Stefano Antonelli: “Certo, Banksy è Robin Gunningham. Ma il suo mito rimane intatto. E vi spiego perché”

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Stefano Antonelli è, assieme a Gianluca Marziani, il massimo esperto di Banksy non solo in Italia, ma probabilmente a livello globale. Al loro attivo, i due studiosi hanno non solo l’organizzazione e la cura delle più importanti mostre di Banksy, le più scientificamente organizzate, oltre che le sole ufficialmente autorizzate dalla Pest Control, la società che si occupa della commercializzazione dei lavori di Banksy nel mondo, ma anche le pubblicazioni più rigorose, più complete e più approfondite sull’argomento. Mentre in tutto il mondo impazza la notizia della “rivelazione” dell’identità dello street artist, costretto a smascherarsi per potersi difendere in tribunale da un’accusa di diffamazione di un certo Andrew Gallagher (noi ne abbiamo parlato qua, unici, in tutta la stampa mondiale, a spiegare per filo e per segno chi sia il suo antagonista e perché i due siano in causa da quasi un decennio), e mentre lo stesso Antonelli ha rivelato sulla sua pagina Facebook (proprio oggi, in anteprima rispetto tutta la stampa mondiale) il contenuto de nuovo murale di Bansky a Londra non ancora “rivendicato” dallo street artist di Bristol, gli abbiamo rivolto alcune domande per capirci di più a che punto siamo sull’affaire Banksy.

Allora, Stefano, partiamo dall’inizio: Banksy è dunque, al di là di ogni ragionevole dubbio, Robin Gunningham?

Certo che si sa chi è. Lo sanno tutti. Da anni. Ma a nessuno interessa rivelarlo, perché, al di là dell’interesse un po’ morboso della stampa sull’argomento, il pubblico non è veramente interessato a sapere quale sia la sua vera identità. Ti racconto questa leggenda, dove si dice che Banksy abbia spiegato il mito del proprio anonimato in questo modo: tutti sappiamo che Zorro è don Diego de la Vega, ma a nessuno interessa di Don Diego, a tutti interessano Zorro e le sue azioni. Ecco, c’è una grande verità in questo. È interessante ad esempio sapere che quando, già nel 2008, il “Daily Mail”, dopo un’articolata inchiesta giornalistica, aveva svelato che dietro allo street artist c’era probabilmente un anonimo signore di mezza età di nome Robin Gunningham, portando già prove documentali e pubblicando persino una sua foto mentre lavorava su uno stencil, ebbene, non solo il giornale non vendette poi tante copie come ci si sarebbe aspettato, ma per di più ricevette molte lettere di protesta, con accuse del tipo: ‘vergogna, avete rovinato tutto!’.

Questo perché accade, secondo te?

Non solo perché agisce su tutti noi il fascino dell’anonimato, soprattutto in una società che si basa sull’apparire, ma anche perché è come se Banksy avesse fatto un patto con il pubblico ed è il pubblico stesso, oggi, che pretende che questo patto venga rispettato. Perché Banksy ha saltato a pie’ pari il sistema dell’arte, che è percepito dal pubblico come qualcosa che non appartiene al popolo, ma appartiene invece ad un’élite con la puzza sotto il naso. Per di più, Banksy, con la sua operazione-anonimato, viene visto come uno che non incassa il suo successo, non appare in Tv o sui giornali, non si alza al di sopra della massa: continua a vivere come tutti gli altri, insomma non cammina sul red carpet, ma cammina nel mondo, assieme a tutti noi. Questo non può che suscitare simpatia, e attuare un sistema di istintiva protezione collettiva.

È per questo che, nonostante le tante inchieste e i tentativi della stampa di smascherarlo, in tanti anni nessuno che lo conosceva bene è mai saltato fuori dicendo: sì, è proprio lui?

