Reversos, a Madrid va in scena la storia dell’arte al contrario con i quadri rovesciati

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Recentemente Mondrian è stato scoperto capovolto. Da settant’anni il dipinto di uno dei maestri dell’astrattismo geometrico era stato contemplato dal pubblico contemporaneo up side down, senza alcuna differenza percettiva sensibile, grazie alla magia dell’oltre, importata all’arte dal superamento delle forme, delle dimensioni e dei contenuti reali che, dopo il sublime raggiunto dal realismo mimetico, ha segnato la cifra del presente.

Ma un conto è tollerare, gustare perfino, l’errore espositivo inconsapevole (e come dargli torto, del resto, direbbe Augusta, la moglie del Giacinto sordiano delle Vacanze intelligenti) del personale addetto dei più prestigiosi musei del mondo? Sfido io a indovinare il giusto verso di una composizione per linee ortogonali colorate il cui senso è lo stesso del quadrato del Sator, in cui ogni parola è palindroma sia letta in orizzontale che in verticale. Ma questa è la contemporaneità in arte, bellezza, e tu non ci puoi fare niente. Niente…

Atribuido a Orazio Borgianni. Reverso de Autorretrato (?), 1600-10. Óleo sobre lienzo. Madrid, Museo Nacional del Prado

Un altro conto, però, è alchemicamente trasformare la classicità in contemporaneità, nuova e prodigiosa magia che ha tirato fuori dal cilindro il museo del Prado, inaugurando in mostra per tutto il venturo autunno-inverno una rassegna di repertori pittorici di proprio possesso, dal Cinquecento all’Ottocento, ma esposti tutti al contrario. Titolo della mostra, manco a dirlo, “Reversos”.

Non veri capolavori indimenticabili della storia dell’arte – a parte Las Meninas di Velasquez, che non è in mostra ma informa e ispira la concezione espositiva proprio per la genesi di “opera specchiata” con autoritratto dell’artista inserito nella scena –, bensì solo tele di genere che però “raccontano” nel proprio verso altre storie, distinte e parallele rispetto a quelle narrate nel recto, ovvero nell’ ufficialità del quadro. Quando il “concettuale” supera e prevale il “tradizionale”, insomma, ovvero l’intera storia dell’arte precedente all’attualità, verrebbe da dire. 

Ma di più: quando si fa un gran parlare di ritorno alla pittura, al figurativo, alla mimesi virtuosa, e però si incappa ineluttabilmente nella tentazione onnipresente dell’astrazione e del ready made. Kandinsky, Balla, ma soprattutto Duchamp (e tutta la schiatta degli artisti che hanno scoperto il Novecento insieme agli psicanalisti) sono oramai imprescindibili per la storia. Anzi, la storia viene capovolta.

Scopriranno nella prossima stagione al Prado, i fortunati visitatori, non già la bellezza delle opere custodite dal preclaro museo di Spagna nella “sfrontata” testimonianza del tempo in cui sono state eseguite dai grandi artisti del passato, bensì il mistero svelato sotto la specie dell’informale, del mondo dell’ arte che sta dietro il velo di Maya, tutto presente e contemporaneo, il retro di tele di cui non importa poi tanto conoscere gli autori, ma ciò che è successo alle loro spalle. Cartigli, stampigliature, timbri di collezionisti, financo sigilli di trafugature naziste, e altri disegni, altre note, paratesti confusi e affastellati nei secoli. Tutto fa palingenesi, scoperta, nuova filologia.

Ma, a parte il caso notevole della monaca inginocchiata “svelata” di Martin Van Meytens, settecentesco, che su esplicita commissione dell’ambasciatore svedese a Parigi ritrasse una casta figlia di Maria in preghiera sul davanti e le sue roride natiche scoperte nel di dietro (parte nascosta in esposizione, s’intende), non è che per il resto l’originale intento espositivo altro non sia, ancora una volta, cancel culture?

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