Fulvia Mendini: “mio padre aveva un istinto formidabile per il progetto”

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Ricordo quando, appena laureata, il mitico professore Vanni Pasca mi portò con lui nell’Atelier Mendini. Rimasi subito folgorata dalla creatività che si respirava in ogni angolo, ma più di ogni altra cosa ero affascinata dal ready made della poltrona Proust, da quel pezzo di prato di Signac con cui Alessandro Mendini aveva letteralmente smaterializzato una grande poltrona in finto Settecento. L’aveva resa puntinista e dunque contemporanea. Innovare senza dimenticare il passato, sperimentare e provocare rispettando le persone, era questo il progetto per Alessandro Mendini, icona indiscussa e intellettuale del design italiano.

In occasione della mostra “Io sono un drago. La vera storia di Alessandro Mendini” recentemente inaugurata in Triennale durante la Milano Design Week, la figlia e artista Fulvia Mendini ci racconta chi era questo grande maestro “con un istinto formidabile per il progetto”.

Alessandro Mendini, foto Roberto Gennari Feslikenian.

Suo padre una volta ha detto “la mia infanzia è durata moltissimo e non so nemmeno se sia finita”, che genitore è stato?

È stato un padre dolce, protettivo, solo che faceva cose strane, per esempio bruciava delle sedie, e disegnava mobili impossibili come la sedia Scivolavo che noi usavamo come casetta, oppure un tavolino da salotto in vetro a forma di bara… oggetti un po’ particolari.

Alessandro Mendini, Lassù 1983. Foto Archivio Alessandro Mendini

Alessandro Mendini concepiva gli oggetti come piccoli universi, per lui era come tutto avesse un’anima. Qual è stato il maggiore insegnamento di suo padre e come è stato collaborare con lui?

Creava degli oggetti che avessero il più possibile una certa empatia con l’interlocutore. Mi ha insegnato a rispettare le persone, a essere gentile con tutti. Nel progetto lui aveva un istinto formidabile, unito ad un grande rigore formale, dove il senso figurativo e artistico ha sempre dominato la scena.

Abissina, collezione Raw-Less, Alessio Sarri, 2017. Foto Marta Sansoni

Lei nel 2017 ha dipinto un drago. C’è una connessione con il disegno di suo padre da cui trae ispirazione la mostra “Io sono un drago. La vera storia di Alessandro Mendini”?

Il drago è un animale fantastico, mi è venuto spontaneo metterlo nel gruppo dei miei personaggi immaginari.

Architetto, designer, artista, teorico, la nuova retrospettiva sull’opera di Alessandro Mendini vuole sottolineare la complessità di questa figura nel panorama internazionale, ma qual era secondo lei l’aspetto nel quale maggiormente si riconosceva?

Secondo me il papà era continuamente alla ricerca di se stesso, errava tra le arti, quasi un rabdomante alla ricerca dell’acqua. Penso che disegnare fosse la sua grande vera passione, da piccolo voleva fare il cartoonist.

Alessandro Mendini, Mostro 8 2014, Foto Archivio Alessandro Mendini

Suo padre una volta ha detto che più che lavorare con il colore faceva “lo slalom tra i colori”. Qual era il suo rapporto con i colori?

Istintivo e razionale insieme. Il colore è un tema complesso che parte dalla sensibilità personale e arriva alla definizione di una palette da studiare in modo molto rigoroso, ispirandosi comunque alla storia dell’arte e del progetto.

Per Alessandro Mendini il puntinismo era un vero e proprio metodo progettuale, ma si ispirava anche al lavoro di Depero, di Kandinskij o di Lichtenstein, quali erano invece i maestri del design ai quali guardava?

Alessandro Mendini si è ispirato a tante cose, perfino alle arti primitive, uno dei suoi maestri è stato certamente Gio Ponti. Ma il futurismo e i suoi magici personaggi, le avanguardie europee, con tutti i suoi artisti, architetti e teorici, sono stati movimenti che lo hanno molto interessato e influenzato.

Alessandro Mendini, Poltrona in una stanza, 2001.

Il lavoro di Mendini è un continuo rimescolamento di suggestioni e di stimoli, come Gio Ponti egli attinge liberamente dalla storia e dalla tradizione e da quest’ultimo riceve anche il passaggio di testimone per Domus. Ponti può essere considerato, secondo lei, un maestro per Alessandro Mendini?

Si, lui aveva una grande ammirazione per Gio ponti, e ha sempre raccontato la sua grande emozione quando si erano incontrati e lui stesso gli aveva dato l’incarico della direzione della rivista Domus.

Starck realizzerà in Triennale un’installazione che rende omaggio a suo padre in occasione del Salone del Mobile, qual era il loro rapporto e come si sono conosciuti?

Il papà ha invitato negli anni Novanta Philippe Starck a progettare un padiglione del museo di Groningen in Olanda, insieme a Michele De Lucchi e Coop Himmelblau con la direzione dell’Atelier Mendini.

Alessandro Mendini era affascinato dal piccolo, per lui tante piccole cose potevano comporre un’immagine come fossero tanti piccoli frammenti all’interno di un grande caleidoscopio. Aveva creato un alfabeto segnico, il suo modo di trattare il progetto era legato al segno sia come fatto estetico che come fatto emozionale, geometrico o contenutistico. Secondo lei chi potrebbe essere oggi un suo erede (non necessariamente nel campo del design)?

Secondo me chi lavora pensando anche agli altri, soprattutto con un senso umanistico del progetto, o comunque con filantropia.

Alessandro Mendini, Cavatappi Anna G Turchese per ALESSI.

Se dovessimo lasciare questo pianeta per uno nuovo (e non è più un’ipotesi fantascientifica visto il cambiamento climatico), quali oggetti di suo padre porterebbe con sé nella navicella spaziale per tramandarne la memoria ai posteri?

Un disegno di una wunderkammer, un oggetto di Alessi, un quadro e una scultura puntinata.

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