Gaetano Cappelli: vi racconto chi è, come si comporta e che quadri acquista l’Art Snob di casa nostra

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Gaetano Cappelli è uno scrittore italiano. Anzi, è, per dirla con le parole di Antonio D’Orrico, storico critico letterario del “Corriere della Sera”, uno “scrittore brillante e felicemente anomalo. Di spietato umorismo e di malinconia segreta che non confesserà nemmeno sotto tortura. Questione di stile”. Già, perché nello stile, Cappelli, sembra proprio esserci caduto dentro da piccolo, come Obelix nella pozione magica (lo stile, è del resto, come il coraggio per Manzoni: che se “uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”). Stile che Cappelli indubbiamente possiede: nel vivere, nel parlare, nel comportamento e nel vestire – un vestire “di impeccabile eleganza, con tratto di vero gentiluomo meridionale”, per citare ancora D’Orrico.

Ma, soprattutto, uno stile impareggiabile nello scrivere: caustico, beffardo, sempre attraversato da un’ironia tagliente e inconfondibile (un’ironia “famosa”, per citare ancora D’Orrico, che lo ha definito “il Philip Roth italiano”), ma sempre tenuta su una corda tesa al limite del beffardo.

Nato e vissuto a Potenza (pur con periodi spesi tra Roma e Milano), nel profondo meridione d’Italia, non se n’è vergognato né allontanato, come avrebbe fatto un qualsiasi parvenu o un aspirante snob, ma ha, anzi, fatto di quest’osservatorio privilegiato dei tic, dei difetti, dei vizi e delle debolezze della provincia italiana il suo punto di forza, quello che contraddistingue, rendendolo unico, il suo stile letterario e i temi di cui tratta da sempre: le storie d’amore, di sesso, di corna, di chiacchiere, d’inconcludenza, di sogni perduti e ritrovati. Insomma, ha costruito, a partire da questa provincia lucana che per molti tratti sembra rimasta ferma nel tempo, la sua straordinaria e infinita comédie humaine.

Ma siccome, com’è noto, nella distanza si riesce a volte ad avere una visione molto più chiara delle cose di chi ci vive perennemente immerso, lontano dalle “luci della ribalta” (e dai vernissage, dagli apericena e dalle sgomitate per essere invitati alle cene che contano) di Milano o di Roma, Cappelli, dalla sua Potenza, ha affinato uno sguardo sempre più attento, più sottile, più critico ma mai acido, su quella che è una delle malattie del contemporaneo: quello che lui stesso ha definito “lo snobismo di massa”.

Già, lo snobismo: quello snobismo riportato in auge quest’estate nel famoso articolo di Alain Elkann, uscito su “Repubblica”, sui “lanzichenecchi” (leggi: i giovani d’oggi) che invadono anche gli scompartimenti della prima classe dei treni con le loro sneakers e i loro tatuaggi, parlando ad alta voce e disturbando gli altri viaggiatori, mentre lui, da vero snob, vestito di lino, legge Proust e prende appunti a mano su un taccuino (Elkann è di nazionalità franco-americana, nato a New York, imparentato con la famiglia Agnelli che fondò la Fiat, e oggi padre di Lapo, Ginevra e John, quest’ultimo presidente di Stellantis, nata dalla fusione tra i gruppi Fiat, Chrysler e Peugeot, ndr).

Non è un caso, allora, che Cappelli, al netto di oltre quindici romanzi pubblicati (tra gli altri Parenti Lontani, La vedova, il Santo e il segreto del pacchero estremo, che gli sono valsi, rispettivamente, il Premio Internazionale John Fante e il Premio Hemingway, e Storia controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo, grazie al quale si può fregiare dello snobistico titolo di Chevalier de la Confrèrie du Tastevin di Borgogna), oltre e decine e decine di racconti su riviste e antologie, abbia da poco mandato in libreria un piccolo trattatello: sullo snobismo, appunto (Lo snob nella società dello snobismo di massa, Oligo editore, 2022).

