13 artisti giocano seriamente nella mostra “The Game”

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Due spazi atipici a Milano, Spazio Blue Train e The Kitchen art gallery, presentano in zona Naviglio Martesana The Game, mostra collettiva, a cura di Silvia Franceschi, sul tema del gioco.

Con cosa giocano gli adulti, quando e se lo fanno?  Nei film e nelle serie tv, nei romanzi e nelle canzoni oppure nei programmi televisivi o sui social network si parla degli adulti che giocano con i sentimenti degli altri o con i propri, si dibatte di quelli che giocano in borsa o sui siti di gambling e anche di persone che giocano a fare dio. Silvia Franceschi, curatrice della mostra The Game, si sarà posta la mia stessa domanda, quando ha coinvolto 13 artiste e artisti, di generazioni diverse e che usano tecniche e materiali tra i più disparati per la loro ricerca artistica, a cimentarsi sul tema del gioco.

Installation view, ph Giulio Perfetti

Nella casa-galleria Spazio Blue Train, con giardino sul Naviglio Martesana a Milano, e in tandem con la vicinissima The Kitchen art gallery, la curatrice milanese ha selezionato una trentina di opere d’arte, tra le quali alcune installazioni, in cui ciascun artista ha giocato, è il caso di scriverlo, con materiali diversi per sviluppare il tema della mostra.

Ad alcuni di loro è riuscito anche di riutillzzare pezzi di giochi: è il caso di Elisa Carovilla che con i suoi Nonpiatti, assembla oggetti di ceramica a frammenti in plastica di giocattoli in disuso e di Paolo Ceribelli che ha reinventato, a suo modo, un nuovo uso dei soldatini con cui giocano solitamente i bambini.  Nelle sue mani gli eserciti in miniatura sono diventati opere dalle varie forme e mappe di mondi che solo quando si è vicini svelano di cosa sono fatti. 

Installation view, ph Giulio Perfetti

Altri artisti come Luca Corradi hanno portato in mostra alcune polaroid rese uniche con interventi a mano e che ritraggono l’iconico cubo di Rubik che spopolò negli anni ‘80. Anna Dormio, invece, ha giocato con un ricordo della sua infanzia portando istantanee con i cieli bucati dai proiettili e quadri con quegli strani giochi che sono le armi ritagliate e poi messe su tela. Serena Giorgi e Giulio Perfetti, hanno in mostra “The Game” un’opera molto originale con l’uso dell’alluminio che esalta, impreziosendole, alcune forme geometriche in legno usate dai bambini più piccoli per esercitare la memoria e la scoperta. I due artisti si richiamano al pensiero di Enzo Mari che diceva “è una faccenda molto seria: il gioco non serve a passare il tempo, ma a capire il mondo”. 

Anna Giuntini ha usato foto, ritoccate con oro e altri materiali, dei luoghi dove qualcuno si divertiva a giocare a nascondino mentre Mimmo Iacopino, decontestualizzando alcuni oggetti di uso quotidiano, e trasformandoli in altro rispetto alla funzione originaria, ci mostra una forma alternativa di gioco in cui la libertà di decidere come usare alcune cose è sinonimo di rottura dell’equilibrio e anche della routine. 

Installation view, ph Giulio Perfetti

Andrej Mussa ha reinterpretato alcuni paesaggi di Miyazaki, quelle popolari immagini incise nella memoria di tutti quelli che hanno guardato le famose montagne che sorridono ad Heidi nel celebre cartone animato giapponese. Andrea Meregalli espone i suoi libri d’artista in cui continua a proporre apprezzati   giochi di parole e di immagini. René Pascal espone fotografie che vengono dal passato, in bianco nero, hackerate con oggetto di uso comune, come bottoni ad esempio, proponendo una metamorfosi dei ricordi. Fabrizio Molinario ha in mostra alcune opere in cui piccoli omini affollano barconi e sembra che qualcuno stia giocando con le loro vite.  

In mostra c’è anche una potente installazione di Angelo Jelmini intitolata “senza regole” in cui si riconoscono giochi e oggetti legati al mondo dell’infanzia, riproposti dall’artista che nella sua pratica trentennale ha rielaborato rifiuti invisibili, come li definisce lui stesso.   

Nella mostra “The Game” si è sollecitati a considerare l’equazione in cui il gioco sta ai bambini come l’arte dovrebbe stare ai grandi. Come nell’infanzia il gioco è lo strumento per capire, inconsapevolmente, il mondo, così dovrebbe essere per l’arte. Una sorta di gioco per svelare agli adulti l’importanza delle regole e la forza della creatività. Il gioco infatti è legato indissolubilmente all’idea dell’invenzione che ci rimanda alla creazione. 

Questa mostra ci indica anche il potere della gratuità del gioco, inteso quindi come attività non legata al mero do ut des ma a qualcosa con un valore superiore e incalcolabile. Davanti alle opere, ai visitatori della mostra, suggerirei un’altra domanda: con che cosa giocano gli artisti quando giocano? Oltre ai materiali, ciascun artista predilige il suo e capire il perché è già un’attività ludica. Si può affermare con sicurezza che la maggior parte di loro gioca con i ricordi e con la memoria. Molte opere rimandano ad un tempo passato che non si vuole perdere ma piuttosto recuperare, perché a nessuna età bisognerebbe smettere di giocare.  E così ritorniamo al pensiero di Enzo Mari: solo continuando a giocare non smettiamo di costruire le persone che siamo. E anche questo (non) è un gioco.

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