Scotini: “Ecco come sarà il mio Disobedience Archive alla Biennale”

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La Biennale di Venezia sta scaldando i motori, e si delineano sempre più dettagliatamente i contorni di ciò che vedremo in Laguna a partire dal 20 aprile. Abbiamo già raccontato succintamente come sarà suddivisa e quali novità conterrà questa sessantesima edizione (Biennale di Venezia, “Stranieri Ovunque”. Tutto quello che dovete sapere sull’appuntamento più importante dell’anno). Alle Corderie, un progetto speciale della rassegna curato da Marco Scotini all’interno del Nucleo Contemporaneo sarà intitolato Disobedience Archive. La sezione, progettata da Juliana Ziebell, che ha lavorato anche all’architettura espositiva dell’intera Esposizione Internazionale, sarà suddivisa in due parti principali appositamente concepite per la Biennale, rispettivamente dal titolo “Attivismo della diaspora” e “Disobbedienza di genere”. Disobedience Archive includerà opere di 39 artisti e collettivi realizzate tra il 1975 e il 2023.

Il progetto curatoriale risale al 2005 quando, a Berlino, Marco Scotini concepisce un’esposizione itinerante di video e materiali grafici. La mostra-archivio indaga le relazioni esistenti tra pratiche artistiche contemporanee, cinema, media e attivismo politico. Ideato come un archivio di immagini video eterogeneo e in evoluzione, il progetto si pone come una guida attraverso le storie e le geografie di disobbedienza sociale.

Disobedience Archive è un work in progress che riflette la Storia nel suo divenire, nel quale contenuti e forme mutano in ogni sede espositiva. La mostra è un atlante delle tattiche antagoniste contemporanee, dall’azione diretta alla controinformazione inaugurando nuovi modi di essere, di dire e di fare.

Disobedience Archive è, quindi, un display che permette di dare forma e contenuto ad un progetto sulla disobbedienza come pratica artistica a metà strada tra l’estetico e il politico. 

Scotini ha proseguito la sua indagine sul filo del concetto di archivio, affrontando di volta in volta temi e momenti, come l’arte italiana degli Anni Settanta, il femminismo, l’ecologismo.

Il tema dell’archivio è ormai una costante nelle ricerche artistiche e curatoriali.

Portrait of Marco Scotini.

Spieghiamo prima di tutto come è arrivato Disobedience Archive alla Biennale di Venezia. Adriano Pedrosa aveva visto il tuo progetto all’ultima Biennale di Istanbul e lo ha voluto all’esposizione veneziana da lui curata.

Sì, anche se il progetto di Istanbul era diverso nelle tematiche rispetto a quello presentato quest’anno a Venezia, credo che però Disobedience, proprio per sua natura, si presti a interpretare quello che è la visione di Pedrosa per questa biennale, come raccolta di materiale filmico e di archivio, è un intervento quasi insulare all’interno del percorso più ampio di Stranieri ovunque. Siamo anche in un momento particolare in cui da moltissimi curatori e artisti viene rivendicata una associazione tra arte e forme di pratica artistica e attivistica.

Le radici dell’importanza dell’archiviazione  si possono far risalire al XX secolo, anche il tuo progetto infatti parte da lontano, dal 2005 e continua il suo percorso, ma quando è nato erano molte le perplessità degli addetti ai lavori. 

Quando ho aperto Disobedience Archive a Berlino molte erano le domande, in tanti si chiedevano se lo si potesse considerare arte, l’impasse è stata superata perché il progetto ha catturato l’attenzione di importanti istituzioni museali internazionali e ora addirittura fa parte della Biennale.

Qual è la forza di Disobedience Archive? Negli anni ha girato il mondo, ricordiamo solo alcune delle tappe, Città del Messico, il festival di San Pietroburgo, il Castello di Rivoli. 

Finora sono diciotto le stazioni di disobbedienza. Ogni mostra è stata fortemente diversa dalla precedente, perché era pensata come itinerante e in crescita fin da subito, con la ricerca di nuovi materiali che avrebbero portato a un incremento del deposito archivistico, ma anche a un assemblaggio diverso dei materiali ogni volta. 

Quindi, ogni mostra è diversa dalla precedente sia per la tematica che affronta, ma anche per il materiale che si arricchisce?

Direi di sì ad oggi sono stati presentati circa 200 film e video differenti, ma spesso sono materiali eterogenei tra di loro e in alcuni casi sono rimasti delle costanti in altri casi non sono stati più riproposti o sono stati ricombinati in maniera differente. Questo perché volevo che Disobedience fosse non tanto un processo cumulativo, quanto generativo di nuove combinazioni, di nuovi immaginari, generativo di tutta una serie di altre componenti che oggi non possiamo non considerare parte dell’arte contemporanea.