Abbiamo intervistato Cappelli su snobismo, arte contemporanea, collezionismo. Ecco quello che ci ha raccontato.

Copertina de “Lo snob della società dello snobismo di massa” di Gaetano Cappelli

Gaetano Cappelli, in questa estate 2023 si è tornati a parlare dello snobismo in seguito all’articolo di Alain Elkann, che vantava la sua “diversità” dalla massa dei “lanzichenecchi” dilaganti ovunque oggi. Per cominciare: Alain Elkann è un buon esempio di snob contemporaneo?

Senz’altro… anzi è la personificazione perfetta di una delle tre categorie di snob che ho individuato nel mio pamphlet e che corrispondono, in ordine: al wannabe, ovverossia chi cerca di spacciarsi per membro d’una classe sociale elevata senza appartenervi: insomma il solito povero stronzo sine nobilitate, eppure borioso! C’è poi l’altolocato superfluo: chi, facendo parte della crème per nascita o per merito – artisti, intellettuali, stilisti, etc. – si sente in diritto di guardare dall’alto in basso la gente comune. E, infine, il “libero gentiluomo”, l’unico snob degno di ammirazione, ovvero l’individuo per niente prevedibile, dalla battuta tagliente e la brillante conversazione, che ha in odio i luoghi comuni e i conformismi di destra e di sinistra. Ecco, Alain appartiene alla seconda categoria: è il tipico altolocato superfluo.

Ma è comunque uno scrittore.

Bessì, ma più per censo che per talento. Nel suo famoso pezzo uscito quest’estate su Repubblica – il giornale di proprietà del figlio –, un pezzo dalla prosa elementare – a livello di scuola elementare, dico –  nel quale si scaglia contro quei poveri giovani-ricchi, definendoli  “lanzichenecchi” senza che nemmeno lo abbiano sfraganato di mazzate, com’è facile accada in qualsiasi landa periferica venendo a contatto con bande giovanili, e per dimostrare la sua superiorità su quei ragazzi, con l’unico difetto d’essere diversi da lui, ma poi nemmeno tanto visto che viaggiano in prima, parlano di fregna – articolo non certo disdegnato dal bel newyorkese ­–, e con lo stesso suo linguaggio – stasera “andiamo a  cercare ragazze al night”: al night, capito? – sbaglia addirittura il titolo del volume della Recherche che ha con sé in treno. Vogliamo poi aggiungere che un vero snob, in genere, non arriva certo al suo incontro con Proust a settantré anni e al massimo lo rilegge; né mai, sopra ogni cosa, indosserebbe delle sneakers proprio come i giovani disprezzati, ma con l’aggravante dei pantaloni larghi e con lo sbuffo che fanno tanto nonno-minghia!  

Gaetano Cappelli

Ci dici qual è secondo te, e quali caratteristiche ha, l’art snob, e come si fa a riconoscerlo.

L’art snob? Umm… nel mio libro non è contemplato ma può essere una variante interessante. Perché vedi, lo snob ha già visto tutto e sa tutto e quindi quasi mai si appassiona a qualcosa, tratta tutto con distacco; anche l’arte.

Quindi non frequenta mostre, l’art snob? E se ci va, come si comporta?

Va più per musei. E mai a mostre di massa. A meno che non lo invitino espressamente alle preview.

Niente mostre d’arte contemporanea?

Anche qui solo preview che subito riluccicano della sua olimpica presenza. O ci passa negli ultimi giorni, risollevandole dall’insuccesso. Mantiene comunque il suo aristocratico distacco. Più che omaggiare l’artista, attende d’essere riconosciuto e, a sua volta, omaggiato.   

E con chi va alle mostre, l’art snob? Con famiglia, con l’amante, con il collega snob come lui?

