Migrant Child di Banksy a Venezia: via al restauro e al “Padiglione Banksy”

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Ora è ufficiale: il restauro del Migrant Child di Banksy a Venezia si farà. “L’avevo promesso, e lo faremo, in tempi estremamente brevi, visto lo stato di degrado dell’opera”, ci conferma in presa diretta Vittorio Sgarbi, fresco di conferenza stampa in cui l’annuncio ufficiale è stato appena comunicato urbi et orbi. Come del resto ci aveva già preannunciato il 29 settembre scorso, quando il nostro magazine, primo fra tutti, aveva dato la notizia della “quadra” trovata proprio dal Sottosegretario alla Cultura (Banksy a Venezia, Sgarbi troverà i soldi per salvare il “Bambino migrante”) mettendo, in una sola sera, d’accordo la proprietà del palazzo, il Sindaco di Venezia, il Governatore della Regione e il Sovrintendente, grazie al formidabile asso nella manica offertogli dall’aver convinto, nel giro di non più di mezz’ora, una fondazione bancaria a finanziare l’operazione, sotto il rigido controllo della Sovrintendenza, come dispone la legge (essendo il palazzo vincolato).

Nonostante i lamenti di uno sparuto gruppo di street artist che, masochisticamente, invocavano invece la sua distruzione con la singolare spiegazione che “l’arte di strada è per sua natura effimera” (ma immaginatevi se uno come Keith Haring avesse mai desiderato, tanto per fare un esempio, la distruzione del murale che realizzò a Pisa nel 1989, che oggi visitatori vengono ad ammirare da tutto il mondo; o se, analogamente, a qualcuno venisse mai in mente di distruggere, anziché proteggere, la straordinaria esperienza della East Side Gallery, sul Muro di Berlino, che vide alternarsi colori e bombolette di ben 129 artisti provenienti da tutto il mondo, ancora oggi gelosamente conservata dall’Amministrazione berlinese come una formidabile testimonianza storica); a cui successivamente si era anche aggiunta, udite! udite!, persino l’Associazione architetti veneziani, anch’essa incredibilmente preoccupata, anziché del degrado in cui vertono molti edifici veneziani, di rispettare “il significato profondo dell’opera” e quindi la sua “caducità”, per salvarne il messaggio originario, ossia “la luce sull’umanità in pericolo” (messaggio che, chissà per quale astruso motivo, secondo gli architetti, non verrebbe invece assai meglio trasmesso proprio mantenendo in vita l’opera, rendendola dunque pubblica e permanente, anziché lasciarla tristemente deperire sotto i colpi dell’acqua e della salsedine); malgrado questo, dunque, e per fortuna, il restauro si farà, e in tempi più che mai stretti.

A finanziare il restauro sarà, com’era del resto prevedibile benché non ancora ufficializzato, la fondazione Banca Ifis, ovvero proprio la proprietaria della storica Villa Furstenberg, a Mestre, nel giardino della quale, per una casualità di eventi, Sgarbi si era incontrato, la sera del 28 settembre, con Sindaco, Governatore e Sovrintendente, per una serata di gala svoltasi per i 40 anni della fondazione, occasione per la quale era stato trasformato il giardino della villa in un Parco Internazionale di Scultura, e grazie alla quale il sottosegretario alla Cultura aveva potuto trovare così velocemente la quadra di una vicenda che sembrava trascinarsi ormai da molti anni senza che nessuno riuscisse a trovare uno straccio di soluzione, mentre il murale di Banksy andava, lentamente quanto inesorabilmente, in rovina.

Restauro deciso e presto avviato, dunque. Ma quello che ancora non è chiaro, è il tipo di restauro che verrà eseguito: l’opera, già gravemente danneggiata da intemperie, acqua alta e salsedine, è infatti in uno stato di conservazione estremamente precario: quasi già del tutto sbiadita la fiaccola del razzo di segnalazione (il Migrant Child, chiara allusione al Radiant Child di Keith Haring, raffigura un ragazzino che, perso in mezzo al mare, lancia un razzo di segnalazione di colore fucsia nella speranza di essere avvistato e salvato), intriso d’acqua e di umidità l’intonaco, il murale, e l’intero muro, rischiano di non poter resistere alle precarie condizioni cui li condannerebbe la permanenza in situ. 

“Bisognerà capire”, dice Sgarbi, “se sarà possibile restaurare e mettere in sicurezza il solo murale di Banksy, o non piuttosto, com’è prevedibile, l’intero muro del palazzo, come del resto chiede la proprietà”. Già questo, va sottolineato, cambierebbe radicalmente i costi del restauro: se il primo – il restauro del solo muro – potrebbe costare meno di 10mila euro, la seconda soluzione, con il restauro dell’intero muro, potrebbe portare la cifra anche oltre i 70mila euro.

