B.R. Ammazzate Banksy: Vincenzo Profeta contro la street art

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Un libro che sta avendo una fortuna insolita, perdurante lungo i due anni ormai trascorsi dalla pubblicazione. Curioso e consolante fenomeno, perché il libro non ha nulla, assolutamente nulla di politicamente corretto. Ma per fortuna un libro scorretto può essere un buon libro, anche quando non è sempre vero il contrario (anzi, quasi mai lo è), nel senso che i libri politicamente corretti che hanno successo non è detto che siano buoni libri (anzi, quasi mai lo sono). Invece B.R. Ammazzate Banksy, di Vincenzo Profeta, (Gog Edizioni, 120 pagg., 12 euro) continua a ricevere l’attenzione del pubblico e richieste di presentazioni, la prossima a Messina, domenica 22 ottobre, dove Profeta commenterà anche La Palermo Male, altro titolo suo di meritato successo spontaneo. L’autore, che compone insieme a Marco Leone Barone il Laboratorio Saccardi, duo artistico palermitano di gustosa e originale poetica punk antropologica, individua la causa eziologica della malattia degenerativa della street art nel misterioso street artist della bambina col pallone, di cui auspica la fine delittuosa per mano terroristica. Misterioso, forse, non ancora per molto, come ha scoperto Artuu qualche settimana fa.  

Banksy corre il rischio di essere scoperto, nel volto e nel nome, a seguito di una citazione in tribunale dove dovrà comparire fornendo generalità complete e veraci. Che dici, sarà vero? O si tratta di una nuova operazione mediatica di cui lo stratega è sempre lui? 

Banksy è un artista che ha molto dello speculatore finanziario, sa sempre un po’ di truffa la sua arte, ed è sempre un po’ stantia. La cosa triste è l’attivismo politico peloso, paraculo, proprio praticato per speculare. Ma questo giochetto non lo si può fare per tanti anni, perché il sistema registra e alla fine il giochetto lo fanno a te.

Ma secondo te fa parte anche lui del giochetto, almeno in questa fase di comunicazione?

Siamo in una società in cui tutto fa brodo, una società colabrodo direi, e la curiosità sulla sua identità è qualcosa che il suo pubblico, che purtroppo è di basso livello, spesso gode; quindi, può anche darsi che ci sia in corso un’altra speculazione, anzi considerando il fatto che gli inglesi speculano su tutto diventa ancora più probabile che sia un’operazione di marketing.

Tant’è vero, stando alle tue ipotesi, che in effetti si registra negli ultimi giorni un aumento delle richieste delle opere sul mercato di Banksy. Ma, arte e marketing, il marketing dell’arte, l’arte che si fa marketing, oltre il mercato, oltre il sistema delle tradizionali relazioni economiche che hanno sempre distinto il mercato dell’arte. Tutto questo ti sta molto a cuore e la tua denuncia, in questo libro, è un vero e proprio J’Accuse, senza mezzi termini né riverenze per nessuno, rivolto a tutto il sistema per come si è andato configurando negli ultimi decenni, soprattutto nell’ambito della nuova arte urbana del periodo recente contemporaneo, la street art. Non è così?

Si. Dalla fine degli anni Novanta fino ad oggi si stabilisce questa fase della storia della street art che diventa arte di sistema, propaganda di ideologie vuote, tutte afferenti all’area cosiddetta di sinistra progressista, politically correct, ma soltanto di facciata, e radicalmente allineata ai cosiddetti diritti civili. Gli artisti che hanno operato e che operano in questa fase hanno cominciato a “educare” le periferie, diventando un po’ maestrini. Non c’è niente di peggio di questo civilismo da quattro soldi, soprattutto sostenuto da certa cultura di sinistra, che foraggia questo sistema di comunicazione.

Che infatti tu definisci “arte da cartelloni pubblicitari”…

Si. Non è né più né meno che pubblicità. Un sistema dannoso, perché mentre prima Basquiat e Keith Haring miravano a finire dentro le gallerie d’arte e dentro i musei, questi artisti qui finiscono a fare propaganda politica e diventano servi dello Stato.

O “attivisti del sistema”, si potrebbe anche dire, sei d’accordo?

Esatto. Ed è un’attitudine peggiorativa, non è più attivismo spontaneo: sia Haring che Basquiat avevano una certa cultura artistica e sapevano benissimo quello che facevano, volevano diventare artisti. Oggi si diventa megafono ideologico. Questo è ciò che io critico.

L’ultimo attivista dell’arte di strada autenticamente puro era stato il signor Enzo, che presenti nel libro. Chi era il signor Enzo?

Il signor Enzo, al secolo Vincenzo Romano, è stato un poeta visivo palermitano morto un paio d’anni fa, un graffitaro autentico che partiva dalla scrittura, non ci sono disegni ma solo frasi, spesso non sense, scritte in maniera autistica su radiatori, cabine elettriche, muri scalcinati, che sono vere composizioni poetiche.

Tra queste, particolarmente interessante per noi, il tormentone: “B.R. Ammazzate…”

Si: “B.R. Ammazzate…” qualcosa o qualcuno, ogni tanto Renzi, qualche volta le donne, e da qui il titolo del libro. Io ho voluto fare conoscere il signor Enzo nel libro proprio per dare la sensazione di che cosa era la vecchia e la vera street art, essendo lui stato un artista di strada autentico, un semi barbone che era diventato molto famoso a Palermo negli anni Novanta, ma ha lasciato tracce di sé anche in altri luoghi. L’ho tirato fuori per fare conoscere il romanticismo di questa sua azione. Il libro, dopotutto, non è contro i graffiti ma è contro la street art, che è la degenerazione dei graffiti. 

Insomma, potremmo anche chiamarla, oggi, arte illegale legalizzata?

Si, assolutamente: arte legalizzata, tollerata e sponsorizzata anche dallo Stato e dalle strutture pubbliche. Conviene di più fare un graffito in una zona periferica desolata piuttosto che costruire un campetto, dare la possibilità di avere una palestra. No, fai invece un graffito, con qualche santo pieno di retorica. Un artista d’avanguardia, un futurista per esempio, sarebbe inorridito davanti alla retorica di questo tipo di figurazione: santi, calciatori, magistrati. Non c’è più nessuna differenza tra questo tipo di arte e la pubblicità di qualche multinazionale, c’è il moralismo dilagante di questi “faccioni”, come dico io, che non hanno nulla di sperimentale.

Dal muralismo al moralismo, come dici sempre tu.

Si, proprio così.

In questa sorta di auto dannazione, per dire così, che ravvedi nella street art, tu ci trovi anche una relazione con il fenomeno della cancel culture?

Il passo è breve: molti graffitari hanno per esempio cominciato a cancellare i loro graffiti, a cominciare da Blu, e l’anti-arte dell’annullamento del busto di Cavour o dello schiavista dell’Illinois, tutta questa iconoclastia cioè, diventa una specie di prosecuzione della street art, attraverso l’annullamento della street art medesima, ma è ancora marketing, e infatti va molto di moda: ci sono organizzazioni che se ne occupano, di questa “arte della cancellazione”, che è diventata paradossalmente una nuova forma di street art. E qui gli emuli di Banksy si moltiplicano, ma fanno sempre e solo speculazioni estetiche.

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