PichiAvo: “graffitismo e cultura classica nel nostro Dna”

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PichiAvo è il duo di street artist valenciano formato da Juan Antonio (Pichi, 1977) e Álvaro (Avo, 1985). I due street artist si sono incontrati nel 2007 sulla scena dei graffiti a Valencia e da allora hanno iniziato a lavorare assieme dando avvio ad uno stile unico e inconfondibile, che combina la tradizione dell’arte classica alla modernità dei graffiti.

Al di à dei possenti soggetti, che si rifanno alla iconografia della statuaria antica – da Apollo alle Tre Grazie, da Zeus a Poseidone – quello che particolarmente caratterizza il linguaggio espressivo di PichiAvo è il cromatismo acceso, virato sulle note di colori come il rosa, il viola, il blu e l’azzurro, che si avvicina all’estetica della Vaporwave e alle atmosfere nostalgiche degli anni Ottanta e Novanta (che corrisponde al periodo di massima esplosione dei graffiti nelle strade).

Dopo essersi concentrati per alcuni anni sull’elaborazione di una tecnica comune, PichiAvo sono usciti allo scoperto nel 2015 realizzando progetti in alcuni dei luoghi più importanti dell’arte urbana internazionale, tra cui il leggendario Houston Bowery Wall a New York (2017), primo intervento pittorico di artisti europei. Nell’aprile 2019 hanno ideato il secondo murale più grande del mondo nella città di Porto, in collaborazione con il celebre artista Vhils.

Ad oggi PichiAvo contano mostre in gallerie d’arte e in musei, tra cui al CCCC Centre del Carme Cultura Contemporània di Valencia, oltre a essere stati coinvolti in prestigiosi progetti pubblici e sociali che nel 2019 li ha portati a concepire una monumentale scultura in legno alta 26 metri per il festival Fallas di Valencia.

In Italia si trovano due grandi muri dipinti da PichiAvo: a Montecosaro, nelle Marche, troviamo un’opera dedicata a Cupido, il Dio dell’amore e del desiderio. Il primo vero murales italiano del duo si trova, però, in provincia di Latina, dove nel 2015 sono stati invitati a partecipare al festival Memorie Urban: qui hanno presentato una personale intitolata Urban Iconomythology e hanno dipinto a Gaeta (Fondi) un murales con l’iconografia delle Tre Grazie.

Ora sono tornati in Italia per presentare Diaspasis, la personale che inaugura la nuova collaborazione di PichiAvo con la galleria Wunderkammern. In mostra una trentina di lavori realizzati a vernice spray, acrilico e olio su pannelli di cartongesso che poi rompono ricavandone più frammenti.

In questa intervista esclusiva, i due artisti raccontano ai lettori di Artuu l’origine del loro lavoro, le visioni e le esperienze più importanti per la loro ispirazione artistica, lo sviluppo della loro poetica fino ad oggi. E i loro progetti futuri.

PichiAvo, Portrait, credits Henrique Cabral

Quando avete iniziato a produrre graffiti in strada e per quale motivo avete abbandonato la scena underground a favore di progetti pubblici?

Pichi: Entrambi abbiamo iniziato nel mondo dei graffiti in tempi diversi. Io ho cominciato intorno al ’93 o ’94, mentre Avo ha cominciato un po’ più tardi, intorno al 2000. Non abbiamo mai abbandonato la scena dei graffiti; solo che ora abbiamo molto meno tempo a disposizione e lo spazio pubblico ci ha permesso di dipingere su scale diverse e di sviluppare il nostro lavoro di pittura murale.

Avo: Lasciare la scena underground è un po’ un cliché; non lo lasci davvero alle spalle, ma piuttosto cresci come persona e come artista, e le tue scelte e i tuoi gusti si evolvono. Forse all’epoca non appartenevamo veramente al mondo dei graffiti, quindi è tutto un po’ ambiguo.

La vostra arte trae ispirazione dall’immaginario della cultura classica, greco-romana. Come mai questa fascinazione e quali sono le icone e i valori che apprezzate di questo mondo e restituite nelle vostre opere?

