Una casa tutta per sé: lo spazio artistico-politico di Womanhouse (pt 2)

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La nostra contributor Alessandra Cremone ricostruisce nei minimi dettagli l’installazione artistica Womenhouse, “un’importante azione artistica apripista dell’arte femminista al pubblico generale”, realizzata nel 1972 a Los Angeles in Mariposa Street n.533

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Womenhouse diviene dunque uno spazio di emancipazione politica, sessuale: una possibilità di costruzione di quella stanza tutta per sé di cui scrive Virginia Woolf. Qui una stanza non basta, sono 17 le stanze caratterizzate da interventi artistici di varia natura, come The Kitchen di Robin Weltsch del 1972, opera site-specific le cui pareti e soffitti sono costellate da uova fritte la cui forma ricorda dei seni femminili.

Nurturant Kitchen in Womanhouse by Susan Frazier, Vicki Hodgetts, and Robin Weltsch, 1972, via judychicago.com

L’opera collettiva è stata insomma uno spazio artistico irruente, potente, quasi aggressivo di donne che hanno conquistato uno spazio autonomo e lo hanno reso testimonianza di un’urgenza. Così ricordiamo The Laundry Room di Beth Bachenheimer, un’esposizione di calze appese che dà l’accesso al Menstruation Bathroom di Judy Chicago (che in maniera ancora più schietta realizza nel ‘71 Red Flag). Si tratta di un bagno che sembra una scena di un delitto intimo. Il candore del bagno bianco piastrellato esalta il colore rosso delle mestruazioni presenti nei tanti assorbenti appesi a uno stendibiancheria o gettati ammassati nel cestino della spazzatura.

Il taboo del ciclo mestruale, spesso camuffato tuttora con espressioni “le mie cose”, “i parenti a casa”, “quei giorni”, è sovvertito in un’esibizione esasperata di una condizione fisica naturale, per cui il disprezzo normale associato al ciclo viene triplicato dall’ostentazione dello stesso, dall’esaltazione del rimosso.

Menstruation Bathroom in Womanhouse by Judy Chicago, 1972, via judychicago.com

Viene dunque messa in scena, non solo in Menstruation Bathroom, ma anche altrove nelle altre stanze una desessualizzazione del corpo femminile, una rivendicazione del proprio corpo depurato dall’oggettivazione dello sguardo maschile predominante. Tra gli altri interventi artistici ricordiamo Aprons in the Kitchen di Susan Frazier del 1972, che insiste sulla dualità tradizionale della cucina come spazio del femminile; Linen Closet di Sandy Orgel che a proposito della sua opera afferma: «questo è esattamente dove le donne sono sempre state, tra le lenzuola e sul ripiano, è giunto il momento di uscire dall’armadio».

Tramite un sovvertimento denaturalizzante, le artiste utilizzano una casa, spazio domestico tradizionalmente femminile per criticare la società patriarcale e sovvertire il ruolo tradizionale della donna attraverso la critica, il paradosso, l’esasperazione, la sperimentazione artistica. In Nightmare bathroom Robin Schiff l’artista crea una donna di sabbia in una vasca da bagno, destinata, per via del tocco del pubblico, a scomparire piano piano, simbolo di come un bagno, luogo intimo, personale divenga luogo collettivo, sessualizzante, violento.

Bridal Staircase in Womanhouse by Kathy Huberland, 1972, via judychicago.com

E ancora ricordiamo il manichino di Bridal Staircase di Kathy Huberald; la performance scritta da Judy Chicago interpretata da Faith Wilding e Janice Lester travestite con evidenti organi sessuali femminili e maschili mentre dibattono su chi debba lavare i piatti in Cock and Cunt Play; Shoe Closet di Beth Bachenheimer; The Nursery di Shawnee Wollenman; Lipstick Bathroom di Camille Gray; Crocheted Enviroment di Faith Wilding; Ironing di Sandra Orgel.

In Womenhouse l’obiettivo dell’arte non è la produzione di un oggetto, di un’opera, ma la necessità di innescare meccanismi di individualizzazione, di costruzione di una nuova soggettività, di una nuova coscienza femminile. Spazio privato e spazio politico finiscono qui per coincidere in un’azione artistica sovversiva che già dagli anni ’70 inizia a far strada all’arte femminista, introducendo un nuovo sguardo, oltre che artistico anche politico. Womenhouse è un tentativo di rivoluzionare le pratiche di invisibilità a cui le artiste sono sempre state relegate, mediante un’esplicita azione artistica collettiva finalizzata a sovvertire i ruoli precostituiti insistendo sulla possibilità concreta della costruzione di un’individualità libera da sguardi, condizionamenti, aspettative sociali, libera insomma di essere se stessa.

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