Tina Cosmai: “Vi racconto il mio mondo onirico, tra tangibile e intangibile”

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Sono tre serie, “Attraversare il Tempo” (2022), “Nostalgia del corpo” (2021) e “Via di Fuga a Mare” (2018), a costituire il corpus della mostra “Timeless” fotografie di Tina Cosmai aperta fino al 6 aprile alla Alessia Paladini Gallery di Milano.

L’artista descrive così il suo processo creativo: “Lo definirei una nuova Weltanschauung, una rinnovata visione del mondo e dell’esistenza umana. Partendo dall’osservazione del paesaggio nelle sue mutazioni quotidiane, ho cominciato a riflettere sulla percezione spirituale e individuale della luce. Fin da subito ho sentito un forte legame tra ciò che osservavo e il mio essere profondo. Esattamente come per la poesia. Una riflessione sull’esistenza attraverso la realtà che ci circonda, in cui l’uomo può scegliere se essere libero o soccombere all’ipermodernità, ove la solitudine diventa l’unica condizione esistenziale”.

©Tina Cosmai, Nostalgia del corpo, opera nr. 1, 2021. Courtesy Alessia Paladini Gallery.

La solitudine è dunque la condizione umana indagata dall’artista che, nel procedere, fa largo uso di tecniche di post produzione intervenendo su molte immagini, non solo togliendo dall’immagine originaria ogni elemento che le sia di disturbo e inserendone di nuovi, ma anche saturando e desaturando il colore, e addirittura dipingendovi sopra cielo e mare. Opere, quelle di Tina Cosmai, definibili come “poesia dell’immagine”, che ricordano un lieve sussurro, un vento leggero che ci trasporta in un altrove, in un tempo dilatato e sospeso, uno spazio di riflessione immerso in una realtà magica e malinconica allo stesso tempo.

La serie “Attraversare il Tempo” (2022) indaga la condizione di solitudine e abbandono che vive l’uomo contemporaneo, rivedendola e offendo la possibilità di trasformarla, mentre in “Nostalgia del corpo” (2021) viene evocata la presenza di corpi viventi, rappresentati dagli amabili resti degli abiti di una bimba, di cui oggi rimane solo il ricordo; infine, in “Via di Fuga a Mare” (2018) ci troviamo in un improbabile paesaggio balneare ibridato con insediamenti industriali, laddove il mare rappresenta l’unica via di fuga.

Abbiamo intervistato l’artista in occasione della sua personale, per farci raccontare genesi, finalità e dettagli del suo lavoro.

©Tina Cosmai, Attraversare il Tempo, opera nr. 10, 2022. Courtesy Alessia Paladini Gallery.

Nel tuo lavoro c’è una forte connessione tra la poesia e la fotografia: in che modo coesistono nelle tue opere? Mi spieghi che significato ha nel tuo processo il termine Weltanschauung?

Credo che sul modello del noto motto oraziano ut pittura poesis, oggi si possa tranquillamente sostituire il primo termine con fotografia. La profonda analogia fra fotografia e poesia è avvalorata dalla partecipazione sensoriale ed estatica del fruitore che accomuna entrambe le forme espressive.

Dal punto di vista più personale, per me è stato un percorso naturale che mi ha condotto dalla poesia alla fotografia. Quando ho iniziato a utilizzare questo nuovo linguaggio non me ne rendevo conto. Solo proseguendo ho acquisito piena coscienza dello stretto legame tra la mia poesia e la mia fotografia.

Riguardo alla Weltanschauung, non è un astrattismo ma un certo modo di sentire e percepire il mondo. Può sembrare ovvio sentirsi nel mondo ma non è così. La percezione del nostro rapporto con il paesaggio non è sempre consapevole perché c’è una drammaticità che si impone nell’esserci. La nostra coscienza ha bisogno di una totalità, di una visione compiuta. Ma la natura ignora l’individualità, quindi l’uomo reclamerà sempre un rilievo individuale e caratteristico rispetto a quell’unità indissolubile della natura.

