Hackney Diamonds, il ritorno dei Rolling Stones è un tributo al rock. E al suo rapporto con l’arte

Getting your Trinity Audio player ready...

E così il 20 ottobre, diciotto anni dopo A Bigger Bang, l’ultimo LP di inediti, esce Hackney Diamonds, il nuovo album dei Rolling Stones. Sono accadute diverse cose, intanto: Charlie Watts non c’è più, Mick Jagger ha compiuto 80 anni, tra poco toccherà a Keith Richards e Bill Wyman è tornato a suonare qualche pezzo con i vecchi amici anche se si erano lasciati male.

La prima volta che li vidi live era l’11 luglio 1982, allo Stadio Comunale, stesso giorno in cui l’Italia vinse i mondiali di calcio. Non avevano neppure 40 anni e ricordo di aver pensato, da ventenne, mamma mia quanto sono vecchi questi che suonano Satisfaction fin dagli anni Sessanta. Oggi è come se mio suocero salisse sul palco, c’è ancora quel divario generazionale di allora, insomma il rock è un paese per vecchi, un po’ come l’arte che coinvolge un pubblico agée e residuale, andare a una mostra o a un concerto rock i pensionati e gli over 60 sono sempre i più presenti.

Arte contemporanea e rock si somigliano, hanno una medesima data di nascita, la metà degli anni Cinquanta quando si pensava che la creatività avrebbe potuto cambiare il mondo inseguendo il sogno di un’utopia. Prima ancora che nella New York delle mille luci, la rivoluzione parte dall’Europa, in particolare da Londra e non sembra un caso che siano due artisti pop, Peter Blake e Richard Hamilton, a firmare due copertine di altrettanti celeberrimi dischi dei Beatles, Sgt. Peppers (1967) e il doppio noto come “album bianco” (1968).

Andy Warhol, STICKY FINGERS, disco originale Sticky Fingers, dei Rolling Stones.

Anche gli Stones intrattengono significativi rapporti con l’arte, in particolare con Andy Warhol negli anni Settanta. Il guru della Pop aveva curiosità per tutto e si era già affacciato al rock producendo e illustrando il disco d’esordio dei Velvet Underground nel 1967 con l’aggiunta della voce di Nico e della banana gialla su fondo bianco. Per i Rolling Stones concepisce il design di Sticky Fingers (1970), primo lavoro dopo la morte di Brian Jones, la cui edizione limitata prevede la cerniera apribile sulla patta dei jeans. All’interno ci sono diverse polaroid, Warhol ha appena scoperto questa straordinaria macchina fotografica che sviluppa all’istante le immagini e le userà per il set di Love You Live, doppio album dal vivo uscito nel ’77. Mick Jagger, che incontrò Warhol nel 1969, gli ispirò a sua volta la cartella serigrafica del 1975.

Curiosità storica: fu proprio in Sticky Fingers che esordì il celeberrimo marchio Tongue and Lips attribuito da molti, per errore, proprio a Andy Warhol di cui indubbiamente ricalcava lo stile, creazione invece del grafico inglese John Pasche, pagato (incredibile ma vero) un centinaio di sterline.

Poster della mostra “Exhibitionism” dei Rolling Stones

Arte e rock hanno un’altra cosa in comune: o muori giovane, o diventi un pezzo da museo. Se da ragazzo identifichi la tua forza creativa in Brian Jones o in Pino Pascali, da vecchio preferisci di gran lunga le rughe di Jagger & Richards o di Michelangelo Pistoletto, almeno ci sono arrivati. E così nel 2016 gli Stones sono entrati nel museo, con Exhibitionism, la mostra alla Saatchi Gallery di Londra curata da Anthony De Curtis (che non è Totò), nella cui sezione art & design presentò una serie di cimeli, tra i quali alcuni manifesti disegnati ancora da Pasche per il tour americano 1972, le fotografie di Robert Frank pubblicate in copertina e sull’interno di Exile on Main St. (1972), il servizio di David Bailey per Goats Head Soup (1973) fino alla reinterpretazione del logo da parte di Shepard Fairey per il 50mo anniversario nel 2015.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Artuu consiglia

Iscriviti alla Artuu Newsletter

Il Meglio di Artuu

Ti potrebbero interessare

Seguici su Instagram ogni giorno