Venere in pelliccia. La riscossa delle artiste

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Era il 23 aprile 2022 quando la curatrice della 59esima Biennale Arte, Cecilia Alemani (la prima donna italiana a ricoprire il ruolo) inaugurò la mostra “Il latte dei sogni”. Una mostra articolata tra il Padiglione Centrale, l’Arsenale e i Giardini e particolare proprio perché a mettere piede negli spazi non furono prevalentemente artisti bensì artiste: più precisamente 191 artiste, molte delle quali appartenenti a minoranze, contro i 22 artisti maschi. Insomma, a dominare la Serenissima furono proprio le Donne con la d maiuscola. 

Debora Garritani, Per ora non ancora, stampa glicé su carta cotone, cm 42 x 50, 2019.

Cecilia Alemani ha aperto la strada, e l’attenzione alla “altra metà dell’arte” è andata via via aumentando. Quest’anno, infatti, un gruppo più ristretto di artiste, anzi, se vogliamo specificare un gruppo di amiche, accumunate dal semplice di essere tutte artiste, hanno voluto oltrepassare quello che già sarebbe stato considerato un traguardo, eliminando completamente la figura maschile, la figura dell’artista uomo. Infatti, partendo dalla ricorrenza della Giornata internazionale della donna, tre artiste, Loredana GalanteMarta Mez e Antonella Casazza hanno voluto ideare una mostra firmata esclusivamente al femminile. Non poteva mancare neppure, ovviamente, una curatela al femminile, ruolo che è stato interpretato dalla critica Rebecca Delmenico, che ha firmato il testo in catalogo. 

Sanda Skujina, Abbracci sospesi, tecnica mista su tela, cm 145 x 175, 2020.

In totale, sono ventiquattro le artiste che hanno preso parte all’imponente e ben articolata mostra intitolata “Venus in Furs” (Venere in pelliccia), un chiaro riferimento al romanzo del 1870 dall’omonimo titolo di Leopold von Sacher-Masoch e narrato sul grande schermo dal regista Roman Polański, ospitata, fin o al 7 aprile, all’interno di un ex edificio industriale tessile e ristrutturato per dare spazio a mostre e laboratori, il SAC Spazio Arte Contemporanea di Robecchetto con Induno, a una quarantina di chilometri da Milano. Ogni artista invitata è presente in mostra con una sola opera. L’insieme, pur molto diversificato come tipologia di linguaggi, è molto vario, offrendo però nell’insieme un senso di omogeneità e di coerenza. 

Ilaria Del Monte, Madonna dei cristalli, olio su tela, cm 120 x 100, 2024.

Anche l’uso di materiali e tecniche espressive, talora con l’utilizzo del collage, talora dell’olio o dell’acrilico, talora con la stoffa, a prima vista non hanno un’unità e una linearità. Sono, però, i temi che queste artiste trattano a creare un dialogo d’insieme coerente e suggestivo: l’identità femminile in tutte le sue forme, il corpo femminile, l’eros, ma anche le tante problematiche, i disagi, la violenza di genere.

Elena Monzo, Miss vitiligo, tecnica mista su tela, cm 150 x 100, 2020.

“Ogni artista si apre a un dialogo che restituisce un grande affresco dove confluiscono, attraverso media diversi, aree di ricerca che indagano il tessuto contemporaneo nelle trame dell’esistenza”, scrive la curatrice. “Parliamo del tema della memoria e della percezione del tempo, dei ricordi, o dell’inconscio e dei suoi luoghi inesplorati, passando per il corpo femminile, sinuoso e fluttuante come un velo o scultoreo”.

Silvia Beltrami, Untitled, cm 84 x 104, 2013.

Il corpo femminile è infatti presente, in varie maniere, nei lavori a collage di Silvia Beltrami, nelle sculture in terracotta di Cristina Costanzo, nei quadri di Antonella Casazza, di Elena Monzo, di Sanda Skujina e di Milena Sgambato, richiamando temi come la bellezza, l’eros, la seduzione, ma anche il corpo frammentato, abusato, nevrotico, sofferente.

Antonella Casazza, acrilico e foglia d’oro su tela, cm 80 x 60, 2024.