©Tina Cosmai, Via di Fuga a Mare, opera nr. 11, 2018. Courtesy Alessia Paladini Gallery

Come avviene la composizione delle immagini, il tuo lavoro che non si ferma al solo scatto ma è fatto di sovrapposizioni, desaturazione del colore, per arrivare a comunicare una sorta di tempo sospeso?

Dopo tante riflessioni su me stessa e sul mio lavoro, sono giunta alla conclusione che il fulcro delle mie opere è il silenzio e l’assenza, che come ha mostrato John Cage, è un particolare stato di sospensione che ci fa percepire sonorità altre che nascono dall’ascolto della propria interiorità. Anche l’abbandono può avere un suono dolce, delicato.

Dal punto di vista tecnico, nei miei progetti è fondamentale la fase di postproduzione, in cui lavoro le immagini con la pazienza di un artigiano per ottenere quella tonalità di luce e di colore che desidero. Per ricostruire ciò che elimino. È una luce onirica la mia, un bagliore in cui si dipana il mio sentire il mondo, sempre sospeso tra il tangibile e l’intangibile.

©Tina Cosmai, Nostalgia del corpo, opera nr. 6, 2021. Courtesy Alessia Paladini Gallery

In mostra ci sono le serie “Attraversare il Tempo”, “Nostalgia del corpo” e “Via di Fuga al mare”: me le vuoi raccontare dal punto di vista concettuale? Come sono nate?

L’inizio di tutto è stato “Via di fuga a mare”, cui sono seguiti “Nostalgia del corpo” e “Attraversare il Tempo”. Una foto, in particolare, quella di una canoa e di una petroliera che si incrociano in una rarefatta, indistinta atmosfera lattiginosa, ha rappresentato l’origine di tutto il processo creativo.

In generale, il progetto più concettuale è “Nostalgia del corpo”, un lavoro sulla memoria, sull’infanzia e sulla ricerca di una nuova identità in un corpo che ha perduto parti di se stesso; un corpo che non potrà mai più essere quello che una bambina aveva sognato. È una riflessione sulla caducità dell’esistenza, sulla consapevolezza che, improvvisamente, il nostro corpo può trasformarci o addirittura, lasciarci.

“Attraversare il Tempo” esprime la dimensione spirituale dell’uomo in cui il passato diviene un presente lunghissimo. È un lavoro sulla possibilità di rivedere, trasformare e oltrepassare la condizione di solitudine e di deserto interiore in cui vive l’uomo contemporaneo. Il deserto è il luogo dell’ascolto del proprio tempo; il luogo dove la luce infonde alla materia un’aura metafisica. Nel mio progetto, emergono rituali religiosi, la pesca; difese ancestrali, la fuga; paesaggi onirici, il mare. Nell’attualità di tutto ciò, nell’emigrazione forzata, nella fede e nella morte, nella fame, lo spazio del Tempo offre all’uomo la dolce amarezza per trovare sollievo dal dolore.

©Tina Cosmai, Via di Fuga a Mare, opera nr. 3, 2018. Courtesy Alessia Paladini Gallery.

Cosa rappresenta per te la fotografia?

La fotografia è conoscenza, è, per dirla con Romano Guardini (teologo e scrittore italiano. Nato a Verona nel 1885, visse tutta la sua vita in Germania dove morì nel 1968 a Monaco di Baviera, ndr), esperienza dell’incontro: “il mondo umano è per la persona fonte inesauribile di conoscenza. Un punto d’avvio di un dinamismo esistenziale che apre l’uomo all’orizzonte integrale della vita”.

Ma l’incontro in senso autentico si ha solo quando lo sguardo parte dall’uomo. Uno sguardo che coglie il sensibile per esprimere l’insensibile, quel qualcosa che va oltre, che dà significato, spessore, poesia al mondo, al paesaggio. Sono molto contenta che in genere le mie fotografie siano considerate armoniose e rasserenanti, anche se spesso nascono da ferite non rimarginate. Non so se succederà per il mondo, ma, come mi accadeva con la poesia, il bello mi ha sempre salvato.

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