Padiglione Venezia, un Sestante domestico con molta pittura. Per artisti alla ricerca di sé

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Il sestante è uno strumento ottico usato dai marinai che permette di calcolare la posizione in cui si trovano: in pratica, il dispositivo viene utilizzato per misurare l’altezza di un astro sull’orizzonte. Ma, oltrepassando la definizione tecnica, il “sestante”, che almeno una volta nella vita abbiamo potuto ammirare nella sua magnificenza inglobato all’interno di una vetrina in un negozio di antiquariato o nei musei, è anche il titolo del Padiglione Venezia o meglio, “Sestante domestico”, in occasione della 60esima Esposizione della Biennale di Venezia a cura di Adriano Pedrosa.

Vittorio Marella, Moving Stillness 5.2, oli su tela, 2021.

Presentato a Palazzo Ca’ Farsetti dal sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, dalla curatrice Giovanna Zabotti e dal commissario del Padiglione, Maurizio Carlin, il padiglione ospita diversi pittori: il giovane artista veneziano di 26 anni Vittorio Marella, il bosniaco Safet Zec, il pittore romano Pietro Ruffo (vincitore del premio Cairo nel 2009) e infine due giovani studenti dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, Gaia Agostini e Besnik Lushtaku, per citarne solo alcuni: con loro, infatti, saranno presenti nel Padiglione Venezia gli artisti vincitori del concorso Artefici del Nostro Tempo, indetto dal Comune di Venezia rivolto ai giovani artisti under 35. L’esposizione vuole essere questo, l’esplorazione di una condizione non geografica, non di lingua, non sociale ma affettiva, di ricerca di sé e della propria completezza emotiva e sentimentale.

È la prima volta che gli artisti lavorano all’interno di un padiglione, creando così uno spazio comune, una casa, una società formata da persone di diversa provenienza: è il concetto di comunione che combacia perfettamente con il tema della Biennale di quest’anno “Stranieri Ovunque”, “Foreigners Everywhere”. Il padiglione accoglierà il pubblico, a partire dal 20 di aprile, con i versi del poeta Franco Arminio ricamate su una grande tela a Burano dalle ricamatrici di Martina Vidal.

Pietro Ruffo, Antropocene 36, 2022, inchiostro, olio e collage su carta intelata.

“Il mondo è pieno di azioni e di produzioni: ovunque abbiamo posato cemento, plastica e asfalto, in giro ci sono moltissimi oggetti e pochissimi pensieri ma questo non fa stare bene, non c’è luce sulle facce, c’è sangue morto nelle vene. È ora di ricominciare dallo sguardo, dalla parola che tutte le altre porta via, è il tempo della poesia. La poesia intesa come preghiera per ritrovarci assieme nella casa del mondo, un mondo brutalizzato dall’assenza del divino, del mito, del simbolico. Bisogna ripartire dal soffio visivo, dallo sguardo più che dalla produzione. Più che continuare a trasformare il mondo, bisogna riprendere a pensarlo, a interrogarci sul senso del nostro stare qui. La poesia deve uscire dai suoi luoghi canonici ed essere letteralmente vista, per strada, negli edifici pubblici, nei locali dove si radunano le persone”, ha affermato il poeta.

Safet Zec, Exodus.

Proseguendo con il percorso, il pubblico sarà invaso dalle opere realizzate dagli artisti, opere che comprendono una varietà di dipinti e le suggestive installazioni ambientali realizzate da Pietro Ruffo. “Il percorso espositivo vuole essere l’esplorazione di una condizione non geografica, non di lingua, non sociale ma affettiva: entrare al Padiglione significherà penetrare nelle radici della propria natura, per cercare una consapevolezza anche di ciò che non può rappresentare ‘casa’ perché lontano ed estraneo”, ha dichiarato ancora la curatrice.

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