Gli universi stellari di Robert Pan 

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Fino al 10 febbraio 2024, sarà possibile visitare presso la Nuova Galleria Morone a Milano, Σταλακτίτης | Stalattite. La vita nella materia, personale di Robert Pan.

Nato a Bolzano nel 1969, Robert Pan è un artista dal pensiero critico ben definito. I suoi lavori sono infatti caratterizzati da una fortissima componente materica, aspetto che è sempre stato fondamentale nella sua produzione. Viaggiatore per natura, si trasferisce per un anno a Parigi, dopo gli studi presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino. La sua strada si sposta poi nel vivace quartiere londinese di Brixton, per poi proseguire a New York e a Miami. Numerose sono le mostre personali di Pan in gallerie nazionali ed internazionali, nonchè in istituzioni private, le quali includono città da tutto il mondo, da Taiwan a Venezia, passando per Milano, Barcellona e Londra. Nella mostra Stalattite. La vita nella materia, troviamo esposto un nuovo ciclo di opere inedite, esito degli ultimi due anni di lavoro. Robert Pan ce ne ha parlato nel corso di un’intervista.

Come nasce nel concreto una tua opera? In che modo operi solitamente e dove trovi l’ispirazione?

Credo che l’ispirazione non nasca di punto in bianco da un momento all’altro, senza che l’artista debba fare niente. Sono invece dell’idea che sia il risultato di un processo, che derivi quindi dalle mie esperienze di vita o da quelle che mi influenzano nel profondo. Io non sto fermo ad aspettare che mi arrivi l’ispirazione dal nulla, perchè riguarda invece il mettersi continuamente in confronto col proprio lavoro. Parlando di come creo le mie opere, innanzitutto c’è da dire che ne realizzo più di una contemporaneamente, questo perchè il processo di asciugatura è molto lungo. Io lavoro a strati, a sovrapposizioni di materia, a cui do un ruolo fondamentale. Utilizzo delle reti come supporto a cui sovrappongo diversi strati di resine che man mano faccio asciugare e sulle cui superfici eseguo un processo di sgocciolatura dei pigmenti. Quando uno strato è asciutto procedo con la levigazione di quello strato, utilizzando carte raschianti di diversa durezza, da quelle più graffianti a quelle più delicate, che sono leggere quasi quanto delle stoffe. È come se procedessi a ritroso, perchè il colore delle superfici sottostanti viene fuori soltanto con la levigatura, quindi con un’operazione sottrattiva, simile a quella della scultura.

Quindi secondo te i tuoi lavori possono essere considerati più delle sculture che delle opere pittoriche?

Io credo che siano dotati di una certa profondità, nel senso che se si osservano attenatamente si possono vedere i vari strati della materia. Allo stesso tempo hanno però la forma dei quadri, quindi sono vicini anche al mondo pittorico per questo motivo, oltre che per l’uso dei pigmenti. Credo che si possano quindi considerare un ibrido tra le due pratiche, non sono certamente né solo sculture, né solo quadri.

Com’è nato il titolo della tua personale alla Nuova Galleria Morone Σταλακτίτης | Stalattite. La vita nella materia? Lo hai scelto tu o insieme al curatore Alberto Mattia Martini?

Il titolo l’ho scelto insieme ad Alberto, ci sembrava perfetto per il tipo di lavoro che faccio perché la stalattite è un elemento naturale caratterizzato da uno sgocciolamento perenne, una precipitazione continua e da una stratificazione lenta e persistente, proprio come quella che si ritrova nei miei lavori.

Quando realizzi un’opera sai già che aspetto avrà una volta conclusa o lo scopri durante il processo di creazione?

Ho sicuramente un’idea, un progetto su come può risultare l’opera una volta conclusa dal punto di vista della composizione delle forme e dei colori. È sicuramente presente una componente di casualità che è voluta, questo perchè naturalmente non posso sapere il punto esatto in cui cadrà ogni sgocciolatura. 

