David Horvitz e la sua geografia emotiva

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In occasione dal miart, arriva a Milano, negli spazi dismessi di un’ex ufficio all’interno del BiM,”Abbandonare il Locale”, la prima grande mostra personale in Italia dedicata a David Horvitz.

Il direttore artistico del miart e curatore della mostra, Nicola Ricciardi, seleziona oltre venti opere che ripercorrono quasi due decenni di carriera dell’artista nato a Los Angeles. La mostra trae origine dall’idea di dare corporeità e presenza al tema “no time no space”, filo conduttore dell’edizione odierna della fiera. Horvitz, con ironia e tocco poetico, sfida l’osservatore ad affrontare la realtà attraverso una gamma eclettica di media: dalla fotografia alla performance, passando per la mail art all’installazione sonora, costruendo un dialogo aperto su tempi e luoghi, fasce e pratiche.

La ricerca di Horvitz va letto come un invito a viaggiare parallelamente su assi temporali e geografici alternativi. Nel lavoro “A clock whose seconds are synchronized with your heartbeat” (2020) ci invita a esprimere la nostra più intima temporalità, sintonizzandola con il mistero della vita stessa. La performance “Evidence of time travel” (2014) ci racconta di un’esistenza vissuta secondo il ritmo di un altro continente, sfidando la percezione piatta del fuso orario e proponendo un vissuto temporale distopico e al contempo vicinissimo alla nostra quotidianità.

A proposito della nozione di confine e separazione, tale dinamica viene destabilizzata, ad esempio, da “For Kiyoko” (2017) – lavori nei quali Horvitz ripristina un dialogo visivo tra passato e presente, immaginando lo sguardo della nonna verso un cielo stellato. Analogamente, l’installazione “The Distance of a Day” (2013) amplifica la simultaneità degli eventi su scala globale, dov’è possibile che madre e figlio si trovino a osservare lo stesso sole in tempi e luoghi opposti.

“Abbandonare il Locale” non si limita a presentare opere pre-esistenti, ma propone una rilettura dell’ambiente lavorativo. La mostra innalza oggetti come le bottigliette da “Imagined Clouds (Milan)” (2024), trasformando semplici residui di plastica in meditazioni sull’acqua e sull’abitare spazi senza confini. Questa tensione tra ciò che sembra essere e ciò che è si manifesta anche nel progetto “Mood disorder” (2012), dove Horvitz carica un autoscatto su Wikipedia per riflettere sulla depersonalizzazione delle informazioni e su come queste possono vivere e mutare nel cyberspazio.

L’allestimento della mostra, a cura dello studio creativo multidisciplinare SPECIFIC, si fonde con la sensibilità estetica di Horvitz, adattando gli elementi dell’ex ufficio, e trasformando l’architettura industriale in un nuovo epicentro dell’espressione artistica.

Con quadri narrativi decisamente originali, la monografica su David Horvitz si delinea come un’esperienza artistica capace di stimolare la riflessione critica. L’artista, rappresentato da ChertLüdde di Berlino, regala a chi percorre la mostra un melodioso invito a riconsiderare i parametri ordinari che definiscono il nostro essere nel mondo.

Oltre a godere di una ricca carriera con esposizioni in celebri istituzioni internazionali quali il MoMA e il New Museum di New York, e la sua formazione accademica tra UC e Bard College, la pratica artistica di Horvitz emerge come una singolare trama fatta di sottili riflessioni quotidiane e di grandi interrogativi esistenziali, offrendo una lente d’ingrandimento su quel delicato equilibrio fra noi e il tessuto sconfinato dell’universo in cui stiamo, stagliati ma non isolati, inseriti.

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