Pichi: Non sempre pensiamo che parlare di ciò che conosci tu stesso sia più facile, perché in realtà stai parlando delle tue origini. In questo caso, ad esempio, siamo mediterranei e veniamo dalla cultura greco-romana. Parliamo anche della formazione di un artista e dei suoi esordi in quella disciplina. Quando inizi a studiare, inizi a disegnare e studiare le sculture greco-romane.

Avo: Alla fine quel lavoro ti porta alla scoperta di testi antichi; ti aiuta a scoprire la mitologia dove trovi testi e immagini che ti insegnano determinati valori che sono importanti anche oggi.

Il vostro lavoro mantiene traccia, nello sfondo, dei graffiti e delle tag che caratterizzano il fenomeno del writing. Come mai questa presenza costante?

Avo: Si tratta di mantenere l’essenza delle nostre origini come artisti e, allo stesso tempo, aggiungere colore all’aspetto scultoreo del nostro lavoro, poiché anche la scultura classica a suo tempo era policroma. Nel corso del tempo, abbiamo visto e imparato che le persone non solo contemplano i nostri murales, ma li leggono anche attraverso le parole dei graffiti, e noi giochiamo con queste informazioni all’interno dell’opera d’arte.

Pichi: Diciamo sempre che si tratta di una nuova policromia contemporanea dove lo spettatore può creare la propria versione del mito rappresentato.

In cosa si caratterizza la tecnica Diaspasis che presentate in mostra alla galleria Wunderkammern a Milano?

Avo: È un’evoluzione del nostro lavoro verso un mezzo più materico, dove l’opera pittorica ha anche un esito scultoreo, e creiamo così un concetto di separazione delle opere. Da qui il nome Diaspasis, dove diamo allo spettatore l’illusione di vedere un’opera d’arte dall’aspetto archeologico.

Pichi: Lavoriamo, come in questo caso, con materiale in cartongesso per simulare muri che potrebbero far parte di un murale sulla strada. La maggior parte di questi pezzi può funzionare ugualmente bene assieme o separati.

Nel corso del tempo vi siete confrontati anche con la plastica scultorea realizzando una serie di opere tridimensionali per il Centro del Carmen di Valencia e nel 2019 una scultura monumentale alta 26 metri per il festival Fallas di Valencia. Cosa significa per voi rendere tridimensionale un graffito e perché questo interesse?

Pichi: Per noi artisti significa compiere un passaggio naturale dalle opere pittoriche a quelle volumetriche, e ci dà anche l’opportunità di vedere il nostro lavoro in un’altra dimensione.

Avo: Solitamente portiamo la scultura classica nel mondo pittorico e in questo modo portiamo i graffiti, che appartengono al mondo pittorico, nel regno tridimensionale. Quindi è un percorso naturale in cui ci sentiamo sempre più a nostro agio e dove possiamo esprimerci e creare sia idee che progetti interessanti per il pubblico.

Non è la prima volta che dipingete o esponete in Italia. Cosa vi attrae di questo paese?

Pichi: Crediamo che ci sia un collegamento diretto nel nostro lavoro con la scultura greco-romana e, in questo caso, l’Italia ha la cultura storica perfetta per il nostro lavoro.

Avo: Per noi è un’opportunità per vedere come la gente locale o quella di un paese abituato all’arte classica reagiscono al nostro lavoro perché scegliamo sculture un po’ intoccabili e le trasformiamo in un modo diverso da come siamo abituati a vedere. Quindi è interessante venire in Italia o anche in altri posti dove la cultura classica è predominante e osservare la reazione dello spettatore.

Avete realizzato murales e opere pubbliche in tutto il mondo. Qual è, e dove si trova, il murales che i vostri appassionati devono assolutamente vedere?

Pichi: Una domanda impegnativa con una risposta difficile perché, davvero, ogni luogo ha qualcosa di speciale e l’impatto in luoghi più piccoli spesso ci sembra più significativo che in città più grandi come New York. Ci sono però luoghi come New York che hanno avuto un’importanza particolarmente rilevante nella nostra carriera, come il murale Houston-Bowery Wall.

Avo: Direi che è il prossimo murale. Tra pochi giorni andremo in Kansas, negli Stati Uniti, per creare un murale che speriamo possa diventare il prossimo iconico.

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