Luca Pignatelli a Lugano. Nel segno dell’astratto

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Un “catalogo dell’Occidente”, come lo chiama Luca Pignatelli, l’artista medesimo, parlando della sua mostra, alla prima prova ufficiale con l’astratto, al Museo delle Culture di Lugano, in esposizione fino a maggio 2024. “Astratto” – tanto specifico e pregnante risulta il cimento attuale dell’artista – è infatti il titolo della mostra, curata personalmente dal direttore del museo svizzero, Francesco Paolo Campione, che ha profuso nell’operazione, durata ben due anni di dialogo fitto e profondo con l’autore, un raffinato impegno di analisi e di sintesi tra l’arte, l’antropologia e la psicologia. 

Luca Pignatelli ph Giuseppe Anello

Un catalogo occidentale – aldilà del bel volume che ne ha ricavato Skira, proprio nel progetto e nella prassi dell’esposizione – che facilmente potrebbe indurre a essere letto quasi come un “testamento” dell’Occidente, alla luce (assai tenebrosa) delle sempre più frequenti profezie di caduta, ormai avviata e in corso, della cultura e dei valori della parte geografica del globo a cui apparteniamo, nella speculazione filosofica, sociologica e anche nel commento quotidiano, giornalistico. 

E tale potrà essere anche l’approccio del visitatore alla mostra: nella solennità dell’allestimento, nella cura infinitesima per i dettagli e per le descrizioni, negli apparati testuali e nel rigore strutturale, in senso semiologico ma anche, naturalmente, architettonico: con pareti completamente ridipinte ad hoc e i testi dell’artista vergati a stampa, a introdurre le sale in cui sono state disposte le 49 opere, quasi tutte inedite.

Luca Pignatelli, Cosmogonia Litica, 2021-2022, 277×425 cm Ph Giuseppe Anello

Con questa mostra di pittura astratta, in questo museo dalla vocazione antropologica, archeologica delle arti della storia dell’Uomo, pare che l’astrattismo in pittura sia al debutto, tale è l’atmosfera aurorale, prima che inaugurale, da grandi occasioni, e pare anche che l’intera storia dell’arte umana, in quanto espressione di tutti gli infiniti segni impressi dall’Uomo nella propria storia, abbia trovato sistemazione, ordine riepilogativo, ricetto e riscatto.

Il lavoro di ricerca di Pignatelli sull’astratto dura da un decennio circa e i risultati sono il frutto coerente di una continuità concettuale sulla maniera della figurazione che aveva connotato gli esordi della carriera, un prodotto omorganico che rende riconoscibile la mano dell’artista, come se la calata negli abissi dell’informe, della molteplicità lacerata e divisa delle molte realtà che stanno al di sotto del reale, altro non siano che rappresentazione trascendentale dei miti della prima produzione in una teoria di opere apparentemente immutabile, ma in verità dettagliatamente unica in ogni singola tela, dettagli da cogliere nella contemplazione attenta di lavori spesso dalle dimensioni architettoniche, tanto che al culmine del percorso l’allestimento di una stessa sala può essere visitato, grazie a una provvidenziale loggia forata tra due piani, sia dal basso che dall’alto. 

Luca Pignatelli, L’Arena degli Alfabeti, 2019, 146×171 cm Ph Giuseppe Anello

Supporti e materiali compositivi sono ancora i grandi teloni ferroviari, i chiodi e le piastrine di metallo arrugginito, le corde e il cuoio corrosi dal tempo, e si ritrovano le graffiature, le bucature, gli addensamenti cromatici e gli inserti grafici e letterali, ma questa volta non si scorgono afroditi o aerei in sagome composite, ma si vedono folle intere di esseri e scene deformi, sarabande di ricordi, sogni e incubi vorticanti, ogni quadro è un totem animistico e l’insieme dei quadri, mentre si percorre l’itinerario espositivo, è un viaggio iniziatico di arcaici misteri, e di contemporanee rivelazioni.

Grazie all’intenso, approfondito periodo di gestazione comune della mostra, condiviso in più sedute (di tenore psicoanalitico, quasi) tra il maestro e il curatore, la regia espositiva è scandita da una partitura scientifica di narrazione semiotica: ogni sala è intitolata a una delle undici parole chiave dell’evoluzione artistica dell’autore, ogni parola è chiave di accesso alla sala successiva e alla parola che la denota, e la prima e l’ultima parola sono vicendevolmente interconnesse, nel senso e nel significato, così da restituire a chi cammina e guarda una sola chiave di comprensione del tutto, dopo avere attraversato l’infinità dei sensi e dei significati. Una mostra, insomma, che si qualifica di per sé come un’opera d’arte, quale integrale mise en abyme.

Forse non un testamento dell’arte, dunque, ma certamente l’esposizione al Museo delle Culture di Lugano sarebbe, se fosse possibile, fra le testimonianze artistiche contemporanee da lanciare nello spazio siderale fino alle galassie più remote, come il disco d’oro che contiene la musica del pianeta, dai canti navajos a Beethoven, fino a Chuck Berry, inserito nella navicella Voyager dalla Nasa nel 1977, per recare ad altre intelligenze universali il racconto della musica della Terra. 

Peccato che l’arte di Pignatelli sia così monumentale da lasciare tracce solo nella dimensione terrena. O per fortuna.

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