Una nuova tecnologia permette di visualizzare l’effetto dell’arte sul nostro cervello

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Quando ammiriamo un dipinto di Vincent van Gogh, il 34% di noi si sente “incuriosito”, mentre il 33% si sente “intrigato”. Guardando Leon Kossoff – e in particolare la sua opera Shell Building Site del 1962 – è invece la calma a trionfare, con un 27% degli osservatori che si dichiarano “rilassati”. Almeno da quanto emerso da una ricerca condotta nel Regno Unito. Sappiamo, dalle migliaia di meravigliose pagine scritte dai critici d’arte che nei secoli hanno tentato di dare un nome a tutto questo, che non basta di certo una parola per racchiudere le infinite emozioni che l’arte innesca in un appassionato osservatore. Ma un progetto commissionato dall’organizzazione benefica britannica per lo sviluppo e il supporto della cultura Art Fund – che proprio a novembre compie il suo 120esimo anniversario – potrebbe dare nuova forma e colore al consumo dell’arte. 

La prima iniziativa mondiale dell’ente, infatti, ha reso possibile l’ideazione e la realizzazione di un dispositivo in grado di leggere e visualizzare le onde cerebrali in tempo reale, proprio mentre si osserva un’opera d’arte. La tecnologia – sviluppata dalla società di effetti speciali The Mill, in collaborazione con l’artista multimediale Seph Li – è stata testata in via sperimentale questa settimana alla Courtauld Gallery di Londra: i visitatori hanno osservato i capolavori di artisti del calibro di Vincent van Gogh, Paul Cézanne, Eduard Manet e Claude Monet, indossando una sorta di “fascia” ipertecnologica in grado di registrare le onde, trasmesse al monitor che mostrava in tempo reale l’encefalogramma prodotto dall’incontro dello sguardo con l’opera.

Brainwaves on screen with Van Gogh in background. Photo Hydar Dewachi, courtesy of Art Fund.

Il risultato è che gli output (ovvero i segnali elettrici del cervello) generano delle visualizzazioni in 3D della reazione cerebrale, dando conferma del chiaro e immediato impatto dell’arte sul cervello umano. E non solo. Infatti, diverse opere hanno stimolato differenti risposte: Self-portrait with bandaged ear (1882) di van Gogh genera delle “onde” più oscillanti e profonde, mentre quelle di Shell Building Site di Leon Kossoff sono più “corte” e acute. 

Infatti, spiega il direttore creativo di The Mill Will Macneil, «quando un utente è più attento, i nastri si allargano; quando cerca di dare un senso a qualcosa che confonde i nastri iniziano a formare una spirale e si intrecciano. Quando lo spettatore vede qualcosa che riconosce, appaiono riflessi luminosi», e così via.

«Sappiamo che quando una persona vede qualcosa che trova bella, ad esempio un volto o una pittura d’arte astratta», sottolinea Ahmad Beyh, neuroscienziato e professore alla Rutgers University, «i centri del piacere del suo cervello si illuminano ed è il suo centro sensoriale ad essere impegnato più intensamente. Gli studi suggeriscono che tutto ciò sia accompagnato da un rilascio di dopamina, anche conosciuto come il neurotrasmettitore del benessere». Questo meccanismo, grazie ad Art Fund, diventa tangibile e soprattutto osservabile in prima persona proprio mentre viene attivato. L’obiettivo dell’iniziativa è quello di mostrare che l’arte ha il potere unico di agire sul nostro cervello, rilasciando dopamina. Spesso ci si chiede «perché andare in un museo?» o anche «perché l’arte è così importante?». Da oggi, la risposta è semplice: perché fa bene al corpo e alla mente. Dopo la prima tappa sperimentale alla Courtauld Gallery, l’iniziativa itinerante gara tappa, nel corso del 2024, in diverse istituzioni britanniche selezionate. 

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