Porno kitsch take away. A Milano, sesso (d’autore) a portata di mano, per una serata esplosiva

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C’era una volta l’Origine del mondo, con il suo corollario pilifero oggi un po’ vintage, ma certamente d’impatto. E c’erano una volta i vecchi collezionisti di arte erotica, che tenevano le opere dietro una tenda per farle vedere solo a pochi intimi (uomini, di solito. E se donne, allora, decisamente ancora più intime). Poi arrivarono le avanguardie e il sesso, nell’arte, dilagò senza freni. Falli e vulve in ogni dove, malinconici e vagamente mortiferi come in Egon Schiele o esposti con orgoglio dal minotauro Picasso. E poi via, sempre più in alto: con le signore che si prendevano la scena e spiegavano che pure a loro – che credevate? – il sesso piace, ma che attraverso il corpo si possono lanciare anche messaggi sociali (il personale è politico, ricordate?). Così Carolee Schneeman si sfilava dalla vagina un cartiglio per leggerne il contenuto – femminista – al pubblico (Interior scroll, 1975) e così Louise Bourgeois realizzava falli giganteschi, tristanzuoli come arti amputati, e poi se li portava sottobraccio oppure li appendeva, in una sorta di salumeria horror. E ancora, dopo – la crisi del maschio avanza – ecco Vito Acconci che si masturba in galleria (Seedbed, 1972); oppure ecco Maria Lassnig che a 86 anni si autoritrae nuda a cosce spalancate perché dell’avvenenza e dello sguardo maschile non gliene importa un fico secco (Tu o io, 2005). Oggi, tra incontri su Tinder per limitare i rischi di due di picche e visori 3D full immersion che rendono del tutto fuori moda attese, taxi, cene, lenzuola pulite, anticoncezionali, sudore e docce (e soprattutto batticuore), il sesso sta cercando di trovare una sua collocazione nell’arte.

Rudy Van Der Velde, artista esuberante e pop-kitsch di origine olandese, amatissimo da Gillo Dorfles, che lo portò anche alla Triennale di Milano nella sua famosa mostra “Kitsch: oggi il kitsch” del 2012 (di cui l’artista aveva disegnato anche il logo), dà una sua risposta rileggendo il porno per noi in chiave ultrakitsch, come piace appunto a lui. E aggiungendo – anche – un po’ di divertente pizzicorino al kamasutra kitsch per eccellenza, quello di Jeff Koons in Made in Heaven, che appare costantemente indeciso tra il porno sbattuto in faccia e la fiaba Disney.

E lo fa con una bizzarra, divertente e folle mostra-performance, che si tiene a Milano la sera del 21 marzo, alla Galleria Giordani di via Savona 43, con il coinvolgimento del pubblico e molte sorprese: persino un sacco di opere in regalo per chi dimostrerà di volerle veramente possedere. Insomma, una sorta di… All you can Eat in salsa artistica, che rompe ogni schema (com’è tradizione dell’artista) del sistema dell’arte tradizionale, sempre pronto a difendere prezzi e i valori del mercato degli artisti, e refrattario anche solo al suono della parola “regalare”.

A differenza di Koons, infatti, Rudy non si prende mai troppo sul serio e così non solo promette di regalare a chiunque le sue opere-feticcio, ma si presenta al pubblico come una scultura classica, palestrato e col gluteo malandrino, in un Photoshop dove al posto del pube si incontra un’installazione rock-punk, con tanto di banana sull’attenti.

Tra teschi scintillanti e ghignanti, busti di Giuseppe Verdi, un E.T. dal sorrisetto malizioso, pupazzetti dei cartoon e animali di plastica, l’erotismo entra in scena da protagonista, esplodendo in un fallo glorioso da una forma a metà tra la banana (ancora) di Andy Warhol e la baguette tanto amata da Salvador Dalí, o palesandosi in una vulva socchiusa come il sorriso della Gioconda, mentre bocche turgide lanciano baci e nuvole di spermatozoi vagano in cerca di una direzione. Colori pop, pietroni luccicanti come nella migliore tradizione del kitsch, fragole giganti, fiori di ceramica e bamboline in bilico tra collegio e fetish danno alle opere quell’aria giocosa, lasciando lo spettatore in dubbio sul fatto di trovarsi in un negozio di giocattoli, nel boudoir di un’attrice di avanspettacolo o in un sexy shop.

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