Torcinovich, dall’estetica del punk alla grafica innovativa

Matteo Torcinovich è un artista e docente all’accademia di Belle Arti di Venezia; ricercatore e divulgatore, collezionista di musica in particolare di vinili e documenti relativi il movimento new wave punk; co-fondatore del collettivo artistico Death Tricheco, è grafico per la fanzine “L’age D’Or” e per il mensile “Jamais Bourgeois”.

Autore di una serie di libri che sono già un cult, dalla sua monografia The Residents a Pics Off!, l’estetica della nuova onda Punk dove, attraverso gli scarti di alcune delle immagini più popolari della storia della musica, ci introduce a retroscena, segreti, ritratti rarissimi di artisti del calibro di David Bowie, The Ramones, Blondie, Iggy Pop e molti altri, alle testimonianze dirette dei fotografi che li hanno ritratti.

Se nella sua pubblicazione Punkouture – Cucire una rivolta ha esplorato la moda dirompente che il movimento Punk ha generato, in “Grafika 80!” ha è invece appuntato la sua attenzione sull’estetica della grafica degli anni Ottranta, dove la pubblicità, i vinili e le riviste sono stati i principali motori creativi d’ispirazione di quegli anni. Con 1977 Don’t Call it Punk Torcinovich si è concentrato sull’anno in cui tutta una serie di tendenze musicali e artistiche sono confluite ed esplose, creando una vera e propria rivoluzione da cui tutt’ora arte, grafica e pubblicità non smettono di attingere a piene mani.

In quest’intervista si racconta e ci racconta come nascono le sue straordinarie e coltissime indagini visive.

Matteo Torcinovich, cosa ne pensi delle interazioni d’arte visiva con la musica?

Mi sono sempre piaciuti i progetti musicali che coinvolgono varie discipline dell’arte visiva: pittura, grafica, video. Anche la musica che ascolto ha spesso uno stretto legame con l’immagine. Qualche anno fa ho pubblicato un libro sui Residents che mostra e racconta l’immensa produzione visivo-musicale di questo collettivo artistico. In altre mie pubblicazioni puntualizzo e sostengo che il movimento punk va visto come un fenomeno oltre la mera produzione musicale, e ci tengo sempre a sottolineare che l’interazione tra musica punk e le artivisive è un processo creativo obbligatorio.

Ho avuto modo di seguire e interessarmi a vari progetti musicali che non possono non prescindere con le arti visive e, ancora oggi, mi faccio coinvolgere volentieri in produzioni musicali legate alle suddette (vedi la recente collaborazione con l’artista Duccio Bernardino Costantino per il disco di Karbokroma). Raramente la musica è qualcosa solo per le orecchie.

Hai appena ideato e creato la locandina per la mostra dei CCCP. Com’è nata questa collaborazione? Hai qualche aneddoto da raccontare?

Sono stato proposto ai CCCP come grafico dal mio editore Massimo Roccaforte con il quale collaboro da vari anni, con Massimo pubblico i miei libri ma realizzo anche le grafiche per libri di altri. Oltre al poster ufficiale della mostra, ho impaginato le quattrocentosessanta pagine del catalogo… Un lavoro enorme e sempre in stretta collaborazione con il gruppo, nulla è stato lasciato al caso. Forse i CCCP hanno scelto me come grafico per il mio cognome…Torcinovich suona egregiamente per la poetica punk-sovietica del gruppo.

Sei molto prolifico nella produzione di libri tematici con un’estetica comune, come “Pics Off!”, “Punkouture – Cucire una rivolta”, “Grafika 80!” e il più recente “1977 Don’t call it Punk”. Come hai avuto l’intuizione di sviluppare questi raccoglitori di contenuti visivi e culturali?

Da parecchi anni studio e raccolgo materiali su queste tematiche, ho raccolto e letto un’infinità di libri, articoli di giornali e fanzines che raccontano sotto vari punti di vista il fenomeno musicale del punk.

Forse quello che mi ha spinto a “sviluppare questi raccoglitori di contenuti” e stata una certa volontà di voler colmare alcuni evidenti vuoti, concetti e piccole cose che non erano cncora state messe a fuoco.

Hai di recente realizzato una tua linea moda Prostitution. Da cosa nasce?

Prostitution è il mio nuovo gioco, ed è ancora in embrione. L’idea è quella di sfruttare a più non posso l’immaginario e l’estetica punk per fare un sacco di soldi producendo e commercializzando T-Shirt strepitose.

Un concerto a cui hai assistito che per te è stato memorabile?

Non ho visto molti concerti, credo di soffrire di demofobia, ma ricordo

“Flag: Burning” degli Wire al Barbican Centre di Londra nel 2003, è stato qualcosa di irripetibile: effettivamente quella fu l’unica data, lo show non venne mai più replicato.

Qual è la tua idea di estetica, cos’è che ti ha influenzato maggiormente?

Mi piace pensare ad un mondo “multiestetico” esente da omologazioni, e quello che vedono i miei occhi oggi è proprio questo. Vedo molte estetiche attorno a me, ci sono infiniti stili e stimoli, così numerosi da non riuscire ad acquisire tutto quello che vedo, purtroppo.

Non ti saprei direi cosa mi ha influenzato di più, mi sento un onnivoro, un curiosone, una carta assorbente e, forse, una certa presunzione mi obbliga a non risponderti in modo più preciso.

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