Certo. Ma tieni anche conto che Banksy nasce in un ambiente, quello dell’arte di strada a Bristol negli anni Ottanta, in cui l’anonimato è non soltanto una pratica molto diffusa, ma è anche necessario e direi quasi obbligatorio. Negli anni in cui Banksy opera a Bristol, se ti trovavano a fare un graffito ti davano 16.000 sterline di multa e rischiavi di fare sei mesi di carcere, insomma era una cosa molto seria. Per tutti, sono gli anni della signora Tatcher ma anche del pugno di ferro contro i graffiti, della cosiddetta “Operazione Anderson” che è stata la più grande operazione anti-graffiti della storia, dove decine e decine di graffitisti vengono inquisiti e molti sono costretti a smettere, mentre altri, quelli che continuano ad operare, sono costretti a entrare in una vera e propria clandestinità. Da qua nasce il “metodo Banksy”.

Che cos’è il “metodo Banksy”?

Vedi, Banksy costruisce ogni sua operazione non come quando un artista si prepara per organizzare una mostra, ma come se fosse un colpo, una rapina in banca. Esattamente come una scena di Ocean’s Eleven. C’è la fase della preparazione, accuratissima, precisa, maniacale, fatta di sopralluoghi, di studio del territorio, di contatti sicuri e di bocche cucite, l’attenzione ad eventuali telecamere presenti nella zona, la possibilità che qualcuno possa vederti e come fare ad evitarlo, poi la scelta del materiale, la necessità di non lasciare tracce, l’effetto sorpresa… è in tutto e per tutto un’azione clandestina, che attraversa la preparazione di ogni sua mostra e che permea tutta la costruzione del suo personaggio. Da questa maniacale attenzione all’anonimato, al non farsi mai scoprire, nasce quindi anche la cortina di ferro che si crea intorno alla sua identità, la rete di protezione estesa che impedisce a chiunque lo abbia conosciuto di tradirlo.

E come si è incrinata nel tempo questa rete di protezione, com’è che ormai è nota a tutti la sua vera identità?

Beh, ci sono state inchieste, indagini molto accurate, persino studi scientifici attuati con metodi che si usano in criminologia, come quello della Queen Mary University di Londra, che nel 2016 ha utilizzato metodi di profilazione geografica, una tecnica usata per analizzare il diffondersi di malattie infettive o per tracciare criminali e terroristi, con cui hanno analizzato i luoghi dove sono apparse le opere di Banksy a Londra e a Bristol, mappandole e mettendole a confronto con dei “punti di ancoraggio”, come le abitazioni di persone sospettate di essere Banksy, per trarre conclusioni sulla sua possibile identità, arrivando così nuovamente alla conferma che si trattasse proprio di  Robin Gunningham. Ma già prima, nel 2011, una giornalista del “Los Angeles Times” che si chiama Gabrielle LaMarr LeMee, pubblicava un piccolo libretto, Uncovering the Identity of Banksy, che è una vera e propria caccia a Banksy, identificandolo sempre con Robin Gunningham, scoprendo che è nato il 29 luglio del 1973 e dicendoci in quale ospedale è nato, chi sono i suoi genitori, dov’è andato a scuola, che è una scuola privata e costa 9.000 sterline l’anno, trovando anche le sue foto giovanili… Insomma, ci racconta tutto quello che c’è da sapere su di lui. E poi, ci sono anche gli indizi che Banksy, da vero giocatore d’azzardo, semina nel corso del tempo nei suoi libri o nelle rare interviste che ha concesso…

Quali indizi?

