8 marzo, donne gratis nei musei. Ma è davvero questo che ci serve?

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In occasione della Giornata della Donna dell’8 marzo, su proposta del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, l’ingresso per le donne nei luoghi di cultura statali sarà gratuito. Le parole testuali del ministro affermano che “la cultura celebra l’8 marzo con l’accesso libero per le donne, invitandole quanto più possibile a visitare in questa giornata a loro dedicata le meraviglie del patrimonio culturale nazionale”. La cultura celebra: siamo proprio sicuri che tale modalità sia utile alla questione femminile? Nel lascito gratuito di una giornata “formativa” non si nasconde forse un tentativo mascherato di bontà di eludere le reali problematiche di cui le donne sono vittime? 

Nel contesto italiano le questioni di genere e le relative concause sono state oggetto di studio e dibattito politico. La decisione stessa della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni di utilizzare il maschile ha suscitato rabbia e delusione in chi da anni combatte contro un sistema di rappresentanza politica patriarcale che nega la sistematicità di una violenza subdola e diretta di cui le donne sono oggetto. Basta consultare piattaforme online, quali EIGE Gender Statistic Database, per osservare i dati e le statistiche raccolte dall’Istituto europeo per la gender equality, in un’ottica estesa di analisi del problema, europeo e globale, che può essere risolto solo nel momento in cui se ne riconosce la presenza.

Il raggiungimento di un’uguaglianza di genere è possibile: molti modelli di studio e relativa applicazione pratica dimostrano come l’investimento statale sulla formazione del singolo costituisca una delle soluzioni più efficaci all’oggettificazione della donna, all’abuso di potere maschile che ancora oggi determina i ruoli all’interno dei quali la libertà individuale femminile è compressa e negata. Il ministro Sangiuliano ritiene che il biglietto gratuito possa far piacere alla comunità femminile: si sbaglia. Ciò che chiediamo a gran voce, tramite manifestazioni collettive, proposte concrete di risoluzione pratica, istituzione di numeri di assistenza psicologica e Centri delle Donne, è che lo Stato agisca, riconosca la necessità di operare in direzione di un ascolto concreto che tenga conto delle problematiche strutturali di tale questione. Negato lo spazio di parola negli ambienti istituzionali che proliferano leggi, sanzioni e decisioni, come è possibile comprendere cosa vuol dire essere donna e agire di conseguenza?

Pietro da Cortona, Il ratto delle Sabine, 1629-1630 circa.

La Spagna costituisce nell’Unione Europea uno stato pioniere per quanto riguarda la tutela dei diritti delle donne. Nel 2004 lo stato approva la “Legge per la protezione delle donne”, misura che prevede il finanziamento statale di corsi di formazione gestiti nel vasto territorio spagnolo da responsabili per le Pari Opportunità. Il lavoro di informazione abbraccia le questioni di genere, sensibilizzando la popolazione sul tema della violenza, ma non solo, mediante incontri settimanali che avvengono sia nelle scuole sia nei settori lavorativi pubblici. Per tale lavoro di prevenzione la Spagna ha investito negli ultimi anni un miliardo di euro e altri 20 miliardi di euro sono stati annunciati entro il 2025. Lo stato spagnolo, primo in Europa ad aver un sistema di contabilizzazione dei femminicidi, ha riconosciuto come la discriminazione di genere sia un problema culturale e come tale può essere risolto educando il singolo al rispetto dei principi di tutela che tengono conto delle differenze e delle pari opportunità all’interno di un sistema politico democratico.

Artemisia Gentileschi, Susanna e i vecchioni, 1622.

I dati parlano chiaro: dal 2003 la Spagna evidenzia un calo dei femminicidi, con relativo aumento di denunce nei confronti di molestie sessuali. Il piano di assistenza funziona, l’investimento nella sensibilizzazione della collettività ha prodotto i suoi frutti. E in Italia? Le donne denunciano, lo Stato non tutela (quanto spesso sentiamo di donne uccise nonostante il tentativo di trovare aiuto negli organi di stato!). Il problema, gridato a gran voce, di una discriminazione che lo Stato giustifica e su cui fonda le proprie decisioni. Si, parlo di giustificazione, poiché non è più possibile parlare di casi limite, singoli, totalmente scissi dal sistema sociale di cui fanno parte. Lo Stato maschilista non riconosce la semplicità di risoluzione di un problema puramente culturale: una politica di formazione e educazione nelle scuole potrebbe permettere, già in giovane età, di comprendere a fondo i principi stessi della nostra Costituzione e di attuarli in direzione di un rispetto reciproco dell’altro. Il più delle volte, come la cronaca testimonia, ci si appella alle parole e non ai fatti. Nel mondo esiste una giornata dedicata alla donna perché la questione di genere costituisce una storia millenaria di abuso, sofferenza e discriminazione che il potere politico-economico di questo secolo ha inglobato e tentato di risolvere solo in maniera superficiale e ipocrita. Se solo la nostra voce venisse veramente ascoltata, forse non avremmo bisogno di biglietti gratuiti, ma pari opportunità di proporre, creare, educare e fare.

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