Filippo Riniolo, a Bari le sue eroine, fiere di essere donne

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Si intitola “Fiere” la mostra, curata da Claudia Attimonelli e aperta fino al 7 gennaio al Museo Civico di Bari, dell’artista e attivista Filippo Riniolo, milanese ma romano d’adozione, la cui ricerca spazia tra temi poetici, politici, storici e d’attualità, come il rapporto fra corpo e potere, i queer studies, gender studies e post-colonial studies. Nella sua produzione artistica, Riniolo mette in pratica una profonda ricerca filologica della cultura classica, medioevale e bizantina per descrivere fenomeni sociali e politici contemporanei attraverso fotografia, installazione, performance, soundart e video.

Gli abbiamo rivolto alcune domande per farci raccontare da cosa nasce la mostra, quali significati nasconde e più in generale l’origine della sua poetica.

Filippo, partiamo dal titolo della mostra, interamente dedicata alle donne – donne celebri nella storia del pensiero e donne anonime, come le madri migranti. È un titolo che mi sembra emblematico:Fiere”, come le donne che hai omaggiato, ma anche fiere che sono disposte a divorare il loro avversario per difendere le loro idee o i loro figli...

Le donne delle mie icone sono sia orgogliose che belve, hanno una grande dignità. In un momento complicato, in un passaggio della storia importante, non hanno nessuna invidia verso il maschile, sono orgogliose di essere ciò che sono.  E, secondo me, “fiere” è l’aggettivo giusto per rappresentare la postura di queste donne ribelli. Sì, indubbiamente ribelli.

Filippo Riniolo, Simone de Beauvoir, Tempera all’uovo e Foglia d’oro, c, 100×60, 2022. Courtesy Museo Civico di Bari/Traffic Gallery.


Le opere in mostra della serie “Le dieci filosofe del XX secolo” rappresentano Angela Davis, Simone de Beauvoir, Hannah Arendt, Simone Weil, Donna Haraway, Edith Stein, Naomi Klein, Carla Lonzi, Rosa Luxembrug e Judith Butler. Un’ aureola sormonta il loro volto indefinito – proprio perché in esso possa riconoscersi qualsiasi donna contemporanea – e attingono sia all’estetica pop che alla tradizione sacra. Queste donne che tu hai dipinto hanno rappresentato una rottura nella società…

Esatto, hanno rappresentato una frattura politica, storica e filosofica, quindi sono grandi donne ribelli e quindi fiere in tutte e due i sensi, orgogliose di quello che sono, di quello che pensano e anche indomabili.

Filippo Riniolo, Hannah Arendt, icona su tavola, tempera e foglia oro, cm 100x60x3, 2022.


Come ti è venuta quest’idea e perché hai voluto rappresentare proprio queste donne?

Il mio è un gesto femminista perché, se si pensa ai filosofi del Novecento, i primi nomi a comparire sono quelli maschili, Sartre, Russel, Nietzsche, e via dicendo. Difficilmente arriverà per primo il nome di una filosofa. In realtà le donne hanno avuto un enorme protagonismo nella filosofia novecentesca, ma la storiografia non le ha valorizzate abbastanza. E allora io ho provato a rileggere la storia, anche riconoscendo il ruolo fondamentale che le donne hanno avuto. Il Novecento ha avuto almeno dieci grandi filosofe, e io le ho volute valorizzare rendendole icone. La storiografia si fa anche attraverso l’iconografia. Se pensiamo alla rappresentazione iconografica dei grandi filosofi greci, pensiamo a Michelangelo, alla Scuola di Atene. E quindi con il mio lavoro ho cercato di dare una iconografia anche alle filosofe.

FilippoRiniolo, Eleison, Irpin, 2023. Una donna porta con sé il suo bambino mentre fugge dalla città di Irpin, a nord-ovest di Kiev, il 7 marzo 2022).

Accanto a questa serie dedicata alle grandi icone del Novecento, sono in mostra dieci acquerelli dal titolo Eleison, realizzati appunto proprio per il Museo barese. Sono novelle madonne rinascimentali, le madri migranti, provengono da Gaza, da Irpin, dall’Himalaya, dal Pakistan, e ci accolgono nell’abbraccio materno, non più solo immagini che scorrono in TV o sulla rete, ma icone del nostro tempo. Perché Eleison?

Amore in greco si può dire in molti modi diversi. Agape è l’amore puro e Philos è l’amicizia, Eros è l’amore erotico, Eleison è l’amore viscerale e profondo che una madre prova per il proprio figlio. Questo amore è forte, radicale, incondizionato ed è l’unico per il quale una persona rinuncia a tutto, anche alla propria vita.

Ha un senso che vengano esposte proprio al Museo di Bari?