Sono molti gli indizi che Banksy ha seminato dietro di sé relativi alla sua vera identità. C’è ad esempio un’intervista in una fanzine che io e Gianluca Marziani abbiamo recuperato in Giappone, in cui Banksy, ancora poco conosciuto, viene intervistato in occasione di una mostra in un ristorante su un barcone a Bristol, e chi lo intervista dice, in sostanza, “questa è un’intervista a Robin Banks che alcuni di voi Bristol conosceranno forse meglio come Banksy”… E questo era già un indizio sull’origine del nome Banksy, perché a quanto pare conteneva ancora il suo vero nome di battesimo, Robin, ma con quel “Banks” messo dopo il nome, che era chiaramente un calembour (Banksy, si sa, ama molto i giochi di parole), che richiama alla mente la parola Bank Robber, ovvero rapinatore di banche. Ma poi si sono tanti altri indizi, come ad esempio un altro, in cui, in un murale a Los Angeles, a Beverly Hills, Banksy dipinge Robin, il compagno di Batman, con in mano un rullo e la scritta “No more Heroes”. Anche in questo caso, il riferimento al suo nome di battesimo non sembra proprio casuale…

Però la storia della ricerca dell’identità di Banksy è costellata anche di false piste, di depistaggi…

Certo, come ogni grande mistero che si rispetti il copione è ricco di piste a fondo cieco e di depistaggi. Lui stesso ha fatto di tutto per distrarre, per depistare, per mescolare le acque. C’è la storia che attribuirebbe l’identità di Banksy a Robert Del Naja, leader dei Massive Attack, mai smentita ufficialmente, forse usata anche questa per depistare e intorbidare le acque… e certo era una teoria suggestiva, perché com’è noto i lavori di Banksy, come viene scoperto nel 2016 da un giornalista musicale scozzese, Craig Williams, comparivano sempre in concomitanza ai concerti dei Massive Attack in giro per il mondo. Ma è un fatto che, anche questo è storia nota, Del Naja prima di essere frontman dei Massive Attack, era un ex graffitista di Bristol, ed era già molto conosciuto quando Bansky era ancora un ragazzino, ed è stato lo stesso Del Naja, in seguito, a fare entrare Banksy nel mondo della musica e anche nel mondo dell’arte, a fargli conoscere Damien Hirst a Londra, insomma lo prende sotto la sua ala e lo introduce negli ambienti “che contano”, e non c’è dubbio che il loro sodalizio continuerà a lungo ed è presumibile continui tutt’ora. Questa, come altre, è stata solo una falsa pista, ma che come vedi, in realtà, cela anch’essa una parte di verità.

E ora che la sua identità è stata rivelata urbi et orbi, che cosa succederà?

Questo potrebbe aprire una serie di conseguenze non del tutto prevedibili. Perché per ora, per esempio Banksy non ha mai esercitato il diritto d’autore, proprio per non dover dichiarare il suo nome. Certo, se fosse obbligato a farlo, a quel punto potrebbero esserci dei problemi per un sacco di persone, a cominciare da quelli che hanno commercializzato le sue immagini senza il suo permesso, approfittando del fatto che lavorasse sotto anonimato. Del resto questa battaglia è già iniziata anni fa, quando Banksy, per cercare almeno in parte di proteggere il suo lavoro, pur senza mai dichiarare la sua identità, ha costituito una società, la Pest Control, per proteggere commercialmente le sue immagini e il suo lavoro. Ed è abbastanza indicativo che nel suo sito ci sia questa frase: “Saying “Banksy wrote copyright is for losers in his book” doesn’t give you free rein to misrepresent the artist and commit fraud. We checked”, ovvero: “Dire “Banksy ha scritto che il copyright è per i perdenti nel suo libro” non ti dà il permesso di fregare l’artista e commettere frodi. Vigiliamo”. Come dire: attenzione a chi fa il furbo, abbiamo gli occhi aperti e ci difenderemo…

C’è un po’ una contraddizione in questo, no?

Certo, del resto tutto il lavoro di Banksy vive nella, e della, contraddizione. La contraddizione è inevitabile, perché il lavoro nasce come antagonismo totale, l’antagonismo è la matrice del lavoro di Banksy, solamente che poi questo antagonismo viene assorbito dal mercato. Adesso quindi ha un valore, e mentre l’antagonismo non ha regole o norme che lo tutelino, il valore sì, quindi l’antagonismo che ora è mercificato si barcamena tra coerenza dei suoi principi di base e ricerca di nuove norme e di regole che possano tutelarne comunque il valore, e non farlo sfruttare da altri a loro piacimento.

