A Bari la mostra su Diego De Donato: il primo editore che pubblicò Bulgakov

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Inaugurata il 14 marzo 2024 nello spazio Murat, in piazza del Ferrarese, a Bari, la mostra dedicata alla casa editrice barese che pubblicò i capolavori di Michail Bulgakov è visitabile fino al 7 aprile.

Curata da Francesco Giasi, l’esposizione mira a raccontare l’evoluzione di una realtà locale, che fu capace di imporsi non solo nel Mezzogiorno d’Italia, ma anche a livello nazionale e internazionale, generando, a partire da una casa editrice di provincia, una vera scuola di pensiero e un movimento ben più ampio dei confini del territorio barese.

La mostra è suddivisa in sei sezioni, ognuna con un focus culturale, storico, filosofico o sociale: Imprese, Orizzonti, Letterature, Dissensi e Marxismi, Sapere e Politica, Passato e Presente. A queste si aggiungono due mostre fotografiche, omaggio alla città di De Donato che oggi ne porta il ricordo: Bari vecchia 1972 con 14 fotografie di Agnese De Donato e Bari in trasformazione dall’Archivio di Michele Ficarelli.

Il curatore Francesco Giasi, direttore della Fondazione Gramsci, invitato a raccontare la figura dell’editore Diego De Donato per il Corriere del Mezzogiorno, ne parla così: “L’ho conosciuto a Bari, abbiamo chiacchierato a lungo. Era un visionario, un editore appassionato che si è caratterizzato per il suo sguardo sul mondo intero. Questa mostra è una promessa che gli abbiamo fatto dopo aver acquisito l’archivio”.

La mostra “Visioni, passioni, legami. Diego De Donato editore” mira proprio a questo: commemorare la figura di un uomo, a cinque anni dalla sua scomparsa, avvenuta nel 2019, che contribuì, con volontà e spirito di iniziativa, a risvegliare il circolo intellettuale del Mezzogiorno, avviando un dialogo e un confronto con la cultura nazionale.

C’era un tempo in cui Bari si presentava all’Italia come un centro culturale vivacissimo, con protagonista la casa editrice Laterza, guidata da Vito Laterza, innovatore a capo di una consolidata tradizione editoriale, al cui fianco fu capace di imporsi Diego De Donato, “un editore per caso” come si era definito lui stesso in un intervento durante la presentazione di I meridiani nella biblioteca Santa Teresa dei Maschi (Bari). “Ho investito in cultura perché non volevo fare l’avvocato” aveva sentenziato.

Poco più che ventenne, Diego De Donato iniziò la sua attività editoriale, nel 1947, rilevando una vecchia tipografia di Città di Castello, di cui il padre era comproprietario, la Leonardo da Vinci, che sarà poi ribattezzata De Donato, negli anni Sessanta. In quelle due decadi, l’editore prese contatti con i giovani intellettuali del capoluogo pugliese attivi nel dibattito politico, filosofico e culturale, manifestando interesse per l’attualità e stringendo legami con il polo universitario barese, centro attivo della rivoluzione studentesca del ’68.

Giovane, e forse anche per questo più sensibile ai mutamenti sociali di un mondo in fibrillazione e fermento, fu capace di comprendere il suo tempo e di circondarsi di intellettuali, che si strinsero intorno alla casa editrice come i pensatori si riunivano nei salotti della borghesia nel periodo romantico. A questo circolo, si deve la definizione di école barisienne con cui ci si cominciò a riferire, in un primo momento in tono canzonatorio, alle iniziative che ruotavano intorno alla casa editrice.

Con la De Donato, Diego si concentrò sulla selezione delle pubblicazioni e sulla necessità di aprirsi al panorama europeo mediante la traduzione di opere già note. Dalla pubblicazione di libri scientifici, che avevano caratterizzato il primo dopoguerra, si spostò su libri di viaggio, racconti fotografati e si focalizzò sulle scelte autoriali, selezionando fra gli altri le opere di Fosco Maraini, Carlo Levi, Noam Chomsky e Ferdinando Scianna, di cui pubblicò senza esitazioni una raccolta di scatti sulle feste religiose in Sicilia, dando l’avvio al percorso che condurrà il fotografo ventiduenne originario di Bagheria al successo.

Fu la prima casa editrice a pubblicare un’edizione in italiano di Il maestro e Margherita, il romanzo di oltre cinquecento pagine che il russo Michail Bulgakov aveva scritto tra il 1928 e il 1940, durante il regime di Stalin, poi pubblicato postumo quasi trent’anni dopo, in forme censurate e in edizioni clandestine. Fu un atto di ribellione e insieme una scelta coraggiosa, metafora di come De Donato vedeva l’editoria, non un mero “Visto si Stampi”, ma un’operazione culturale che, più che finire nell’inchiostro della pagina, da quell’incontro voleva cominciare.

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