Picchí idda: l’audacia della fotografia di Letizia Battaglia

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“Perché lei?” è una domanda che qualcuno pose al sindaco Orlando, quando nel 2012 i giornali pubblicarono la notizia della realizzazione del Centro Internazionale di Fotografia affidandone la direzione a Letizia Battaglia. Battaglia nella vita fu una straordinaria e audace fotografa che non si definì artista. “Non mi sentivo, né pensavo e non lo penso neanche oggi, di essere un’artista, facevo la fotografa per mantenermi e fermare in immagini quello che mi suscitava rabbia, pietà, amore e bellezza”, affermava Letizia Battaglia per le pagine di Sabrina Pisu (Sabrina Pisu, Mi prendo il mondo ovunque sia, Einaudi, 2020.)

Letizia Battaglia – Una vita. Come un cazzotto, come una carezza” è la prima mostra diffusa organizzata per celebrare la forza della fotografia dell’artista palermitana. L’esposizione, curata da Paolo Falcone, si terrà fino al 19 maggio a Salerno, organizzata dall’associazione Tempi Moderni in collaborazione con l’Archivio Letizia Battaglia e la Fondazione Falcone per le Arti. Il corpus centrale dell’esposizione ha sede nelle sontuose sale di Palazzo Fruscione e nell’ambiente sacro della Chiesa di San Sebastiano del Monte dei Morti, attraverso l’istallazione di oltre un centinaio di fotografie. È “un’opera polifonica unica”, afferma il curatore, “che rompe gerarchie e cronologie e che crea una narrazione aperta oltre a quella predefinita che il pubblico può costruirsi secondo la propria percezione”. L’originalità dell’esposizione consta nella dinamicità del percorso visivo costruito mediante nuovi sistemi installativi che ne restituiscono la molteplicità narrativa. 

il ritratto di Pier Paolo Pasolini incontrato da Letizia Battaglia al Cinema Turati nel 1937 © Settimanale Unico

La polifonia spaziale della mostra porta le opere di Battaglia anche nella Corte di Palazzo Pinto, nella Cappella di San Ludovico, nella cappella e nell’ipogeo di San Pietro a Corte. Il dinamismo espositivo garantisce una vitalità nell’atteggiamento del visitatore che attraversa lo spazio urbano rappresentato dal centro storico della città di Salerno, per scorgere le straordinarie e coraggiose fotografie di Letizia Battaglia. L’obiettivo è la sinestesia tra fotografia e vita quotidiana, che finiscono per confluire in un unico “percorso poetico struggente e drammatico” che ricorda, a soli due anni dalla scomparsa della fotoreporter, la sua grandezza artistica e umana. Salerno diventa, in questa occasione, una galleria a cielo aperto, un contenitore dinamico del lavoro fotografico di Battaglia.

Credo di essere nata, rinata con la macchina fotografica in mano. Letizia Battaglia per la prima volta nasce nel 1935 a Palermo, la seconda all’età di 34 anni iniziando a fotografare. Nel 1969 inizia a collaborare con il giornale palermitano L’Ora, con una vecchia Leica preimpostata, con i valori di diaframma e tempo focale, da un fotografo più esperto.  È nel 1970 che si trasferisce a Milano. Ma è la città di Palermo, musa inquietante, ad essere catturata dall’obiettivo di Letizia Battaglia. È con l’arrivo dei Corleonesi a inizio anni Ottanta che Palermo diventa teatro di una guerra civile, palcoscenico di storie di mafia, di orrore e di morte. Povera la nostra Palermo: la mia macchina fotografica, una Pentax K1000, ha fermato in tanti istanti, sempre e solo in bianco e nero, sempre e solo con un grandangolo, sempre in un corpo a corpo con la realtà, la vita nel suo labile confine con la morte, recisa con troppa facilità dai proiettili. L’odore del sangue dei morti non mi ha mai abbandonato”.

Il potente carico della sua fotografia è evidente, fotografare non era che un modo di resistere e di testimoniare il non scendere a patti con la parte corrotta della società, è denunciare la piccolezza della mafia e le tragedie che essa genera.

Fotografare Palermo, le sue strade, la sua gente, testimonia un legame viscerale che Battaglia nutrì con la città, un legame profondo con lo spazio urbano, con le sue spensieratezze e al contempo le enormi brutalità e la costante speranza di una rinascita. Letizia Battaglia, qui a Salerno, è narrata per quello che è stata e continua ad essere: una fotografa e un’attivista pronta a impegnarsi in prima linea per cambiare le sorti di un modo ingiusto. La sua è una rivoluzione quotidiana, coraggiosa perché vissuta in prima persona, dietro il mirino talora invadente della sua macchina fotografica. Il mondo che descrive non ha filtri; fredda, gelida, triste è la realtà che immortala, senza sofismi o perbenismi. Avvalendoci della teoria di Lucy Lippard, che in merito alla Pop Art la definisce un’arte estroversa, poiché cattura la realtà in maniera istantanea, (pensiamo ad Andy Warhol o ad Edward Ruscha) anche la fotografia rivela un’attitudine all’estroflessione.

La fotografia di Letizia Battaglia è estroversa al punto tale da mimetizzarsi con l’umanità che cattura; è una fotografia partecipe che testimonia con occhio oggettivo una pluralità di eventi e storie, dalla cronaca nera che invade la città di siciliana, alle feste religiose, ai bambini adultizzati, alla vita “altra” nella Real casa dei matti in via Pindemonte, e ancora immortala Giovanni Falcone ai funerali di Dalla Chiesa, Rosaria Schifani vedova dell’agente di scorta di Falcone, è un indistinto partecipare alla vita nei suoi eventi più duri e reali. Compagna fedele della sua vita, la macchina fotografia diviene estensione della sua percezione del mondo e dello spazio, l’unica possibilità di redimersi dalla brutalità dell’esistenza e l’unico modo per far vivere la bellezza dell’innocenza. Letizia Battaglia fece la rivoluzione nella sua vita, così come in fotografia, e la fece, come disse lei stessa, con “gentile perseveranza e senza chiedere permesso”.

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