Ma in definitiva, credi che questo nuovo sviluppo dell’affaire Banksy, con la rivelazione della sua vera identità, possa danneggiare la mitologia dell’eroe anonimo senza macchia e senza paura?

Io credo di no, perché quello che potrebbe succedere è che forse si scateneranno i paparazzi, forse ci saranno ancora delle ricerche per braccarlo, ma è un fatto che Banksy ha creato la sua mitologia sulla sua opera, e non sul suo volto, e questo non potrà mai cambiare. Ti faccio un esempio: se tu dici la parola Andy Warhol, ti vengono in mente sì le sue opere, ma prima di tutto ti viene in mente il suo volto, la sua parrucca, il suo personaggio. Allo stesso modo, se dici Basquiat ti viene in mente il volto di Basquiat, la sua figura di artista giovane, bello e maledetto. Se invece dici Banksy, cosa ti viene in mente? La bambina col palloncino. Questo è un fatto che è e sarà fissato per sempre nel mostro immaginario, che nessuna inchiesta o rivelazione potrà mai cambiare.

Ecco, scusa ma la domanda è d’obbligo, tu che con Marziani hai organizzato le sole sue mostre ufficialmente riconosciute dalla Pest Control, hai mai conosciuto o visto in faccia Banksy?

No, non abbiamo mai incontrato Banksy e nessuno ha mai incontrato Banksy tra le persone che conosco. Considera che, ad esempio, Banksy ha invitato nel 2008 al ‘Cans Festival’ di Londra degli artisti italiani per una convention di graffiti, c’erano gli OrticaNoodles, Lucamaleonte, Sten&Lex, ma nessuno di loro ha mai visto in faccia Banksy. Così chiunque abbia collaborato con lui, non ha conosciuto che suoi collaboratori, suoi emissari, suoi complici, diciamo. Poi su questo tema Steve Lazarides, che era il suo manager e che ha lavorato undici anni con lui, spiega molto chiaramente che la privacy di Banksy, quindi la tutela del suo anonimato, è sempre stata una vera ossessione per lui e per il suo team.

Magari però voi l’avete conosciuto, ma si mascherava, che ne so, partecipava alle riunioni come assistente, segretario, o come semplice fattorino, senza rivelare neppure a voi la sua identità?

Conoscendo Banksy e la sua pratica anche giocosa e provocatoria, non mi stupirebbe affatto. Del resto anche questo fa parte della costruzione mitologica del suo personaggio, dove tutto è possibile, tutto può essere vero o falso, e verità e menzogna si mescolano indissolubilmente tra di loro. In Banksy tutto è mitologia, questo fa parte del personaggio, della sua storia e della sua pratica. Anche per questo, Banksy è uno di quegli artisti che entrerà nella storia dell’arte per acclamazione popolare, e non certo per acclamazione della critica, che l’ha sempre trattato con sufficienza e l’ha accettato, obtorto collo, solo quando era già ricco e famoso.

E ora che si sa chi c’è veramente dietro i suoi lavori, non si allenterà il favore popolare nei suoi confronti?

No, assolutamente, di questo possiamo stare certi. Se fosse stato un personaggio famoso, questa sì, sarebbe stata una rivelazione che avrebbe provocato scalpore, e forse anche infastidito e allontanato la gente dal lui: ma sapere che è un mister X qualunque non ci fa né caldo né freddo, perché lo sapevamo già prima. Ed è appunto la rivincita del Mister X qualunque che ci fa godere, che ce lo fa piacere, ed è questo il motivo per cui vogliamo che continui ad essere protetto e nascosto. Perché Banksy è come noi.

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