BUM! tutto il fervore di Baj in mostra al MUST

Getting your Trinity Audio player ready...

“I Nucleari dovrà abbattere tutti gli -ismi, una pittura che ricasca sempre nell’accademismo, qualunque ne sia la genesi. Vogliono e possono reinventare la pittura”.

Recita così, l’originale è in lingua francese, il Manifesto dell’Arte nucleare che vede la luce tra il 1951 e il 1952 per mano di due artisti milanesi, Enrico Baj e Sergio D’Angelo. L’essenza della loro volontà artistica risiede fondamentalmente nel voler mitigare la centralità di astrattismo e informale e intervenire anche sul piano tecnico della creatività artistica.

Una preziosa mostra su quel periodo (BUM! Enrico Baj e l’arte nucleare), con alcune opere anche di altri rappresentanti di quel fervore, come Gianni Dova e Gianni Colombo, è ospitata dai locali del MUST, Museo del Territorio, di Vimercate, l’antica e latina Vicus Mercati oggi brianzola (nel museo, un coinvolgente allestimento permanente ripercorre la storia di quei luoghi sino alla modernità). La parte del leone la fa Baj con la presenza di quasi 25 opere che mostrano l’intero percorso artistico dell’innovatore milanese, a partire dalle suggestioni surrealiste e intraprendendo una nuova strada creativa che unisce “scienza e istinto, impulsività e rigore, attitudine ludica e impegno sociale” (dalla curatrice Simona Bartolena).

Forma cranica, 1952, olio e smalto su tela.

È chiaro dal nome prescelto che si viveva in quegli anni un clima dalla forte possibilità nucleare (sono solo 7 gli anni che separano la data di Hiroshima da quella del manifesto nucleare): nel caso della corrente artistica,  Baj e gli altri erano tuttavia affascinati dalle potenzialità scientifiche della fissione nucleare e del possibile uso pacifico dell’energia nucleare.

Già, la parola energia! È questa la stella cometa che muove la mente dell’artista in direzione di nuovi territori dove sperimentare e tentare di incrociare l’arte con il contesto sociale. Forma cranica (1952) ci mostra una figura che ricorda la tensione da ‘ultimi giorni dell’umanità’ e anche una forma marziana che avrà grande successo iconografico nei decenni successivi. Il Movimento si scioglie alla metà degli anni Cinquanta e Baj prosegue nella sua azione di integrazione di elementi molto materici: nel suo Figure (siamo nel 1956), l’artista aggiunge alla superficie ovatta, piccoli frammenti cromatici di vetro e include anche la tecnica del collage.  

Enrico Baj, Personnage, 1962-63, tecnica mista e oggetti su tessuto, courtesy Tornabuoni Arte, Firenze.

Già da qualche tempo Baj intendeva intervenire in modo tecnicamente più materico sulla tela e, infatti, i suoi Personaggi notturni (1955) ci mostrano la colla che si aggiunge all’olio e scompare quasi del tutto ogni riferimento a figure visibili. L’informale ha trovato una nuova strada espressiva, in un linguaggio artistico che diventa meno impulsivo e occupa la spazialità della tela in modo più ragionat.

L’artista ancora non aveva però svelato un ulteriore elemento della sua poetica: l’humour. Lo fa qualche anno più tardi sia in forma difensiva (“la migliore arma di difesa per preservare almeno la libertà di pensiero”, ebbe ad affermare) che di attacco alle istituzioni repressive: Personnage (1962-63) rielabora in questa nuova luce tutti gli elementi di poetica già apparsi nelle opere precedenti. Disintermediazione dalla tela ad esempio, qui infatti la varietà degli oggetti artistici ha per supporto sul tessuto; la ripresa delle espressioni tragiche del volto umano che qui assume una forma anche tragicomica; una bocca volutamente da fauci che ricorda più la repressione totalitarista che un ordinario contesto democratico. 

La morte dell’anarchico Pinelli, 1972, acquaforte.

La deriva socio-politica diviene un pericolo e Baj si innesta con le istanze di giustizia che provengono dal basso e quindi appare uno dei suoi omaggi all’anarchico Giuseppe Pinelli e alla famigerata sua morte con il volo dalla sede della questura milanese. Ancora una volta l’artista non usa la tela bensì la tecnica dell’acquaforte, anche per permettere una riproduzione seriale a un’opera e a un protagonista di quegli anni che, anche mentre vola, è oggetto di odio e violenza.

La morte dell’anarchico Pinelli è del 1972, mentre dell’anno precedente è un’opera della serie dedicata al “Generale”. Anche qui i tanti elementi della poetica cara all’artista milanese si ritrovano in un affresco unitario: l’humour, che ridicolizza la figura virile nella sua parte più intima, le fauci disumane al posto di una bocca umana, l’incredibile serie di medaglie che denotano la stupida (e pericolosa) supponenza del potere.

La mostra raggiunge gli anni Ottanta della creatività di Enrico Baj: il legame con la patafisica di Alfred Jarry è intenso ma ci sembra giusto sottolineare un’opera che rimanda a un progetto teatrale di Massimo Schuster e che conferma ancora una volta l’estrema versatilità dell’artista milanese che su legno (ancora una volta al di là della canonica tela) intaglia una Schiava greca (1987-88), antropomorfa ma anche strumentale, una delle 80 figure che Baj crea per l’Iliade portata in scena dal regista lodigiano. 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Artuu consiglia

Iscriviti alla Artuu Newsletter

Il Meglio di Artuu

Ti potrebbero interessare

Seguici su Instagram ogni giorno