“Ma bisogna anche vedere”, continua Sgarbi, “se sarà tecnicamente possibile, visto il luogo in cui è stato dipinto, a filo d’acqua com’è, lasciarlo in loco così come si trova oggi o non, piuttosto, sostituirlo con una sua ottima riproduzione, e l’originale spostarlo invece in altra sede, quando non all’interno stesso del palazzo, visitabile dal pubblico ma conservato finalmente in tutta sicurezza: soluzione del resto tutt’altro che stravagante o scandalosa, in quanto già da tempo praticata anche per molte opere, anche dell’antichità, a partire dal David di Michelangelo” (che, com’è noto, venne spostato, ancora nel lontano 1873, dalla sua collocazione originaria di Piazza della Signoria, di fronte a Palazzo Vecchio, per essere portato al sicuro nella Galleria dell’Accademia, a causa delle precarie condizioni di conservazione, e sostituito poi, nel 1910, con una copia del tutto identica all’originale eseguita dall’artista Luigi Arrighetti, che tutt’ora campeggia, ammirata come vera dai turisti di tutto il mondo, al centro della piazza).

Quindi, il palazzo stesso potrebbe essere adibito ad un uso strettamente culturale? È l’ipotesi che oggi è sul tappeto. “Sono in corso trattative con la proprietà”, dice Sgarbi, “per un eventuale acquisto da parte della fondazione della banca”. La proprietà del palazzo, del resto, attraverso l’avvocato Jacopo Molina (da noi intervistato il 3 ottobre scorso, nell’articolo “Migrant Child di Banksy, parla l’avvocato della proprietà: ora salviamolo, tutti insieme, per il bene di Venezia”), che era stata la prima a scuotere le acque per cercare di sensibilizzare Sovrintendenza e autorità per la salvezza del murale (sottolineando che lo facevano “non a fini speculativi ma per il bene della città e dei suoi abitanti”, dunque favorendo non solo la conversazione del murale, ma anche “la fruizione e la visibilità da parte del pubblico”), aveva già allora lasciato aperta una porta a un’eventuale dismissione. Con qualche condizione, però: “la volontà principale della proprietà”, ci aveva detto nel corso dell’intervista l’avvocato Molina, “è quella di mantenere la proprietà dell’immobile. Poi, qualsiasi ipotesi può essere tenuta in considerazione. Arrivassero delle proposte, non escudo che possano essere valutate. Ma anche in un caso, del tutto ipotetico, come questo, esigeremmo delle precise garanzie sull’effettiva visibilità dell’opera da parte del pubblico”.

Ed ecco allora che, una volta di più (sempre che attuale proprietà e fondazione si mettano d’accordo sul prezzo, di certo vertiginosamente aumentato proprio dal valore dell’opera di Banksy sul muro che dà su Rio Grande), Sgarbi potrebbe aver trovato di nuovo la quadra: il palazzo passa sì di mano, ma per rimanere un luogo “aperto al pubblico”, come voleva anche la “vecchia” proprietà. Anzi: per diventare un preciso polo culturale, collegato alla Biennale di Venezia. “Ne parleremo con il nuovo Presidente della Biennale, di fresca nomina, che sta per arrivare (che a tutti è noto essere lo scrittore e saggista Pietrangelo Buttafuoco, ndr)”, ci dice Sgarbi. “Ma l’intenzione è quella di farne un Padiglione Banksy”. Un Padiglione Banksy? Che dovrebbe contenere che cosa, esattamente? “Vedremo. Ma io penso che ad esempio possa portare alla Biennale esperienze artistiche che oggi godono di minore visibilità in una manifestazione internazionale di così grande prestigio, troppo spesso appiattita, per lo meno per la parte italiana, su posizioni che, nella loro pretenziosità, artificiosità, per il loro intellettualismo astruso e pochissimo comprensibile dal vasto pubblico che la frequenta, si mettono di fatto del tutto fuori dalle reali tendenze in atto nel contemporaneo, che è molto più variegato, raffinato e sfaccettato di quel che i recenti Padiglioni Italia, e presumibilmente anche il prossimo, con la nomina di un solo artista, Massimo Bartolini, mostrano”. Un contro-padiglione Italia, dunque? O una sorta di padiglione “parallelo”? “Vedremo, vedremo”, dice ancora Sgarbi, “sarà motivo di riflessione, anche col nuovo Presidente. Quello che è certo, intanto, è che il Padiglione Italia tornerà ad avere quella centralità che meritava, tornando nella sua sede originaria ai Giardini, e non relegato, come un povero, triste padiglione di periferia – pur essendo quello della nazione ospitante –, in fondo all’Arsenale”. Qualcosa si muove, dunque, a Venezia. Vedremo cosa, e quanto.

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