Cosa ti ha spinto a fare l’artista?

Io sono sempre stato affascinato dalla materia, perchè come ti dicevo prima per me è importantissima, riguarda l’intera mia narrazione. Prima dell’Accademia, dove ho studiato scultura, ho fatto il ceramista e ho anche lavorato col ferro, quindi è una passione che porto dentro da sempre. Non potevo fare altro se non lavorare con i materiali. Quello che mi interessava durante i miei studi era la trasformazione della materia.

Nella tua personale presso la Nuova Galleria Morone a Milano, le opere esposte hanno dei titoli molto particolari, come NX 8,266 RX, ND 7,648 WL, oppure MI 7,117 MO. Perchè queste sigle?

Si riferiscono ai nomi dati ai nuovi pianeti scoperti, infatti i miei titoli hanno sempre quattro numeri e quattro lettere. Le opere che creo sono per me i miei quadri stellari, i miei universi e li racconto dal mio punto di vista, anche esteticamente richiamo infatti le galassie. È come se fossi al centro dell’opera e la  guardassi dall’esterno.

Cosa ti ha spinto a trasferirti negli Stati Uniti, prima a New York nel 1992 e poi nel 2013 a Miami? Eri alla ricerca di un tipo d’ambiente artistico diverso da quello italiano?

Sono stato a New York dopo aver vissuto un anno a Londra grazie a una borsa di studio. Sarei dovuto rimanere negli Stati Uniti soltanto sei mesi e invece sono rimasto quattro anni. Quest’esperienza è stata fondamentale per il mio lavoro. La seconda volta che sono andato in America fu a Miami, perché avevo già un circuito di gallerie e artisti che frequentavo. New York negli anni novanta per me era un vero sogno, il classico sogno americano, non era solo una città ma un mondo intero, piena di gente e di stimoli sempre nuovi. Qui ho sviluppato legami d’amicizia e di lavoro estremamente profondi che hanno influenzato la mia pratica artistica, questo perché non possiamo decidere quello che ci condiziona e filtrare il resto. Gli esseri umani sono estremamente permeabili, tutto influenza le scelte che facciamo e quello che produciamo, quindi chiaramente anche l’arte.

Se potessi spiegare il tuo modo di fare arte in poche parole chiave, a qualcuno che non ti conosce, cosa gli diresti?

Io parlo tramite l’arte. Trovo per questo limitante il dover accompagnare ai miei lavori delle spiegazioni, lascio invece al fruitore la possibilità di connettersi con l’opera sviluppando la propria immaginazione grazie anche all’esperienza personale del singolo. Se mi mettessi nella posizione di cicerone, raccontando o spiegando quello che vedo io nelle mie opere, non permetterei lo sviluppo di altri punti di vista che potrebbero anche essere discordanti dal mio. Quindi non parlerei ma lascerei che siano le mie opere a farlo per me. A questo punto mi vorrei collegare alla questione dei titoli, io non amo particolarmente intitolare le mie creazioni perchè se ci pensiamo, da un certo punto di vista, anche il titolo ti ingabbia ad una determinata visione. Le mie opere le intitolo infatti con delle sigle, per me queste sono più che sufficienti per identificare i lavori che produco.

Hai in programma progetti futuri?

Si, ho in programma due mostre. A marzo una colletiva a Istanbul presso il Elgiz Museum dal titolo Dove una volta c’era il mare e una mostra personale alla Hofburg di Bressanone, visitabile da giugno a dicembre. Si tratterà di un’esposizione molto interessante perchè potrò sostituire delle opere della collezione permanente del museo con dei miei lavori, creando così una continuità e soprattutto un dialogo. Saranno esposte non solo delle opere recenti, ma anche dei miei lavori più vecchi. Da entrambe le esposizioni verranno poi successivamente realizzati i relativi cataloghi.

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