Tefaf 2024 e la sostenibilità del mercato dell’arte 

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Molti di voi conosceranno quella landa desolata dell’Olanda che è Maastricht solo per la storia del  trattato firmato nel 1992 che pone alcuni dei pilastri fondamentali per il concetto di Europa, ma in realtà per chiunque si interessi di mercato dell’arte questa non ridente cittadina diventa il centro del mondo, il place to be, per un paio di settimane all’inizio di marzo: il TEFAF. La fiera delle meraviglie, come viene definita.

Un appuntamento che riunisce tutti i vertici, dai grandi collezionisti internazionali ai curatori di musei come il Metroplitan di Ny o gli Uffizi di Firenze che vengono letteralmente a far spesa. Le più grandi gallerie del mondo presentano ai loro clienti gli oggetti più rari e selezionati ed, ovviamente, i più costosi. Banalmente nello stand di Landau, galleria canadese, si poteva negoziare l’acquisto di un Kandinsky la cui richiesta si aggirava sui 60 milioni di dollari.

Ovviamente, per questioni di interesse personale non mi sono potuto astenere dal buttare un occhio negli stand dei Majors del comparto Fine Art, che ha dato delle indicazioni estremamente precise sulle attuali inclinazioni di questo specifico mercato. Oltre ai soliti noti, da Jacopino del Conte presentato da Daniel Katz, al Tiepolo dei RobilantVoena fino ai Vari Canaletto sparsi qua e là si nota una profonda presenza di pittrici.

Lavinia Fontana è protagonista con un quadro pazzesco presentato da Smeets che presenta anche una scoperta legata al nome di Diana De Rosa, nuova eroina del seicento napoletano accanto alla ben nota Artemisia Gentileschi. Un fatto di sangue, peraltro ampiamente chiarito come falso dalle fonti, continua ad alimentare questa epicità della figura della De Rosa che diventa un must have da parte di privati e musei ed aprendo una stagione di studi e di approfondimenti legati alla riscoperta di questa personalità pittorica, innanzitutto.

In generale si scorge anche una certa apertura ad opere che non abbiano dalla loro solo il grande nome, ma che possano concorrere ad interessare un acquirente per la loro assoluta unicità, vedasi la grande pietra dipinta corredata da una cornice in bronzo, argento e corallo (da brivido) proposta sempre da Katz. Nell’ambito della scultura si è senza dubbio distinto Stuart Lochhead che ha presentato un tris di bronzi di Giambologna di inusuale bellezza.

Al netto dell’usuale elenco di bravi galleristi e cose straordinarie, che solitamente si mette giù in un articolo dedicato al TEFAF, questa volta vorrei provare a capire quale sia stato il senso di questa edizione.

In mezzo a tutto questo sciame di bellezza ci sono , tuttavia, alcune cose che agli occhi allenati degli addetti ai lavori non possono sfuggire e che nell’edizione appena conclusasi sono state particolarmente evidenti: prima tra tutte, il netto restringimento del numero di collezionisti privati, che per anni hanno rappresentato il vero motore di questa kermesse internazionale, di questo grande circo dai costi folli.

Il numero di queste personalità e, sopratutto la loro capacità di spesa, ha fatto sì che in tutti questi anni i vari dealers potessero mettere a segno non solo vendite di qualità ma che potessero avere anche un fluido volume di negoziazioni concluse.

La platea dei private collectors da soddisfare era sicuramente più ampia.

Per quanto questo buco venga, parzialmente, colmato dall’incessante attività di acquisizioni portate avanti dai musei soprattutto americani, lo spirito di attrazione degli Old Master sembra necessitare più che mai un restyling completo e di rendersi accessibile alle nuove generazioni di collezionisti, che invece sembrano proliferare nel Contemporary. Se non si cerca di invertire questo trend si rischia che il riferimento museale diventi l’unico e che questo ovviamente comporti la necessaria chiusura di tutta una serie di gallerie che non possono reggere i costi d quello che vendere ai musei comporta.

E qui si entra nello spinoso campo della sostenibilità del mercato dell’arte antica. In realtà provo un certo odio nell’uso della parola sostenibilità, che ad oggi sembra essere usata più del cacio sui maccheroni, ma effettivamente bisogna riflettere su quanto sia sostenibile questo sistema.

Per le giovani gallerie emergenti, ad esempio, l’impegno economico da affrontare per partecipare a questo evento è fortemente ingente e non comprende unicamente il pagamento dello stand (detto in parole povere) ma include i costi di spostamenti degli oggetti e delle persone, i costi assicurativi, le spese di restauri e studi sostenute in un intero anno per le opere presentate e, last but not least, gli investimenti sostenuti per acquisire ciò che viene presentato.

A questo aggiungiamo anche una buona dose di denaro per tutto ciò che afferisce alla comunicazione ed alle P.R. ed il gioco è fatto.

Se al giovedì non hai venduto mezzo stand sai che ti aspetta una serata di paranoia e sbronze allo Zondag Cafè.

Badate bene: il mio discorso non vuole portare verso una riorganizzazione cheap o popolare del TEFAF che deve necessariamente mantenere quella sua caratteristica di esclusività assoluta, ma vuole gettare un seme su un terreno ancora brullo e che, nonostante tutto, rappresenta il campo da gioco per noi operatori di mercato.

Se questa fiera delle meraviglie rimane ad uso onanistico delle solite dieci gallerie si perderà tutto quel panorama di ricerca e valorizzazione del patrimonio artistico mondiale, che ormai da decenni è una delle missioni fondamentali di TEFAF, non scordiamocelo mai.

Comunque, le ostriche al vip opening sono sempre deliziose!

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