Marras, Bellina e Ballarò: quando il set fotografico si trasforma in una performance

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Nonostante Ballarò è un’opera poetica che porta con se l’estetica di un riscatto. Lo stilista-designer Antonio Marras e il fotografo Francesco Bellina si sono incontrati per caso e per caso hanno deciso di realizzare un set fotografico coinvolgendo Ballarò, il quartiere multiculturale del centro storico di Palermo, sede dell’omonimo mercato. Attraverso l’arte dell’improvvisazione e della partecipazione collettiva, questa inedita coppia creativa ha saputo ascoltare il genius loci di un quartiere a rischio, pieno di luci e di colori, ma anche di tante ombre.

“Nonostante Ballarò” è il risultato di una “performance” più che di un progetto confezionato a priori, dove un’umanità vibrante e dolente conserva, nonostante tutto, uno sguardo fiero.  E i risultati artistici ed estetici sono sorprendenti. A Villa Igiea e nella chiesa dei Ss. Crispino e Crispiniano (fino al 3 giugno 2024) le foto di Francesco Bellina immortalano gli abitanti di Ballarò mentre indossano gli splendidi abiti di Antonio Marras. Durante l’affollatissima inaugurazione ho chiesto loro di raccontare ai lettori di Artuu il loro avventuroso viaggio creativo.

Antonio Marras: “Il vero designer? È stato il vento”

Antonio, sei passato da “Nonostante Marras” a “Nonostante Ballarò”, come mai c’è sempre un “nonostante”?

Nonostante Marras è uno spazio milanese che nonostante me hanno aperto!

Un “nonostante” che quindi vuol dire anche “grazie a”, un po’ come è accaduto qui. Cosa avete dato voi e cosa vi ha restituito Ballarò?

Sono arrivato qui con alcuni dei miei abiti e in cambio ho ricevuto tantissimo. Prima di tutto una fiducia illimitata nei miei confronti, Francesco è di casa qui, ma io arrivavo senza nessuna credenziale, senza nessuna raccomandazione.

Sei arrivato da straniero, anzi da extracomunitario.

Sì, forse è per quello che ci siamo intesi.

Raccontaci poi come è andata quest’avventura creativa.

Per esempio lei (indica una ragazza,ndr) è arrivata per caso, probabilmente non doveva neanche essere fotografata, io mi stavo dedicando a due mezzi busti quando la vedo. Lei è lì con questo abito a righe, vedo la tenda e le dico “mettiti lì un attimo”, in quel momento arriva una folata di vento ed ecco che questa ragazza è passata alla storia senza neanche saperlo!

È incredibile come in queste foto ciò che sembra fatto apposta sia invece assolutamente casuale. Quella tenda era già lì, come se aspettasse il vestito…

Io non ho toccato nulla, ho lasciato tutto com’era, ho solo raddrizzato quella scopa appoggiata al muro che era un po’ più storta. È l’unica cosa che ho toccato. È incredibile se pensi che il giorno dopo hanno cambiato la tenda, quella tenda adesso non c’è più. È accaduto tutto in quei cinque minuti in cui il vento è arrivato all’improvviso, il vero designer è stato il vento.

Francesco Bellina: “coinvolgere la gente del posto è la formula vincente”

Francesco, complimenti per la bella giacca dalle maniche colorate

Questa giacca l’ha realizzata Souleymane Diallo, che è stato un nostro modello ma è anche il sarto del quartiere.

Se guardo queste bellissime foto che hai scattato penso che sono proprio gli ostacoli la molla che ci spinge a realizzare le cose più interessanti

È grazie agli ostacoli che faccio quello che faccio, uno dei miei motti è “sulu cu nasci in menzo u sale canusce l’amaro” (solo chi nasce in mezzo al sale conosce l’amaro). Vengo da Trapani, so cosa vuol dire combattere nella vita, per me Ballarò è la materializzazione di questa sensazione.

Anche a te voglio chiedere cosa avete dato a Ballarò e cosa vi ha restituito?

Noi abbiamo regalato agli abitanti di questo quartiere dieci minuti di evasione e di spensieratezza, ma senza le persone di Ballarò questo lavoro non esisterebbe. Loro ci chiedevano “voglio essere vistuto!”. Noi gli abbiamo spiegato che cosa stavamo facendo, perché lo stavamo facendo e qual era la nostra mission. Temevo non venisse nessuno e invece il quartiere è qua, sono venuti tutti e questo dimostra che l’esperimento è riuscito.

Non li avete solo “vistuti”, li avete coinvolti realmente!

L’ho spiegato fino a poco fa a dei bambini del Biafra che sono venuti da me e mi hanno chiesto a cosa serve questa mostra, questo progetto, gli ho detto cosa pensavo quando l’ho fatto, le ragioni per cui l’ho fatto.

Tu sei stato sulla nave di una ONG, con le tue foto ti occupi da sempre di migranti e di migrazioni, di problemi che riguardano i sud del mondo. Non sei nuovo a queste cose.

Io riesco a creare solo se ho una motivazione forte che mi viene dallo stomaco, cioè da dove viene la fame e da dove vengo anche io. Per me è questo il filo conduttore, è il mio modo per tentare di migliorare le cose, anche con me stesso.

Portare qui una telecamera o un obiettivo significa accendere un riflettore su una realtà che ha bisogno di emergere. Pensi che siete stati utili alla gente del posto?

È utile solo se li coinvolgi e se gli spieghi quello che fai. Se facciamo come fanno alcune produzioni, alcuni “santi” che arrivano, mettono le transenne e lasciano i poveri coi poveri e i ricchi coi ricchi, allora non solo non è utile, ma allontaniamo le persone.

Stasera non ci sono solo le istituzioni la gente di Ballarò è venuta vedere la mostra, cosa vuol dire per te?

Il fatto che la gente del posto abbia varcato la soglia di quel portone di fianco all’Assessore, con le istituzioni, per me è la cosa più importante. Per me questo progetto è sempre stato una performance, e la performance che finiva stasera, volevo capire se la gente avrebbe varcato quella soglia. So cosa si prova quando devi andare in un posto ma non hai i capelli a posto o hai le scarpe bucate. Ti vergogni, ci vorresti andare ma ti vergogni. Loro sono venuti qui stasera e questa è la cosa più bella che poteva accadere.

Siete venuti qui senza mettere recinti, non siete caduti in luoghi comuni e non avete scopiazzato caratteri o stilemi del sud svuotandoli di senso e Ballarò ha risposto, con la sua autenticità e la sua umanità viva…

È stato tutto totalmente improvvisato, dall’incontro con Antonio fino a tutto il resto e soprattutto non è stata un’operazione colonialistica, questo è il motivo per cui l’ho fatto.

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