Brassaï, il maestro della fotografia notturna a Palazzo Reale

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Dalla Ville Lumière alla Parigi delle ombre, duecento scatti di Brassaï sono esposti a Milano in una mostra imperdibile che celebra l’iconico fotografo e la sua visione unica della vita urbana. Vediamo nello specifico come si sviluppa la mostra anche attraverso le parole e i racconti del suo curatore.

Brassaï, Le Baiser, ca. 1935-37

Fino al 2 giugno 2024 la retrospettiva “Brassaï. L’Occhio di Parigi“, promossa da Comune di Milano – Cultura e prodotta da Palazzo Reale e Silvana Editoriale, offre uno sguardo approfondito sull’opera di uno dei fotografi più influenti del XX secolo. Merito della collaborazione con l’Estate Brassaï e con Philippe Ribeyrolles, studioso e nipote dell’artista, che ha fatto arrivare nell’istituzione milanese, oltre alle stampe fotografiche rigorosamente dell’epoca, anche sculture, documenti e oggetti appartenuti al fotografo, permettendo ai visitatori di immergersi completamente nel suo universo creativo. Un viaggio affascinante che svela i molteplici aspetti della personalità di Gyula Halász, nato nel 1899 a Brasov, oggi in Romania, e letteralmente rapito dalla vibrante capitale francese dei primi trent’anni del Novecento. Come racconta Ribeyrolles, non a caso curatore dell’esposizione, che ci tiene a sottolineare come Gyula avesse una formazione classica grazie ad un percorso di studi effettuato prima all’Accademia di Belle Arti di Budapest e poi a quella di Berlino.

Brassaï, Un mauvais garçon à l’affut.

Una sensibilità per forme e ombre degli oggetti ritratti che un occhio attento può notare nella maniera in cui il fotografo organizzava gli scatti. Assumerà il curioso nome d’arte Brassaï una volta presa la decisione di trasferirsi definitivamente in Francia, negli Anni Venti del Novecento, dopo esservi già stato durante l’infanzia con i genitori e non solo. Un modo per rendere omaggio alla sua terra, nonostante la successiva naturalizzazione nella nazione che lo accoglierà per tutta la vita. Ma Brassaï non sarà l’unico nom de plume che verrà attribuito al fotografo: Henry Miller lo soprannominerà, ad esempio, “l’occhio vivo” della fotografia. Una definizione che ben gli si addice e che rispecchia l’impronta indelebile che l’artista ha lasciato nella storia con il suo lavoro innovativo e sensibile. 

Brassaï, Couple d’amoureux dans un café parisien, Place Clichy.

Spesso incluso in maniera riduttiva nella corrente “umanista”, per la presenza essenziale di donne, uomini e bambini all’interno dei suoi scatti, Brassaï è stato uno dei primi a catturare l’atmosfera notturna parigina, esplorando i vicoli bui e le strade illuminate della città con uno sguardo attento e appassionato. Nacque così nel 1933 il celebre volume “Paris de Nuit” che lo rese universalmente noto. 

Brassaï, Tour Eiffel en 1931.

Come racconta ancora Ribeyrolles, Brassaï, grande camminatore, girovagava per la città dopo il tramonto portandosi appresso un apparecchio fotografico su treppiede. Calcolava i tempi di posa cercando di catturare al meglio la pochissima luce grazie alla durata della sua sigaretta e misurava le distanze in notturna tramite una corda che teneva in tasca e su cui aveva fatto dei piccoli nodi. Siamo agli albori della fotografia notturna e, visti gli scarsi mezzi tecnologici dell’epoca, il fotografo cercava di includere nella scena tutte le fonti luminose “alternative” possibili: la neve, la nebbia, i lampioni a gas, i fari delle autovetture. Ogni processo fotografico poteva durare da 1 minuto a 10 e veniva calibrato finanche nei più piccoli dettagli: le singole lastre fotografiche avevano un peso consistente da portarsi appresso, dunque non vi erano molte possibilità di ripetere lo scatto. Non a caso la mostra milanese vuole proprio condurre i visitatori attraverso una camminata immaginaria nella Parigi dell’epoca. Brassaï non si è limitato a ritrarla solo di notte. Il suo obiettivo si estendeva anche alla vita e alle persone che popolavano la città: dai lavoratori alle prostitute, dai clochard agli artisti. Era un osservatore acuto della società parigina di cui catturava momenti di gioia, tristezza e bellezza con la sua macchina. Così il percorso espositivo al pian terreno di Palazzo Reale accoglie i visitatori con immagini diurne, per poi progressivamente condurli alla scoperta delle varie anime della Ville Lumière. 

Brassaï, Couple au bal des Quatre Saisons, rue de Lappe

Grazie alla collaborazione con l’Estate Brassaï, il progetto è riuscito nell’intento di calibrare le peculiarità del luogo ospitante con l’universo espressivo dell’artista. 

Altra parte importante della carriera e della sfera privata di Brassaï è stato il suo rapporto con numerosi artisti, letterati e intellettuali dell’epoca: uno su tutti Pablo Picasso, con cui aveva stretto un’amicizia durata oltre quarant’anni. Da quest’ultimo ricevette più volte i complimenti per disegni, dipinti e sculture con cui, a volte, amava esterna la sua creatività oltre alla fotografia. Non era, infatti, solo un fotografo, bensì un artista poliedrico, impegnato in diverse forme d’arte come la pittura, la scultura e il cinema. Altre figure fondamentali, soprattutto per la sua formazione, furono Salvador Dalì e Henri Matisse: Brassaï si avvicinò al movimento surrealista, collaborando con la rivista “Minotaure”. 

La mostra a Palazzo Reale offre dunque uno sguardo completo sulla sua vasta produzione artistica, permettendo ai visitatori di apprezzarne versatilità e genialità. 

La Môme Bijou au Bar de la Lune, Montmartre c. 1932.

Come il lavoro che ha portato avanti in venticinque anni di osservazione dei graffiti sui muri parigini. Prima di riprenderli annotava questa sorta di scarnificazioni su dei taccuini, differenziandoli per tematiche: l’amore, la morte, la magia. Considerava le superfici della città come la più grande esposizione di arte primitiva. 

“Brassaï. L’occhio di Parigi” incanta i visitatori con un’immersione totale nell’universo creativo del fotografo, mostrando la Parigi notturna e diurna attraverso il suo “occhio vivo” e sensibile. Un omaggio ad un genio poliedrico che, a differenza di altri celebri colleghi, non metteva in posa i soggetti, ma coglieva il fluire della vita lasciando così un’impronta indelebile nella storia delle arti visive.

Autoportrait, Boulevard Saint-Jacques, Paris, 1930-1932.

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