Speciale Trump n.1 | Una foto segnaletica che passerà alla storia. Dell’arte

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a cura di Alessandro Riva e Paolo Sciortino

Oltre sette milioni di dollari raccolti in tre giorni. È quanto ha raccolto Donald Trump con i gadget venduti sulla pagina ufficiale del merchandising della sua campagna elettorale, con i gadget che riportano la già ormai storica immagine tratta dalla foto segnaletica scattata nella prigione di Fulton County nel corso del suo arresto-lampo con l’accusa di aver cercato di sovvertite il risultato delle elezioni del 2020 in Georgia. Si tratta di oggetti di ogni tipo, dal semplice poster (costo 28 dollari) alle t-shirt (34 dollari), alla tazza (25 dollari) alla borraccia (15 dollari) all’adesivo da attaccare sull’auto (12 dollari). C’è persino la maglietta che fa la parodia alla celebre opera di Obey del 2007 dedicata ad Obama, con la scritta “Hope”: ma, questa volta, c’è invece la rivisitazione del volto di Trump, sempre presa dalla sua foto segnaletica, e la scritta “Never surrender” (“Mai arrendersi”).

Se questa immagine ha avuto la forza di raccogliere, a suon di gadget, ben sette milioni di dollari in tre giorni, la sua semplice divulgazione sul web, voluta questa volta non dai suoi detrattori, ma, con mossa geniale, dallo stesso ex presidente, potrebbe avere risultati ancora più deflagranti.

Fin dal giorno del suo pur brevissimo arresto, il 25 agosto scorso, Trump ha fin da subito sfruttato a suo favore la circostanza, condividendo immediatamente l’immagine della sua foto segnaletica su X (ex-Twitter), con la dicitura: “Interferenza elettorale. Mai arrendersi!”.

E, non a caso, l’immagine è subito diventata virale, creando, in pochissimi giorni, centinaia di migliaia – forse milioni – di meme, di commenti, di parodie. E ancora valanghe e valanghe di gadget casalinghi, oltre a quelli ufficiali messi in commercio dallo stesso Trump. In pochi giorni è diventata – come ha scritto il “New York Magazine” – “la fotografia più famosa del mondo”. Di un uomo il cui sguardo, più che accigliato, quasi fuori di sé, “sembra ribollire per la sua mancanza di controllo”.

La novità, d’altra parte, è proprio che stavolta è lui, The Donald, a giocare d’anticipo sul web e sui suoi detrattori, regalando alle masse, al web e al mondo la sua foto segnaletica e trasformandola, con un coup de théâtre degno del genio della comunicazione, della propaganda e della manipolazione della realtà quale è sempre stato, in un assist per la sua campagna elettorale.

Una foto che certamente rimarrà nella storia. E che, oltre che come testimonianza storica, sembra assumere un altro valore: un valore meta-artistico, perché ci induce a domandarci quale sia il senso stesso dell’immagine, il suo grado di verità e di manipolazione della realtà stessa in una sorta di “realtà parallela”, esistente unicamente nel nostro immaginario, e in grado, col suo solo potere, di trasformarlo. Ciò che oggi, forse, l’arte intesa con la “A” maiuscola riesce sempre meno a fare, nel suo rimanere da una parte rinchiusa nella torre d’avorio dell’elitarismo (spesso iperconcettuale) da museo e da galleria “fighetta”, o, viceversa, nell’affannosa rincorsa a star dietro all’attualità, rimanendo però fatalmente sempre un passo indietro.

Non è un caso che anche il mondo dell’arte si stia oggi interrogando: qual è il senso di quest’immagine? Segna un “punto di non ritorno” nel rapporto tra la realtà e la sua manipolazione? E poi: a quale artista, o a quale corrente artistica potrebbe appartenere quest’immagine, se non fosse (ma lo è poi veramente?) un’immagine “reale”? E potrebbe forse diventare, questa immagine, un “simbolo” estetico per la nuova era della cattiveria, dell’odio, della contrapposizione frontale tra visioni tra loro inconciliabili della società?

Se per Luigi Mascheroni del “Giornale” la foto è il simbolo di un Trump sempre più “ultrapop”, l’immagine stessa assume il valore di un vero e proprio “manifesto politico”: “Mai prima di oggi”, ha scritto infatti il critico del “Giornale”, “un ex presidente degli Stati Uniti era finito su una foto segnaletica. Ma nemmeno mai prima d’oggi ha avuto una concreta probabilità di finire alla National Portrait Gallery. Qualcuno ha già postato sui social la storica fotografia, rielaborata e ingigantita, mentre viene appesa alla parete del museo da due commessi. Sì, è un fake. Che però, ci ha insegnato Trump, è solo a una didascalia di distanza dalla verità”.

