivo presentato al MUSE, a cura di Elisabetta Flor, Luca Scoz e Sergio Poggianella, sembra porci di fronte a questi interrogativi usufruendo della doti suggestive dei reperti sciamanici della Fondazione Sergio Poggianella, parte delle culture mongole, siberiane e cinesi, che praticano tuttora lo sciamanismo. 

Archeologia, antropologia e scienze cognitive sono le discipline coinvolte, che insieme presentano una riflessione su queste pratiche partendo dal singolo per arrivare alla comunità, presentando lo sciamano come figura per poi posizionarlo nella comunità di appartenenza e nel contesto ambientale di riferimento. 

Lo sciamano è un membro fondamentale della società e rappresenta un’autorità: un custode della tradizione sacra, dei miti fondativi e della cosmologia. Non si diventa sciamani per scelta o preparazione, ma attraverso una vera e propria “chiamata celeste”, fin da giovane lo sciamano sperimenta la malattia iniziatica, malessere psico-fisico considerato una sorta di rapimento degli spiriti. Gli abiti rituali svolgono un ruolo fondamentale nel riconoscimento dello sciamano, costumi decorati con raffigurazioni animali, su cui possiamo trovare campanelli, strisce di metallo e altri strumenti sonori che servono a richiamare gli spiriti

La selezione si concentra sui costumi rituali: maschere, copricapi, bastoni, statuette votive, strumenti per la divinazione e per la cura. Oggetti incaricati di accompagnare il fruitore incoraggiandolo a porsi quesiti, spesso esistenziali, e analizzare la realtà da un altro punto di vista: quello delle popolazioni protagoniste della mostra. 

Collezione arricchita dal documentario “Dialoghi con l’antropologo Sergio Poggianella” (regia di Nicolò Bongiorno, 2023) che ripercorre la nascita e lo sviluppo della raccolta della Fondazione, ricordando i viaggi in Asia Centrale del famoso antropologo e i suoi incontri con sciamani e studiosi per narrare le caratteristiche del suo metodo personale capace di fondere antropologia, arte e ricerca spirituale.

Nella selezione sono presenti anche reperti archeologici datati al Paleolitico superiore, che raffigurano soggetti con maschere animali evidenziando il legame dei culti appartenenti ai nostri antenati europei con lo sciamanismo. Questi manufatti dimostrano la superficialità della comune divisione tra pratiche rituali europee e asiatiche, facilitando l’immedesimazione e favorendo un percorso di riscoperta della nostra storia. Veniamo così a conoscenza delle prime testimonianze occidentali dello sciamanismo che risalgono alle spedizioni ordinate da Papa Innocenzo IV in Mongolia (1245-1247), a cui seguiranno le esperienza narrate da Marco Polo (1298) e dall’arciprete russo Avvakum Petrovič che incontra gli sciamani durante il suo esilio in Siberia (1672-1675). 

Gli aspetti più indagati delle pratiche sciamaniche sono le esperienze sensoriali, lo stato di coscienza alterato tramite il quale lo sciamano entra a contatto con gli spiriti. Elementi fondamentali per comprendere questo fenomeno antropologico che può essere interpretato, studiato, e riprodotto tramite l’utilizzo delle nuove tecnologie e delle scienze cognitive. 

Giunti al secondo piano di Palazzo delle Albere, a cura di Mart – Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, scopriamo una serie di opere contemporanee che si pongono in continuità con lo sciamanesimo, seppur appartenenti ad un contesto sociale completamente diverso. In continuità con la narrazione scientifica e etnografica vediamo accostati stili eterogenei e medium differenti (pittura, scultura, video, fotografia, installazione), mezzi d’espressione utilizzati dagli artisti per esplorare la dimensione spirituale e curativa delle pratiche contemporanee. Sono esposte 40 opere, prodotte da 26 artisti e artiste internazionali negli ultimi 70 anni, abilmente scelte dal curatore Gabriele Lorenzoni e dall’antropologo Massimiliano Nicola Mollona. Artisti tra cui figurano alcuni dei nomi più celebri delle arti performative e visive come: Marina Abramović, Jimmie Durham, Alighiero Boetti e Joseph Beuys.

Conquista uno spazio considerevole in quest’area dedicata al contemporaneo la fiber art, grazie ad esponenti come Anna Perach e Angelo Filomeno, che hanno reinterpretato le tradizioni delle culture sciamaniche riconoscendo l’importanza di indumenti, tessuti e veli. Nelle loro opere compaiono teschi, fiumi, riproduzioni di statuette votive e altri elementi rituali riprodotti e studiati tramite la tessitura. 

Un’operazione analoga viene proposta da Chiara Camoni che riproduce con fiori, aglio, conchiglie e altri materiali naturali, ma anche plastiche e pietre, collane e accessori un tempo parte dei riti sciamanici. Accessori che potremmo immaginare al collo della protagonista del corto “Typps” di Ben Russel, video concettuale focalizzato sulle espressioni e le sensazioni sperimentata da una giovane a contatto con il vento. Gesti e oggetti legati ai riti sciamanici sono fonte di ispirazione per i lavori in mostra, i quali manifestano una chiara contaminazione di prassi culturali e performative. In questa parte del percorso i curatori hanno scelto di affrontare un altro tema fondamentale nello sciamanismo: la questione ambientalista. Problema di estrema attualità profondamente correlato con i saperi sciamanici, che prendono forma dall’interazione con le forze naturali. Le opere invitano ad una convivenza pacifica e rispettosa con l’ambiente e le altre creature viventi, esortano la consapevolezza del proprio posto all’interno del sistema-natura in evidente contraddizione con l’opposizione uomo-animale

Difatti, nelle aree in cui si sviluppa lo sciamanismo, la concezione del sacro si manifesta in tutti gli aspetti della quotidianità e del paesaggio. Si reputano tutte le energie, i luoghi e i fenomeni naturali che circondano l’essere umano come sacri incarnazione degli spiriti degli antenati. Appare quindi diffusa una concezione animista del mondo che attribuisce forza vitale e un certo grado di coscienza ed intenzionalità ad ogni forma naturale, vegetale, animale e persino inorganica, per esempio fiumi o sassi. Trasformandole in entità capaci di proteggere, assistere, ma anche distruggere o punire. 

Nessun artista contemporaneo potrebbe abbracciare tale filosofia meglio di Joseph Beuys, presente con “Difesa della Natura”, opera che riassume la sua posizione radicale fortemente critica verso il capitalismo e sostiene un approccio ecosostenibile all’ambiente invitando ad una agricoltura collettiva, decentralizzata e praticata senza l’ausilio di fertilizzanti chimici e pesticidi.

In conclusione, “Sciamani. Comunicare con l’invisibile” è più di un progetto omaggio alla sfera rituale, alle pratiche performative, e al sapere sciamanico, rappresenta uno scambio multiculturale attraverso cui avvicinarsi nuovamente alla sfera spirituale. È un invito a riconoscere una parte fondamentale della natura umana fin troppo ignorata nell’era moderna e, allo stesso tempo, un’occasione per trattare e conoscere figure spesso idealizzate e/o fraintese a causa dei movimenti Neo-religiosi e New Age: gli sciamani

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