La pittura di Julie Mehretu e le distopie di Pierre Huyghe a Venezia

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La pittura di Julie Mehretu e le distopie di Pierre Huyghe, in mostra a Palazzo Grassi e a Punta della Dogana a Venezia 

Sono due gli artisti ospitati negli spazi di Palazzo Grassi e Punta della Dogana a Venezia. Se la pittura di grandi dimensioni di Julie Mehretu (Addis Abeba, 1970) occupa tutti i piani del palazzo in stile neoclassico affacciato sul Canale Grande, è nel sestiere di Dorsoduro, in quelli che erano i vecchi magazzini della Dogana da Mar, che Pierre Huyghe (Parigi, 1962) crea un percorso immersivo, all’interno di una dimensione tra creature originarie e distopie future. Il cemento frutto del recupero progettuale di Tadao Ando su commissione di François Pinault, fa da sfondo alle opere dell’artista, che si rivelano come generatori di forme e specie in continua evoluzione. Liminal è il titolo della mostra curata con Anne Stenne, visitabile fino al 24 novembre 2024.

Pierre Huyghe, Mind’s Eyes, Courtesy of the artist and Galerie Chantal Crousel, Marian Goodman Gallery, Hauser & Wirth, Esther Schipper and TARO NASU

Ma è anche l’opera che accoglie il pubblico all’ingresso di uno spazio buio, in cui un corpo senza volto e privo di cervello, si muove percependo gli stimoli esterni attraverso dei sensori. Sensori utilizzati anche in lavori come Portal, Idiom, Offspring. È la tecnologia con cui Huyghe disegna una nuova realtà o una post realtà, in cui l’umano quasi scompare nelle nuove formazioni, o si presenta come un soggetto ibrido. La maschera del video Human Mask cela una scimmia e quelle di Idiom, appaiono invece all’improvviso, indossate da individui muti. Il risultato dell’incontro tra il dispositivo al suo interno e i rumori nello spazio, ci consegna un linguaggio sconosciuto. Come sconosciuti sono gli abissi riprodotti negli acquari, popolati da ciò che resta dei manufatti della civiltà, così come da non umani e da fossili. Uno scheletro umano ritrovato in un luogo remoto, come il deserto di Atacama, è oggetto di un ipotetico rituale funebre delle macchine nel video Camata, che è forse l’emblema del superamento della specie.


Julie Mehretu​, TRANSpaintings, 2023-2024, Courtesy of the artist and White Cube. Installation view, “Julie Mehretu. Ensemble”, 2024, Palazzo Grassi, Venezia. Ph. Marco Cappelletti © Palazzo Grassi, Pinault Collection

Se Huyghe porta lo spettatore nel buio dello spazio e delle forme evolutive, Mehretu ci accoglie nella luminosa tessitura delle sue trame. Mappe pittoriche e geografiche raccontano di una storia passata e presente con ferite ancora aperte, e questioni (sociali, etniche, politiche) irrisolte. Ensemble curata da Caroline Bourgeois in collaborazione con l’artista, visibile fino al 6 gennaio 2025, ha richiesto tre anni di lavoro. Nello scenografico Palazzo Grassi opere di grandi dimensioni evidenziano una gestualità, che astrae le forme nel loro comporsi. Il suo è un percorso emotivo, storico, artistico in cui il linguaggio pittorico riorganizza lo spazio attraverso una stratificazione di materiali e storie.

Dalle prime che evidenziano architetture e topografie, che per l’artista rappresentano “spazi di potere, di idee di potere…, come scrive nel booklet della mostra. Fino alla loro cancellazione sotto il peso delle rovine della storia come in Chimera, che nasconde il palazzo bunker di Saddam Hussein a Baghdag. I suoi soggetti sono le rivolte del mondo mediorientale (Primavera araba, Siria, Libano), e di quello occidentale (legato alle discriminazioni razziali, ai conflitti etnici, alla questione ecologica).

E lo fa attraverso il colore, la sperimentazione di tecniche (tra cui incisione e stampa) e di materiali. Come nell’ultima produzione TRANSpainting, costituita da reti di poliestere trasparente inquadrate da cornici metalliche, che lasciano le tele sospese nello spazio. Per l’artista “la creazione ha sempre una dimensione collettiva”, come ricorda nel catalogo (Ensemble, edito da Pinault Collection e Marsilio Arte) Bruno Racine. Per questo sono presenti alcune opere di artisti-amici. I corpi scultorei di alluminio e acciaio di Nairy Baghramian, quelli totemici di Huma Bhabha, più iperrealisti invece per Paul Pfeiffer. I film di Tacita Dean che riprendono l’artista al lavoro e in conversazione con Luchita Hurtado, e il video delle fotografie di famiglia di Robin Coste Lewis, ma anche le installazioni di David Hammons e i ricami di Jessica Rankin. 

Nelle mappe colorate di Mehretu riscopriamo la storia e quella necessità di ripristinare un discorso collettivo, superando l’individualismo delle società moderne. E in un certo qual modo, anche nel lavoro di Huyghe emerge l’idea di una collettività, di nuovi abitanti e nuove configurazioni spaziali e speciste.

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