Alexander Kossuth, ad Assisi lo spazio del sacro riparte dall’uomo

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Il destino delle creature umane si compie lungo il processo di metamorfosi del visibile nell’invisibile, e il compimento avviene quando il tempo cade e ci si ritrova nell’Uno. Rainer Maria Rilke aveva coniato un neologismo che indicasse uno spazio comprensivo tanto del mondo esterno quanto di quello interiore all’uomo. Il termine era Weltinnenraum, tradotto come Spazio interiore del mondo

L’uomo in quanto sintesi di fisicità e spiritualità, culmine della Creazione. Da questa visione nascono le opere di Wolfgang Alexander Kossuth.

Pietà, 1998, resina, cm 120x200x180.

Kossuth è stato pittore, scultore, violinista e direttore d’orchestra, ha dedicato tutta la sua vita all’arte, fondendo la passione per la musica a quella per le arti figurative. La figura umana è sempre stata al centro delle sue composizioni. Studi anatomici, resa del movimento, la bellezza classica si fonde con equilibri improbabili. Il risultato è una figura fisiognomicamente perfetta ma che va oltre la realtà, visione personale dell’artista che asseconda e nega al tempo stesso il naturalismo. 

Tentazione di Adamo, 1995, resina, cm 80 x 80 x 247.

Armonia e teatralità caricano le sue sculture di pathos, tensioni e torsioni, corpi che sfidano le leggi di gravità in un’esplosione di energia e dinamismo. 

Nelle sue sculture, Kossuth fa riferimento ad una concezione classica e tradizionale del fare artistico, riesce però ad enfatizzare i volumi del soggetto in un rapporto d’equilibrio all’interno dell’intera figura umana. Per raggiungere maggiore espressività̀, Kossuth esercita delle leggere ma evidenti deformazioni: allo scopo di ottenere un’eleganza artificiosa, l’artista tende ad allungare le forme in maniera non naturale. 

A sinistra, Giobbe, 1998, resina, cm 75 x 105 x 110. A destra, Maddalena sotto la croce, 1997, resina, cm 100x140x320.

Sino al 5 maggio, saranno in mostra al Palazzo Bonacquisti ad Assisi, una selezione di opere monumentali di Wolfgang Alexander Kossuth, a cura di Matteo Pacini.

La mostra “Ascesi e Pathos” dà conto, nel differenziarsi di linguaggi e soggetti, dell’instancabile ricerca di Kossuth verso quella che Michael Engelhard definisce “una scintilla della bellezza divina nell’uomo”, con la ferma intenzione di esprimere con più concretezza l’umanità del tema sacro. 

DAVIDE 2000, 1999, resina, cm 60x40x170.

L’artista crea perché la sua opera vada oltre la contemporaneità, al di là delle mode e delle correnti artistiche. Nelle sue opere, pathos e teatralità trasudano da corpi contorti, a volte idealizzati al punto da richiamare divinità greco-romane, altre così espressivi da dimostrare un’innata capacità di appropriarsi degli spunti offerti dalla realtà del quotidiano, dando comunque una voce poetica alla ricerca del vero

Kossuth crea equilibri che si diverte a stravolgere e sovvertire, destabilizzando lo spettatore con un apparente realismo, che di realistico, in realtà, ha ben poco. Pelle, muscoli e nervi sono tesi all’inverosimile e plasmati in una materia che appare viva, per poi perdere sostanza e acquistare fluidità, conferendo a temi classici e antichi un senso del tutto nuovo. Mitologia e bellezza classica incontrano la spiritualità dei temi religiosi in cui percepiamo, con la stessa intensità, un senso di appagamento spirituale misto a una latente sensualità. Sacro e profano si mescolano tra ascesi e pathos.

Davide Montagna, 1995, resina, cm 63x42x178. 

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