Regine Schumann: “La luce e il colore, una via per la felicità”

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L’arcobaleno è un ponte colorato che unisce cielo e terra, riconcilia gli uomini con gli elementi naturali. Iris era la dea dell’arcobaleno, era dotata di piedini veloci, cinti da calzari alati, di grandi ali d’oro e il caduceo per sgombrare le nubi (il ramo di ulivo che connotava gli araldi in attività). Iris, è la personificazione dell’arcobaleno, le sue vesti variopinte lasciavano, al suo passaggio, la scia di mille colori nella volta celeste fino a formare appunto l’arcobaleno.

La scelta del titolo della mostra Iris di Regine Schumann, a Milano alla Dep Art Gallery a cura di Alberto Mattia Martini (visitabile sino al 20 aprile), non è dunque casuale. C’è una profonda connessione tra il materiale usato dall’artista, il plexiglass, e l’immateriale, ovvero la luce. Il titolo “Iris” è in perfetta sintonia con il lavoro di Regine Schumann.

Le opere di Schumann sono realizzate con lastre di colori acrilici prodotte appositamente per lei.  Il suo lavoro è concepito come uno spazio emotivo, le stanze piene di luce colorata di Regine provocano intense sensazioni. Il suo approccio influenza tutto, dalla scelta dei materiali al modo con cui gioca con forme e colori. Le sue mostre rendono il visitatore parte dell’installazione stessa. Nel suo lavoro sono evidenti la ricerca, ma allo stesso tempo le sue opere sono poetiche, giocose e spontanee.

Come afferma il curatore Alberto Mattia Martini: “Nelle opere di Regine Schumann il colore e la luce divengono un tutt’uno, arrivando a trascendere il reale ed immergendo l’occhio dello spettatore in una dimensione atemporale, senza limiti di confini per lo sguardo. La nuova produzione di opere dell’artista approfondisce un dialogo costante tra l’irradiazione cromatica del colore e l’iride (Iris) di chi osserva, offrendo un’esperienza visiva unica, intrisa di mistero e fascinazione.”

C’è una corrispondenza tra luce artificiale e naturale, ombre, colori e spazio, mutano in continuazione e fanno vibrare le opere dell’artista e l’animo di chi le ammira. In questa intervista esclusiva l’artista tedesca ci svela i segreti di questa sua ricerca.

Volevo innanzitutto chiederti come è nato il titolo della mostra, che rimanda alla dea greca Iris, messaggera degli dèi, ma anche dea dell’arcobaleno.

Devo dirti che il titolo è scaturito in modo molto naturale conversando con Alberto Mattia Martini (il curatore della mostra, ndr). Io avevo in testa l’Iride e parlando con Alberto siamo arrivati a Iris che tocca sia la storia dell’arte sia un’idea un po’ più filosofica. Questa collaborazione tra l’artista e il curatore mi piace molto in Germania non è usuale, capita solo quando si fanno mostre pubbliche.

Credo sia fondamentale, perché magari uno comprende una cosa a cui l’altro non è arrivato.

Sì esatto! L’artista esprime le sue emozioni attraverso il suo lavoro e il curatore (quelli bravi, certo) lo traduce in parole.

Qual è la tua ispirazione?

Non parlo mai della mia vita privata, ma forse ha un senso parlarne perché in questo modo si comprende meglio la mia ricerca. Ho avuto due grandi dolori, che mi hanno portato a cercare la luce nelle mie opere, e cercare di regalarla anche agli altri.

Le tue lastre di plexiglass creano velature dalle quali emerge la luce. Che interazione c’è tra il colore, la luce e la forma nei tuoi lavori?

Studio innanzitutto lo spazio, da dove arriva la luce, se è naturale o artificiale. Questi sono i primi passi, poi nasce il resto, certo è, che è la combinazione di tutti gli elementi che mi interessa.

Per te i colori sono anche un modo di esprimere lo stato d’animo che vuoi trasmettere o che vorresti che si percepisse?

Sicuramente vorrei innanzitutto trasmettere. Io arrivo da studi artistici e se vuoi tradizionali, vengo dalla pittura quella classica, sono arrivata a Roma, anche se poi sono tornata in Germania dove vivo tuttora, con una borsa di studio e tanti progetti. Proprio qui in Italia ho capito che quello che facevo, per me non funzionava.

E allora cosa hai fatto?

La luce romana mi ha ispirata ho capito che volevo e dovevo utilizzare qualcos’altro per far percepire nel modo giusto il mio modo di vivere l’arte e i colori, ho provato diverse tecniche e materiali, non era facile perché, quando io ho iniziato ad usare materiali nuovi non c’era l’esperienza e la tecnologia che abbiamo ora. Con pazienza ho trovato il mio materiale, che mi dava quello che io cercavo. Anche adesso cerco sempre nuovi spunti, ad esempio nei lavori che ho chiamato “Rainbow“, se li guardi sono quasi uno specchio, ma se cambi angolazione della visuale diventano trasparenti.

La bellezza dei tuoi lavori è proprio questa, secondo me, ogni volta che li guardi scopri qualcosa di nuovo. Nelle tue ultime opere che tu hai chiamato Corner ad esempio, i colori cambiano, gli angoli sono smussati. Come è nata questa nuova serie?

Sono nati per caso, anche se penso che tutto avvenga per un motivo, stavo smontando una mostra che era appena terminata a Los Angeles e le persone che portavano fuori i miei lavori incidentalmente ne hanno fatto cadere uno, che io amavo molto, e si è rotto un angolo. Al momento mi sono disperata, gli operai erano mortificati, ma mi sono fermata un attimo e mi sono detta che forse era un segno, dovevo cambiare qualcosa. È questo che mi piace del mio essere artista riuscire a trovare anche nei momenti più bui una luce.

E quel pezzo mancante sembra quasi sia un pezzo di quello che potrebbe essere la felicità, e che forse si può trovare nel colore e nella luce.

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