Meme sulla foto segnaletica di Trump

Per Angelo Crespi, invece, “la foto è più ironica che tragica”, ed è “perfetta per farci i meme”. Non un manifesto di contrapposizione e di odio, dunque, ma una delle tante (geniali, non c’è che dire) strategie di comunicazione dell’ex presidente.

Quanto ai riferimenti storico-artistici della foto (chi potrebbe ritrarre o dipingere il volto di Trump tra i pittori contemporanei?), il mondo dell’arte è diviso: se per Sgarbi il riferimento obbligato è quello a Lucien Freud, pittore drammatico e psicologico, per Roberto Floreani, artista e teorico, il riferimento naturale è invece Warhol. Nel 1963, infatti – un anno dopo essere stato escluso dalla Biennale di Venezia –, Andy Warhol fu chiamato da Philip Johnson, direttore del Moma di New York, a realizzare una grande opera pubblica per il padiglione dello Stato, proprio nella Grande Mela, che sarebbe stato inaugurato l’anno dopo. All’inventore della Pop Art venne in mente di riprodurre i ritratti dalle foto segnaletiche della polizia di una dozzina di criminali in azione all’epoca, e farne una grande installazione parietale all’esterno dell’edificio che avrebbe ospitato il padiglione. Ed è proprio questa l’immagine richiamata, nel caso della foto-icona di Trump a Fulton, da Roberto Floreani, che vede in Warhol il possibile autore di un ritratto dell’ex presidente americano, nello stile iconico, appunto, dei multipli serigrafici e delle ripetizioni del modello in varianti cromatiche diverse. “È già un’icona”, dice Floreani: “chi meglio di Warhol avrebbe potuto riprodurre questa immagine?”. Anche un altro critico d’arte, Alberto Mattia Martini, ci vede sì il “fantasma” di Andy Warhol in controluce, ma sottolinea che l’immagine nasconde anche un’attitudine tragica: “Per l’espressività”, dice, “lo potrei associare ad un volto caravaggesco”.

Giuseppe Veneziano, “The first fatigue of Trump”, 2008

Sarebbe invece il Norman Bates interpretato da Anthony Perkins in Psycho, indimenticata pellicola diretta da Alfred Hitchcock, il modello ritrattistico evocato da Giuseppe Veneziano, artista neo Pop ormai attestato verso i maggiori valori di mercato dell’arte contemporanea, per il remake su tela della foto segnaletica di Donald Trump scattata nel carcere di Fulton. Per Veneziano, che ci ha abituato a revisioni sarcastico-ironiche di personaggi iconici del passato e del presente in un linguaggio fumettistico di ispirazione classicista, la posa del tycoon americano è “inquietante: personaggi come Trump e Putin, non accettano mai la sconfitta. Mentre uno si scontra con un paese con una democrazia più forte, l’altro nel tempo ha indebolito tutta l’opposizione e nessuno può più condannarlo se dovesse fare brogli elettorali”.

Curiosa, e meno scontata (il meme di Trump-Norman Bates è già circolato molto sul web) l’interpretazione che ne dà infine Christian Gangitano, teorico dell’urban art, agitatore culturale ed esperto di cultura e arte giapponese, che, nella foto, che vede già come “icona forte e virale di decadenza, del declino inarrestabile dell’impero e del dominio americano e del suo modello esportato con aggressività e violenza nel mondo negli ultimi 100 anni”, vedrebbe bene all’opera un esponente dell’ “horror splatter” giapponese, Shintaro Kago.

L’opera dell’artista americano Mitch O’Connell (2015)

Anche se il riferimento horror-splatter riferito a Trump in realtà non è nuovo: nel 2015, infatti, l’artista americano Mitch O’Connell creò un’immagine di Donald Trump nei panni di uno degli alieni malvagi del film di fantascienza di John Carpenter del 1988 “Essi vivono”, provando anche a trasformarlo, ma invano, in un grande cartellone pubblicitario da affiggere in Times Square (alla fine, riuscì ad esporlo a Città del Messico). Un Trump in decadenza, quasi un morto che cammina, che pure spopola ovunque continuando a fare soldi a palate con la sua stessa immagine. Un paradosso, un garbuglio concettuale difficile da districare. Vedremo se la storia gli darà torto o ragione.

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