A Bari da sempre convivono la teologia cattolica e la ortodossa, in entrambe all’inizio della dei riti si invoca Kyrie eleison, Christe eleison. Noi chiediamo al Christos che è Gesù, di amarci come una donna, come una madre. In italiano viene tradotto come Signore, pietà, ma non c’entra niente.

Anche questo, quindi, è un gesto femminista?

Certo, perché vorrei far emergere la dimensione femminile e materna di Dio.
Dio è anche madre, questo la teologia lo sa molto bene. Dio è sia madre che padre, è sia maschio che femmina. Il patriarcato ha costruito nel tempo un’idea solo maschile di Dio e noi dobbiamo riscoprirne la femminilità.

Filippo Riniolo, Eleison, 2023, Metuge. Una donna porta il suo bambino sulla schiena mentre cammina tra le capanne del campo per sfollati a Metuge il 9 dicembre 2020.

E questi dieci acquerelli lo fanno molto bene, perché rappresentano dieci donne, nel momento più drammatico della loro vita.

Queste donne mettono in pericolo la loro vita provando a salvare il proprio figlio, ma non lo abbandoneranno mai. Questo amore è l’amore di Cristo per l’umanità, non vedi la Madonna col Bambino, ma Dio nella sua dimensione femminile, materna. Per il linguaggio comune il maschile è universale, il femminile è un particolare, noi dobbiamo lavorare su Dio, che è l’universale per eccellenza, e attribuirgli, valorizzare e raccontare la sua femminilità.

La religione ha sicuramente condizionato un po’ tutta la nostra storia, il nostro modo di vedere.

E lo continua a fare, la discussione odierna sul maschile e sul femminile è ancora condizionata dalla religione e da stupidi stereotipi. E quindi la partita sul femminismo si gioca anche sul tema della teologia, faccio anche una critica a una certa cultura da cui vengo e provengo che snobba la religione come sciocchezze e credenze popolari e invece noi dobbiamo metterci a studiare la teologia e a decostruire lì dove si è incarnato il bipolarismo di genere, cioè all’interno della concezione filosofica. Credo che sia un corpus di nozioni da approfondire e da rileggere, decostruire, quindi, faccio un lavoro molto faticoso, controcorrente anche dentro l’ambiente progressista da cui vengo.

Che ruolo ha o può avere l’arte in questo?

Fondamentale: io credo che il sapere, la conoscenza e l’arte abbiano senso solo se servono a prendere posizione sul proprio tempo. Conoscere il passato senza prendere posizione contro le ingiustizie del tuo tempo non serve a niente, è solo nozionismo, di contro prendere posizione senza studiare porta a dire cose a caso, senza fondamento.
Il ruolo che hanno o dovrebbero avere la conoscenza e l’arte dovrebbe essere quello di aiutare le persone a farsi un’opinione e a leggere il proprio tempo. Per cui la Storia con la S maiuscola e la cronaca del nostro tempo si incontrano sempre trovando dei nessi relazionali.

Filippo Riniolo, Eleison, Warsaw, 2023, Marzo 2022: Una donna vista con in braccio il suo bambino alla stazione ferroviaria centrale di Varsavia.

È il caso dei tuoi recenti lavori, dove la tecnica antica bizantina incontra le filosofe del Novecento e le donne migranti.

Per me questi due elementi sono imprescindibili, se è solo bella pittura, ma non ci dice niente sul nostro tempo allora è decorazione, è arredamento, mentre se c’è un racconto, un’esperienza di vita vissuta, allora diventa un’opera d’arte. Nei miei acquerelli ci sono storie vere, c’è Gaza, l’Ucraina, c’è la strada.

Perché proprio la tecnica usata per le icone bizantine?

Ho vissuto ad Istanbul (l’antica Bisanzio) per un periodo nel 2015 e ci sono tornato l’anno scorso, ho conosciuto i monaci che usano ancora questa tecnica originale e complicata, perché dipende da molti fattori che non sono solo dati dall’artista. Il colore è una cosa da maneggiare con cura, perché sono pigmenti puri, che hanno una varietà di colori e una potenza cromatica che i colori industriali non producono.

Quindi c’è anche un’attenzione ai materiali usati che non sono industriali, ma naturali?

È la tecnica originale, io quando dipingo digiuno, come fanno i monaci ortodossi, perché le icone si scrivono, non si dipingono, sono la parola di Dio incarnata, quindi si deve rispettare un rito, una sacralità.

In effetti, se in ambito artistico l’icona è un’immagine sacra, tipica dell’arte bizantina, nella cultura digitale l’icona indica la piccola immagine sul desktop che rappresenta il file ad essa associato, mentre nell’ambito dello spettacolo, l’icona è un personaggio – attrice, calciatore, designer, gruppo musicale –, a cui viene attribuito tale status.

Non uso questa tecnica come vezzo creativo, ma la utilizzo perché ci dice qualcosa sul nostro tempo, altrimenti sarebbe manierismo. Il nostro tempo è quello delle icone.

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