Lo snob non ha famiglia, o se ne ha – in genere fa matrimoni d’interesse – se ne tiene lontano. Né tantomeno colleghi – trova parola e categoria odiose! L’amante potrebbe passare. Ma generalmente, se etero, predilige un amico gay. O, ancora meglio, una di quelle eleganti spigolose single – che un tempo entravano con agio nella categoria “zitelle” – con cappellino e occhiali ad ala da pipistrello, di nobile casato o con generoso conto in banca. Meglio se tutt’e due.   

Che mostre predilige vedere, l’art snob?

Va ribadito che lo snob ha uno strano rapporto con l’arte. Essendo fondamentalmente un opportunista, frequenta per lo più i vernissage di amici o di pittrici mogli di ricchi banchieri. Questo per le due prime e inutili categorie. Lo snob “libero gentiluomo”, invece, quando individua un artista può divenirne anche il mecenate. Questo è, anzi, uno dei divertimenti che si concede. Lo si troverà quindi in giro per mostre poco pubblicizzate. O anche direttamente negli atelier degli artisti.

Va anche alle mostre blockbuster, o per l’appunto le snobba? E alle fiere?

Alle fiere? Ma per carità! Per le mostre blockbustersi può essere più possibilisti. Anche se in quel caso entriamo in una ulteriore sotto-categoria, lo snob pop…

Sì, ne parli nel tuo trattato… sarebbe quello che “ispirandosi a Andy Warhol, invece di snobbarla si appassiona alla cultura di massa”.

Lui! Il punto è che lo snob, in quanto tale, è convinto di poter fare e disfare tutto a suo piacimento. Distacco e ironia lo distinguono infatti dalla gente ordinaria cui si offre a modello. Quindi può trovare ben divertente Barbie. Ma allo stesso modo salutare con cinismo il rogo napoletano della Venere degli stracci di Pistoletto, ben consapevole che appiccare incendi è un’azione riprovevole, ma pur comprensibile in una città che, dopo decenni, ha finalmente debellato il problema “munnezza”!

Va bene, ma comprerà pure qualcosa. Avrà una sua collezione?

Colleziona opere per pochi. Quasi segrete. Misteriosa arte africana Ngil, per esempio. E comunque, volendo sempre arrivare prima degli altri sulle cose, quando gli altri ci arrivano se ne scosta. Quindi compra artisti ancora sconosciuti o addirittura generalmente disprezzati. Per dire, ora che viene acclamato come una star, ha rivenduto quegli Alex Katz che tutti prima consideravano un miserabile, ricavandone per di più una fortuna. Può anche avere a casa artisti acclamati, ma ne predilige le opere meno riconoscibili. Un Kiefer che sembra addirittura un impressionista, tipo quello bellissimo che ho visto da Paolo e Alessandra Barillari. L’Hirst più grottescamente gotico. Un disegno di David Hockney. Tra gli italiani, le anfore di Pizzi Cannella o i treni di Luca Pignatelli, le poltrone di Mambor, un olimpico Carlo Maria Mariani o un tetrissimo Stefano Di Stasio, alleggerito da un acquerello celeste di Nicola De Maria; o ancora, un floreale Felipe Cardeña, ma quello piace più al dandy, che è solo uno snob più colorato ed eccentrico. Detto questo cederebbe tutto quello che possiede per un polveroso Constable o un sublime Puvis de Chavannes. In questo caso, volendone acquistare, toccherà rivolgersi a Peter Glidewell, il più sublime degli art snob in Italì!

Ma insomma, alla fine si può davvero conciliare lo snobismo con il pop? Gli artisti più acclamati e più pop di oggi, da Jeff Koons con i suoi Ballon Dog a Murakami coi suoi fiori, potrebbero mai piacere ed essere collezionati allo snob di oggi?

L’art snob, per quanto warholianamente attratto dal consumismo – la sua celebrazione nell’arte –, non sopporterebbe certo di avere in casa un Ballon Dog assimilabile a tutti i fake che ci sono in giro. Per lo stesso motivo, detesta i fiori di Murakami persino sulle borse di Louis Vuitton, ora su tutte le bancarelle in versione fake, appunto. Insomma, c’è un limite a tutto. Anche per lo snob pop.

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