Disobedience Archive, Raven Row, London, Exhibition Display Xabier Salaberria, installation view, Photo by Marcus J. Leith, 2010.

Cosa dobbiamo aspettarci per la Biennale, quali sono le novità?

Sono due i temi nuovi, diaspora Activism relativo alla migrazione e gender Disobedience, relativo ai movimenti LGBTQ+. Da un lato il superamento dei confini nazionali, dall’altro quello che anche Rosi Braidotti, ha chiamato la soggettività nomade contemporanea.  E quindi nomadi anche nelle questioni di genere. Non si tratta di semplici documentari ai quali siamo abituati, ma c’è un altissimo livello stilistico su ogni materiale che è stato selezionato. Si tratta come dire di trovare la formula giusta dietro la scelta di ciascun lavoro, c’è sempre un’alchimia molto sofisticata.

Qual è stata la formula, quindi, per la scelta dei lavori in mostra?

L’idea è stata quella di attribuire le exhibition display sempre a un artista che avesse a che fare con la tassonomia, con l’archiviazione, con questa revisione e questo ha fatto sì che gli artisti si calassero anche nei panni di storiografi. Si parte da un’idea di soggetto alienato per poi in qualche modo ritrovarsi attraverso questi racconti questi materiali ma anche archivi. I materiali di Disobedience partono dall’inizio degli anni 70 e arrivano fino a noi. Quindi c’è sempre del materiale storico, hanno sempre un percorso che è stratificato e che ci permette appunto di vedere proprio come una certa idea di modernità sia stata abbandonata, una modernità politica, quella che conoscevamo, l’idea di popolo, di partito eccetera e il rapporto con altre istanze che non sono più indissociabili dalle componenti estetiche, artistiche o immaginative.

L’innovazione del progetto sta però nel fatto che non ti fermi al nostro passato né alla nostra idea di modernità, ma vai oltre, letteralmente nei paesi “emergenti”.

Abbiamo bisogno di riscoprire altri passati e altre radici, magari contaminate nelle forme e nei generi. Naturalmente il panorama che si apre, come rivelano i nomi degli artisti in mostra, è quello mondiale, si va dal Sud-Est asiatico, all’Africa, dagli Stati Uniti all’’Europa produzioni quindi su scala globale.

Disobedience Archive (The Republic), occupies The Parliament (2012) by Céline Condorelli, installation view, Castello di Rivoli, courtesy of Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli, Photo by Andrea Guermani, 2012.

Mi hai anche detto che è importante questo progetto, perché negli ultimi tempi è come se volessero silenziare la storia.

È come se fossimo stati espropriati della storia, resi silenti rispetto a tante questioni, quindi, ecco che il compito di questi materiali è in qualche modo, non solo produrre la storia ma anche denunciare la sua mediatizzazione con una valenza antagonista ma anche una forte valenza affermativa.

Come hai declinato, nel tuo progetto, questa valenza affermativa?

Con l’immaginazione che non può prescindere da un aspetto di disobbedienza, perché credo che oggi non abbiamo solo bisogno di immaginari formali, ma abbiamo bisogno di immaginari sociali, di genere e di genealogie.

Gli artisti di Disobedience Archive sono: Ursula Biemann, Black Audio-Film Collective, Seba Calfuqueo, Simone Cangelosi, Cinéastes pour les sans-papiers, Critical Art Ensemble, Snow Hnin Ei Hlaing, Marcelo Expósito with Nuria Vila, Maria Galindo & Mujeres Creando, Barbara Hammer, mixrice, Khaled Jarrar, Sara Jordenö, Bani Khoshnoudi, Maria Kourkouta & Niki Giannari, Pedro Lemebel, LIMINAL & Border Forensics (Lorenzo Pezzani, Jack Isles, Giovanna Reder, Stanislas Michel, Chiara Denaro, Alagie Jinkang, Charles Heller, Kiri Santer, Svitlana Lavrenchuk, Luca Obertüfer), Angela Melitopoulos, Jota Mombaça, Carlos Motta, Zanele Muholi, Pınar Öğrenci, Daniela Ortiz, Thunska Pansittivorakul, Anand Patwardhan, Pilot TV Collective, Queerocracy, Oliver Ressler and Zanny Begg, Carole Roussopoulos, Güliz Sağlam, Irwan Ahmett & Tita Salina, Tejal Shah, Chi Yin Sim, Hito Steyerl, Sweatmother, Raphaël Grisey and Bouba Touré, Nguyễn Trinh Thi, James Wentzy, Želimir Žilnik.

Disobedience Archive (Ders Bitti), exhibition display by Can Altay, 17th Istanbul Biennial, Central Greek School for Girls, Istanbul, Turkey, installation view, Photo by Sahir Ugur Eren; 2022.

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