Proprio come la grande, suggestiva installazione a muro di Elisa Cella, che, malgrado raffiguri un esemplare di diatomea (alghe microscopiche unicellulari, ndr), a un primo impatto sembra essere una rappresentazione del sesso femminile, incombendo sull’allestimento come se volesse ricordare quanto sia proprio dalla donna che inizia la vita, perché è lei l’Origine du monde.

Elisa Cella, Lyrella Lyra, ferro tagliato al laser e verniciato, cm 170 x 85 x 15, 2022.

Una stanza improvvisata all’interno dell’edificio, invece, è totalmente dedicata alla videoinstallazione della performer Giovanna Lacedra. il filmato, lungo dieci minuti e in loop, racconta, con un ritmo intenso e un po’ ossessivo, un argomento molto delicato, di cui purtroppo milioni di persone, soprattutto di sesso femminile, soffrono ogni giorno: l’anoressia. Nel corso del filmato, strutturato in scene girate vuoi in spiaggia, vuoi in una stanza chiusa, vediamo l’artista sottrarsi davanti a un bicchiere d’acqua o davanti al cibo. In sottofondo sentiamo una voce che ricorda le chilocalorie presenti a ogni 100 grammi di cibo, in maniera martellante, quasi a ricordare l’ossessione per il corpo e la difficoltà che insorge a volte nell’instaurare un rapporto sereno con ciò che si mangia.

Giovanna Lacedra, La fame è una stanza vuota, video performance, 2020.

Ecco poi l’installazione ambientale dell’artista iraniana Saba Najafi: un gruppo di pietre (in realtà di carta, ma all’apparenza estremamente realistiche) sospese nell’aria, che ricordano un gruppo di asteroidi, a simboleggiare emozioni e sentimenti spesso associati al “femminile”, come la leggerezza e la sospensione, ma anche la solidità e la persistenza. 

Saba Najafi, Suspended, dimensioni variabili.

Un senso di spaesamento e di incertezza esistenziale sembra trasparire dai quadri di Anna Caruso e da quelli di Antonella Casazza, mentre le fotografie di Debora Garritani offrono un senso di inquietudine e di suspence, analogamente ai quadri di Marta Mez, con le loro facciate di palazzi cupe e squadrate, prive di anima viva, come gli elementi fortemente geometrici presenti nel lavoro di Ieva Petersone, che sembrano far da contraltare alle donne spaesate e vaganti di Vania Elettra Tam, perse nella solitudine delle mura domestiche.

Marta Mez, Q15, olio su tela, cm 150 x 150, 2023.

Non diversamente, la ragazza chiusa in un bozzolo nella sua stessa casa dipinta da Ilaria del Monte ci offre un senso di claustrofobia, mentre offre un senso di conforto la bellissima scultura in stoffa di Florencia Martinez, con il senso di calore di un abbraccio materno.

Florencia Martinez, Codec e principio di ridondanza, cm 170 x 100, 2024.

Sempre il materno, ma in maniera sorprendente, è il tema affrontato da Coquelicot Mafille, mentre Loredana Galante, coi suoi quadri in stoffa, affronta temi e simbologie arcaiche con una coerenza stilistica grande impatto. 

Coquelicot Mafille, We All Belong To Mother Earth, cucito e pittura su tessuto, cm 230 x 150, 2024.

Impossibile citare una per una tutte le artiste, ma quel che è certo è che l’insieme della mostra, ben orchestrata e con lavori di ottimo livello, offre al visitatore un panorama di arte al femminile ricco, variegato, denso di spunti e di tematiche importanti.

E forse sono proprio i messaggi di solidarietà, di inclusione, di amicizia e di sorellanza che hanno permesso di creare una mostra unica nel suo genere e gremita di stimoli, anche per un visitatore uomo.

Loredana Galante, Il mio vestito è la mia fortezza, ricamo e tessuto di sfrido, cm 31 x 28 x 4, 2024.

1 commento

  1. Bell’articolo, grazie .
    Il 6 aprile aspettiamo tutti al Finissage, ci sarà un talk condotto dalla curatrice Alessandra Redaelli e questa volta gli ospiti saranno tutti artisti maschi, che oltre ad essere bravi sono anche belli, abbiamo pensato di finire in bellezza dando voce al pensiero maschile .

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