L’anacronismo rivisitato di Rocco Normanno

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Tra i diversi protagonisti del contemporaneo che si caratterizzano per un ritorno all’immagine e alle tecniche tradizionali dell’arte ve ne sono alcuni che si distinguono per una singolare forma di anacronismo figurativo dove le iconografie del passato vengono reinterpretate attraverso tendenze concettuali e simboliche. Il pittore salentino Rocco Normanno può essere inquadrato in questa tendenza dell’arte dominata da un insistito rapporto con l’antico che diventa l’occasione per mettere in piedi narrazioni dove la componente anacronistica è sottoposta a una radicale attualizzazione, elemento, questo, che consente all’artista di raccontare con lucida astrazione mentale il tempo presente e la dimensione esistenziale dell’uomo contemporaneo.

Nei lavori di Normanno si combinano sperimentazioni di matrice concettuale a immagini di stampo anacronistico mostrando un’intima e profonda adesione al realismo caravaggesco che si espleta attraverso un’emulazione di quelle attitudini tipiche dei dipinti del Merisi. Per Normanno guardare Caravaggio significa affrontare i temi più frequenti dell’iconografia religiosa e significa, inoltre, ricreare i racconti biblici secondo un’interpretazione umana e terrena che gli ha fatto addirittura meritare l’appellativo di “realista contemporaneo” o “ultimo dei caravaggeschi”. In particolare opere quali San Matteo e l’angelo, L’Incredulità di San Tommaso e San Girolamo nello studio, rivelano come lo sguardo al modello storico si precisi nella meticolosa rappresentazione degli oggetti e dei personaggi, nei giochi di contrasto luce-ombra e nella resa estremamente veritiera delle immagini cristallizzate come in una sorta di eterna perfezione.

Rocco Normanno, San Girolamo nello studio

La ripresa dello stile e delle tipologie di Caravaggio avviene secondo una reinterpretazione originale che vede calare temi e soggetti della tradizione sacra in un contesto contemporaneo dove si continua ad avvertire la medesima drammaticità delle scene bibliche caravaggesche, la stessa sospensione di gesti e sguardi che, in un ritmo sincronico straordinario dominato contemporaneamente da una monumentalità solenne e da una quiete realtà, si fanno testimoni di un dialogo tra passato e presente in grado di esprimere ancora il rapporto con il Divino e la prospettiva umana con cui questo è sentito e vissuto. In un’illuminante recensione critica dedicata a Rocco Normanno, Eraldo Di Vita definisce quest’artista come “pittore del realismo popolare” e, nell’immaginare quali parole avrebbe potuto usare Vasari nel descriverlo, delinea quelli che sono i tratti essenziali del suo lavoro: “pintore che sa radiare la luce con la contrarietà dei corpi ombrosi che sembran le sue figure ispirate d’un fiato, frutto di uno spirito senza turbamenti e che conosce li confini del bello”.

Rocco Normanno, “San Matteo e l’angelo”

Il legame di Normanno con la pittura antica si traduce attraverso dipinti che ne riproducono la monumentalità, la teatralità e l’intensità della dimensione narrativa mettendo in scena un realismo assoluto che va a restituire come “nuova vita” alle iconografie della tradizione cristiana. Tuttavia, la trasposizione contemporanea dei temi sacri non è mai banalizzata nel rimando ai prototipi della tradizione accademica, ma viene altresì sublimata nella sua essenza perché trasmette nella sostanza un messaggio che attiene alla coscienza e all’identità profonda dell’essere umano, consentendo di parlare di una forma di “trascendenza” che non ha nessun legame con la religione, ma che è piuttosto la fascinazione verso una dimensione imperscrutabile che attiene tanto alla sfera personale dell’artista, quanto alla dimensione percettiva di ogni essere umano.

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