Galleria Milano diventa Fondazione, per “tenere saldo il legame con la città”

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Galleria Milano, sede di via Turati

Galleria Milano è ormai un’istituzione della città meneghina. Dalla sede prima in via della Spiga, e poi dal palazzo nobiliare tra via Manin e via Turati, sono passate correnti come la Pop Art inglese, l’Azionismo viennese, il gruppo Gutai; alcuni grandi artisti allora emergenti, come Georg Baselitz, Joseph Beuys e Blinky Palermo; autori americani a quei tempi poco noti, da Ed Ruscha a Fred Sandback.

Carla Pellegrini

A dirigerla fino al 2019 è stata Carla Pellegrini Rocca, gallerista coraggiosa, che si è occupata degli aspetti meno noti delle Avanguardie storiche e dell’Astrazione, ha stretto sodalizi decennali con Vincenzo Agnetti, Gianfranco Baruchello, Valentina Berardinone, Antonio Calderara, Vincenzo Ferrari, Enzo Mari, Davide Mosconi, Grazia Varisco e Luigi Veronesi, e tanti altri.

Dal 2019, anno della scomparsa della gallerista, le redini della galleria sono state prese dal figlio Nicola Pellegrini, affiancato da Baldo Pellegrini, Toni Merola e Bianca Trevisan.

La galleria non ha abbandonato la sua vocazione per la ricerca e lo sperimentalismo, con mostre di Pierluigi Fresia, Dario Bellini, Francesco Voltolina, Giovanni Oberti, Daniela Comani, Dario Bellini, Enzo Mari, Riccardo Arena, Betty Danon, Cesare Viel, Shusaku Arakawa.

Enzo Mari, Falce e Martello

Un ultimo saluto alla sede di via Manin/via Turati, con la collettiva Here Between Not-Yet and No-More, e dopo quasi due anni di lavoro apre finalmente la nuova fondazione, che vuole tutelare il patrimonio artistico e culturale della storica Galleria Milano, ma anche promuovere ricerche contemporanee, nazionali e internazionali, attraverso mostre, performance, momenti di incontro e approfondimento, oltre ad attività educative e formative.

Fondazione Galleria Milano

La Fondazione è collocata in un cortile di un classico palazzo di Milano Sud, e noi siamo andati a visitarla per farci raccontare questo momento da Nicola Pellegrini, presidente della Fondazione.

Qual è stato il percorso per arrivare in via Arcivescovo Romilli?

Ci siamo trasferiti qui dopo che abbiamo chiuso la Galleria Milano, all’inizio pensavo ad un posto vicino all’Abbazia di Chiaravalle (luogo suggestivo alle porte di Milano), ma il destino ha voluto che vedessi prima questo spazio e che me ne innamorassi.

Fondazione Galleria Milano

Perché hai pensato ad una Fondazione?

Io non sono un gallerista per cui ho deciso di chiudere la galleria, però avevo tutta questa eredità, questo archivio documentale che abbiamo rimesso insieme. Volevo che il legame con la città di Milano e il suo territorio rimanesse saldo, per questo ci siamo impegnati anche in un dialogo con le istituzioni, con i musei, e altre realtà culturali, Università e Accademie di Belle Arti. E quindi la fondazione è stata una dovuta conseguenza.

Alexander e Sasha Brodsky, Bozzetto piazza Senzanome

Questo nuovo spazio è stato inaugurato con un progetto nato dal dialogo tra l’architetto-artista russo Alexander Brodsky e il figlio Sasha Brodsky, artista visivo, stampatore e musicista che vive e lavora a Brooklyn, New York.

Alexander Brodsky è un amico ed è uno degli artisti più straordinari che io abbia incontrato per cui non ho avuto dubbi con chi iniziare questo nuovo percorso. Alexander aveva già collaborato con la galleria dove aveva fatto altre mostre, ma questo evento ha qualcosa di speciale perché ha visto coinvolto anche il figlio.  

Alexander e Sasha Brodsky, Bozzetto piazza Senza Nome

L’esposizione ha come opera centrale una Piazza Senzanome, un luogo che non ha una collocazione precisa, ma è la sintesi di tutti i luoghi. Alle pareti dello spazio espositivo disegni e incisioni in dialogo con l’installazione, in un incontro e compenetrazione tra arte visiva e architettura che è la cifra distintiva della ricerca di entrambi gli artisti.

Questa piazza Senzanome è come una uno spazio dentro allo spazio della galleria, hanno lavorato qui a mano in terra cruda un materiale molto caldo, molto vivo. In uno scenario urbano, in una grande piazza anonima, si stagliano uno in fila all’altro tre alti obelischi. Intorno una folla di persone fa riflettere sulla solitudine all’interno di un contesto collettivo solo all’apparenza. E attraverso dei fori, attraverso questo limite esterno si può guardare e vedere questo mondo interno che è popolato da milioni di persone, è una visione molto distopica e al contempo molto poetica.

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