Fernanda Wittgens: la donna che salvò la Pinacoteca di Brera

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Ne ho sentito parlare qualche giorno fa durante il programma Passato e Presente di Rai Tre e l’argomento mi ha subito incuriosito. Chi vive o frequenta Milano e ben conosce l’Accademia di Brera, probabilmente avrà già sentito parlare di Fernanda Wittgens. Per il resto d’Italia, la critica d’arte, prima donna nominata alla direzione di un museo nella penisola, è quasi una sconosciuta.

Sarà soprannominata “allodola” da Ettore Modigliani che ne evidenziò la cura e la delicatezza, e definita una donna “con piglio soldatesco” da Antonio Greppi, primo sindaco di Milano dopo la Liberazione.

Matilde Gioli nella fiction Rai dedicata a Fernanda Wittgens

Nata a Milano nel 1903, Fernanda cresce in una famiglia colta della media borghesia, di origini austro-ungheresi. Dopo la laurea in Lettere presso l’Accademia scientifico-letteraria di Milano, si specializza in storia dell’arte. La sua tesi, dal titolo I libri d’arte dei pittori italiani dell’Ottocento, le aprirà le porte dell’insegnamento ai licei Parini e Manzoni, dove si tratterrà per qualche anno. La svolta alla sua carriera arriverà più tardi.

A gennaio 2023, Rai Uno ha dedicato a Fernanda Wittgens una fiction, in cui si ripercorreva la storia, romanzata, della donna, interpretata da Matilde Gioli, dalla passione per le opere d’arte all’impegno civico, al fianco della resistenza antifascista. Soprattutto, alla caparbietà e alla meticolosità di Fernanda si deve l’integrità di molte opere che, senza il suo intervento di prevenzione, sarebbero andate distrutte durante i bombardamenti e i saccheggi della Seconda Guerra Mondiale.

Ma come finisce un’esperta d’arte, l’unica donna, in mezzo a tanti uomini, a sovrintendere quella che è ancora oggi una delle gallerie d’arte più note d’Europa?

Già a venticinque anni, Wittgens entra a Brera come “operaia avventizia”, con funzioni tecnico-amministrative. La precisione e la cura ai dettagli, unite alla sua notevole preparazione, le permisero di attirare l’attenzione dell’allora direttore Ettore Modigliani, per il quale la donna sarà paragonata a una “allodola”, uccello dal volo rapido e leggero, inno alla sua discreta e costante presenza. 

Sarà lui a promuovere Fernanda, meno di tre anni dopo la prima assunzione, al ruolo di vicedirettrice della Pinacoteca. A soli 28 anni, occupandosi da sola, per conto della Pinacoteca, dell’organizzazione di una mostra d’arte italiana a Londra, consacrerà il suo successo, sempre al fianco di Modigliani. Saranno anni di trionfi e soddisfazioni, bruscamente interrotti dall’applicazione delle leggi razziali che costrinsero il direttore a ritirarsi dalle cariche dello Stato e poi a lasciare il paese.

È in quel momento che Wittgens, da vice, passerà a ricoprire il ruolo di direttrice, trovandosi a gestire non solo l’amministrazione dell’intero complesso, ma la vitale salvaguardia del suo contenuto. La sua priorità fu evitare che le invasioni dell’esercito nazista e le sue azioni scellerate colpissero e deturpassero le opere contenute all’interno della Pinacoteca. Seppur giovane, si mostrò preparata e capace, coordinando il progetto di messa in sicurezza delle opere e occupandosi della catalogazione e del trasferimento di vari quadri in luoghi considerati più sicuri nell’Italia centrale.

Tra le opere salvate grazie alla sua progettualità e all’operato dei suoi collaboratori, oggi la Pinacoteca ospita capolavori come il Cristo morto di San Luca di Mantegna, la Pala di San Bernardino di Piero della Francesca, lo Sposalizio della Vergine di Raffaello, la Cena in Emmaus di Caravaggio, i paesaggi mozzafiato di Canaletto e il famoso Ritratto di Alessandro Manzoni, firmato da Francesco Hayez, che capeggia nei libri di letteratura italiana.

Fiori a Brera, uno degli eventi tenuti in Pinacoteca tra il 1956 e il 1957 (foto Milano, Laboratorio Fotoradiografico della Pinacoteca di Brera).

Non solo opere museali però, ma vite umane. Durante gli anni delle persecuzioni, se da una parte Fernanda si occupava pubblicamente della protezione di opere d’arte, dall’altra non poteva non considerare necessario salvaguardare un altro tipo di opera d’arte, o chi di questa è artefice: l’essere umano. Non si sottrasse mai davanti alla richiesta di aiuto di amici e conoscenti di origini ebraiche, che salvò dalla deportazione. E non si tirò indietro neanche dall’ammissione orgogliosa di aver contribuito a contrastare le brutalità del nazi-fascismo, tanto da essere condannata a quattro anni di detenzione – di cui poi ne sconterà solo uno, liberata nell’aprile 1945 – nel carcere milanese di San Vittore.

Dal 1945, sarà in prima linea a occuparsi della rinascita del complesso museale, di cui molte sale erano andate distrutte a causa dei bombardamenti, con il sogno di rendere la Pinacoteca, non solo maestosa, ma anche fruibile.

Nel 1950, sarà nominata soprintendente alle Gallerie della Lombardia, incentivando, tra le altre cose, il restauro del Cenacolo Vinciano e l’acquisto della Pietà Rondanini di Michelangelo, oggi esposta nel Castello Sforzesco del capoluogo lombardo. Cresciuta in mezzo alle opere d’arte, e dopo aver lottato anni per la loro custodia, non poteva che essere la Pinacoteca il suo ultimo rifugio. Sarà allestita lì la camera ardente, in cima allo scalone d’onore, dopo la sua morte, a soli cinquantaquattro anni.

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