Un barbecue in un’opera di Cavenago: in fondo, perché no? Almeno serve a qualcosa

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Hanno usato un’opera d’arte da 150.000 euro per farci un barbecue. Ma siamo sicuri che abbiano fatto male?

Doveva ospitare 55 artisti, doveva servire come spazio espositivo, spazio teatrale, spazio di raccoglimento, spazio creativo per la comunità, insomma doveva assolvere a funzioni culturali, dalla mostra di un giorno al reading a quant’altro potesse venire in mente alla comunità di Suzzara nel mantovano, e invece l’hanno usata per farci un barbecue. E qui ci risuona nelle orecchie sanguinanti l’inossidabile Bar-B-Q dei ZZ Top. 

L’installazione usata inappropriatamente da alcuni buontemponi di Suzzara si intitola Sweet Home ed è un’opera / progetto realizzata dall’artista italo-svizzero Umberto Cavenago in collaborazione con l’artista-curatore svizzero pure lui Al Fadhil per ospitare una mostra collettiva one shot più di un anno fa. 

Cavenago è un artista michelangiolesco, elabora e realizza i suoi progetti artistici sulla base del Project Management, cioè rispettando tempi, costi, flusso di lavoro. Lui è un artista che si ispira al mondo produttivo, con la differenza che il suo fine ultimo non è la produzione in serie ma l’unicum dell’opera d’arte, disciplinando il lavoro come la Work Breakdown Structure che qualunque manager di progetto conosce benissimo: studio di fattibilità, progetto, scelta dei materiali, preventivo, messa in opera e se ci fosse ancora il Dogui fra noi chiuderemmo con un “taaac!”.


Commissionatagli dal Comune per le iniziative del Museo Galleria del Premio Suzzara (un premio storico, voluto nel 1948 da Cesare Zavattini e che ha visto negli anni pezzi da novanta tipo Carrà e Guttuso, tanto per fare un paio di nomi), l’installazione in acciaio Cor-ten da 14 tonnellate Sweet Home di Cavenago doveva essere una sorta di estensione del dominio della lotta artistica rispetto allo spazio espositivo del Museo stesso nell’area golenale del Parco di San Colombano, per incontri culturali, happening, mostre e in generale per favorire l’aggregazione creativa dei cittadini. Ma se spesso la realtà supera la fantasia, così ogni tanto quella stessa realtà sorpassa la ragione, come nel caso di questo progetto artistico realizzato col raziocinio del Project Management, un progetto neanche costato un piatto di lenticchie: 153.000 euro secchi, di cui 103 finanziati dal Piano per l’arte contemporanea 2020 promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura nel 2021 (nome e cognome: Dario Franceschini), più 50.000 cacciati fuori dal Comune di Suzzara. 

Sweet Home di Cavenago l’ha pagata Pantalone cioè i contribuenti, tutti notori frequentatori di teatri e musei. Perché qui sta il punto: lo stolto guarda il dito anziché la luna e nella fattispecie si indigna perché nei giorni scorsi sull’installazione di Cavenago un gruppo di giovini di Suzzara anziché farci una mostra ci ha fatto una festa col barbecue postando il video sui social. 

Eresia! Sacrilegio! Con le guardie che li fanno sloggiare mentre il consiglio comunale di Suzzara produce un’interrogazione urgente al Sindaco.

Nessuno pretende che un’opera d’arte debba essere solo e soltanto un quadro che raffigura il tramonto sull’oceano o una foto della modella più famosa d’Italia, ma se un’amministrazione comunale mette in mezzo a un parco vicino al fiume una struttura in acciaio che sembra una casa o una barca e sopra si limita a metterci un cartello con su scritto “Non salire”, cosa stracazzo si può aspettare di diverso dall’atteggiamento intenzionale da parte di chiunque di salirci sopra? 

Alla base del pasticciaccio brutto ci sarà stato sicuramente un problema di comunicazione (sic!) e qui è inutile lamentarsi, del resto in Italia  meritocrazia fa rima con utopia e gli avanzamenti di carriera diventano spesso avanzi da balera, ma se usi i soldi del popolo (repetita iuvantSweet Home è costata 150.000 euro, manco un centesimo dai privati) per fini lontani anni luce dai servizi di pubblica utilità, allora il popolo si ribella come il karma negativo che fa giustizia da sé: senza saper né leggere né scrivere, quegli emuli inconsapevoli di Aldo Palazzeschi (“E lasciatemi divertire!”) volevano appunto soltanto divertirsi e senza saperlo hanno fatto una performance artistica al pari dei cosiddetti ecovandali che buttano la vernice lavabile sui monumenti. 

Spesso l’opera d’arte all’uomo medio sembra tutto fuorché arte e accade che la maggioranza rumorosa degli intellettuali dei miei stivali si indigni per il sacrilegio, ma questa è la conseguenza dell’autoreferenzialità del mondo dell’arte, snob e incompetente perché lontano anni luce da quel mondo della produttività da cui proprio l’autore di Sweet Home proviene: se voglio davvero che il pubblico creda alla mia storiella secondo la quale l’arte deve essere per tutti, allora mi devo adoperare per finalizzare il prodotto, capire se davvero c’è una nicchia di fruibilità da colmare, elaborare la comunicazione e tante altre cose connesse che nel mondo del lavoro si sintetizzano in: “portare a casa il risultato”. 

Non basta raggranellare 150.000 euro dei contribuenti e affidare l’opera all’artista: anzi, non andrebbe proprio fatto; lo Stato, il Comune, la Cosa Pubblica, chiamatelo come vi pare, mai e poi mai dovrebbe sborsare anche un solo centesimo per finanziare un prodotto sostanzialmente inutile come un’opera d’arte. Sono più importanti le vite degli uomini e degli animali. Poi si lamentano se il popolo la usa per quello che è.

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