Corrado Bonomi: “I miei fiori di plastica, un monito per l’ambiente”

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Novarese, classe 1956, Corrado Bonomi è uno degli esponenti di spicco del concettualismo ironico italiano. Artista poliedrico in continua evoluzione e sperimentazione, ha fatto sue le sfumature del pop e del concettuale, con riferimenti all’estetica kitshc del contemporaneo. Ogni opera di Bonomi racconta non una storia, ma tante storie diverse, lasciando la possibilità, a chi le guarda, di coglierne le sfumature sociali, politiche, lessicali, ironico-immaginifiche, o di semplice intrattenimento. Fino al 22 settembre si potranno ammirare, nel giardino antistante la stazione di Novara, le sue Culture, installazioni composte da vasi di fiori realizzati mediante materiali plastici di riciclo come sottovasi, tubi per l’irrigazione, argilla e innaffiatoi. Una sorta di metonimia visiva (la figura retorica basata sulla sostituzione tra due termini legati rapporti di causa-effetto e di scambio tra contenente e contenuto, ndr), dove i soggetti trattati (i fiori) si identificano con i materiali da cui sono composti (tubi per irrigazione e altre attrezzature per la coltivazione), in un gioco di rapporti incrociati di grande raffinatezza visiva e lessicale.

Corrado Bonomi, Roseto. Foto Mario Finotti.

L’attualità e la contemporaneità di questo ciclo di opere è resa evidente sia dai materiali utilizzati, sia dal loro aspetto formale, che concorre a ricreare una natura che sia il più innaturale possibile.

Corrado Bonomi, Culture

Bonomi trasfigura gli strumenti di cura e manutenzione dei giardini negli esemplari di una flora eterna, resistente alle intemperie e non deteriorabile, dando un senso una continuità tra la funzione originaria dei materiali e la loro nuova destinazione, che non ha risvolti unicamente ironici, ma anche etici.

In questa intervista esclusiva, l’artista ci racconta la sua ennesima avventura artistica e i suoi riferimenti.

Corrado Bonomi, Roseto, foto Mario Finotti

Bonomi, oltre ai vasi di fiori giganti, a Novara vediamo anche un roseto che avvolge la statua La mondina dello scultore novarese Edmondo Poletti… è una sorta di omaggio?

In qualche modo sì. Poletti era un artista che io conoscevo, La mondina è un’opera del 1971, e siccome questa statua è, diciamo un po’, nel cuore di tutti i novaresi, ho voluto renderle un omaggio, per tenere vivo il ricordo di quest’artista che non c’è più.

La scelta del luogo dove posizionare le tue Culture non è stata casuale?

Ero felice di poter portare le mie opere davanti alla stazione, perché è un luogo di passaggio e incontro. Ma anche perché, in questo modo, si valorizza un luogo che altrimenti rischia di cadere nel degrado. L’amministrazione attuale, ma anche quella precedente, ha sempre cercato di rivalutare questi spazi con questo tipo di operazioni. Prima che arrivassero le mie opere c’erano le Chiocciole giganti della Cracking Art.

La caratteristica del tuo lavoro è sempre stata quella di riconvertire la funzione dei materiali, giocando con essi con l’ironia che ti contraddistingue.

Assolutamente sì, questo è un ciclo che nasce nel 1992… ero stato invitato a fare una mostra in cui il tema erano i fiori, allora io per farli sono andato in un garden center e mi sono detto che i miei fiori dovevano essere costruiti solo con materiali attinenti alla floricoltura, in modo da creare un aggancio linguistico oltre che visivo tra il materiale e l’opera finale. Avrei potuto operare in tanti modi, creare un fiore utilizzando le scatole dei detersivi ad esempio, oppure usare sacchetti di carta di varia natura, ma non avrebbe avuto per me un significato logico, ho sempre voluto creare un legame tra il materiale usato e il soggetto delle opere che realizzo.

Nel tuo lavoro utilizzi soprattutto materiali di riciclo, questo per una tua particolare attenzione verso ciò che ti circonda, ma anche per far riflettere chi guarda le tue opere?

La mia ricerca è andata sempre in questa direzione: questo ciclo di opere è proseguito in varie forme, ho creato fiori grandi, piccoli, piante grasse, orchidee, girasoli, mantenendo costante l’utilizzo di materiali attinenti al giardinaggio e che fossero di riciclo.

E l’estetica?

Anche quella è importante, cerco anche la bellezza nelle mie opere, fa parte del mio lavoro, che facciano pensare, ma che siano anche piacevoli da guardare.

Anche i titoli nelle tue opere hanno la loro importanza, spesso capovolgono il rapporto tra significato e significante, attraverso un gioco linguistico. C’è il concetto, ma anche la forma, è interessante quando queste due esigenze riescono a coincidere, come nel caso di Culture.

Questo gioco è nelle mie corde, ho chiamato i miei fiori Culture giocando anche sul ritmo della parola. La cultura odierna ci mette di fronte ad una natura posticcia, artificiale, creata nelle serre, fatta crescere in fretta per essere venduta e consumata velocemente, e quindi snaturata attraverso questo processo industriale di manipolazione.

Usando questi materiali io ho voluto anche sottolinearlo, e cosa c’è di più artificiale di una pianta fatta con quei materiali che servono per far crescere le piante, e quindi tubi di irrigazione, innaffiatoi ecc.?

Corrado Bonomi. Foto Mario Finotti

L’utilizzo della plastica vuole, quindi, essere anche una denuncia sull’uso massiccio che ne fa l’uomo?

Il rapporto uomo-natura è molto complicato, abbiamo sempre cercato di dominarla, dall’invenzione del fuoco. Il confronto con essa non dovrebbe neanche più essere discusso, dovrebbe essere scontato il nostro rispetto, ma ahimè non è così. E probabilmente il prossimo confronto sarà fra l’uomo e la macchina, già appare evidente, una volta domata la natura, che dovremo domare le macchine.

Tu dici che l’opera d’arte non è mai dell’artista, ma che appartiene a chi la guarda e a chi entra in relazione con essa.

Il rapporto tra l’opera d’arte e il suo creatore è un po’ come il rapporto tra genitori e figli. È un rapporto che inevitabilmente ha una fine. Quando l’artista muore, l’opera gli sopravvive, ma anche prima, perché anche prima di essere creata è già nella mente dell’artista. L’arte è autonoma, nel senso che il significato che tu gli dai mentre la crei non è magari quello che vedono le altre persone. Puoi anche cercare di spiegarla, darle diversi significati, un po’ come fanno anche i critici, ma gli altri vedranno comunque qualcosa di diverso. In fondo l’arte non esisterebbe se non ci fosse qualcuno a guardarla, e questo è un privilegio: significa metabolizzare la vita. L’opera d’arte che funziona è quella che, quando scoppia un incendio, decidi di salvare.

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