Sentirsi a casa nel mondo: le installazioni di Do Ho Suh

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Le installazioni dell’artista sudcoreano Do Ho Suh rielaborano il concetto di casa  per affrontare temi legati alla migrazione l’identità e l’appartenenza.

Il concetto di patria, o più propriamente, di “casa”, di luogo che evoca un senso di appartenenza, ha da sempre caratterizzato la letteratura così come le arti figurative. Nella cultura tedesca, questo concetto è espresso con il termine heimat, un vocabolo che non trova un corrispettivo nella lingua inglese, italiana e in generale, nelle lingue neolatine. Spesso tradotto con “casa” o “piccola patria”, indica quel luogo in cui ci si sente a casa propria poiché vi si è nati, o vi si è trascorsa l’infanzia, o vi si è legati da affetti. Con l’avvento della globalizzazione, questo abusato concetto di casa, di porto sicuro, di heimat sembra aver ceduto il passo alla furia del dileguare. L’individuo stabile, radicato nel proprio territorio è stato lentamente soppiantato dal nomade, che non ha più storia ma solo geografia.

 

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Ed è proprio questo concetto di non appartenenza ad un luogo a caratterizzare l’intera opera del sudcoreano Do Ho Suh. Il celebre artista, secondo in patria solo a Nam June Paik e Lee U-Fan si appropria del concetto di casa, di spazio abitativo e ne fa il tema focale della propria arte. Le sue imponenti installazioni nascondono sottili riferimenti a temi attuali e profondi, quali la migrazione, l’identità dei luoghi e degli spazi. Le complesse opere sono senza dubbio il risultato della vita itinerante dell’artista che, abbandonata Seoul per proseguire gli studi negli Stati Uniti, è poi costretto ad altalenanti partenze da e per luoghi lontani e diversi, distanti nelle atmosfere così come nella cultura. Questo vagabondare porta Do Ho Suh a interrogarsi sul valore del concetto di casa e su come gli spazi abitativi determinino le nostre identità. La domanda che l’artista sembra voler porre al proprio pubblico è se abbia ancora senso parlare di appartenenza a un luogo e alla sua storia, specie alla luce dell’attuale contesto globalizzato. Egli non sente di appartenere interamente ai luoghi che abita poiché li sfiora appena e questo suo stato d’animo è rappresentato in maniera spettacolare dall’opera Home Within Home, un’istallazione site-specific realizzata per il National Museum of Modern and Contemporary Art di Seul.

 

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 Home Within Home è una riproduzione fedele, in scala 1:1, della struttura di due case che l’artista ha abitato. La prima, più grande, è la casa americana nel Rhode Island all’interno della quale è sospesa una seconda costruzione, più piccola e in tipico stile asiatico. Si tratta della casa paterna in cui l’artista ha trascorso i primi anni della sua infanzia. Do Ho Suh sceglie di realizzare l’opera in tessuti semitrasparenti e dai confini labili come a voler trasmettere l’idea di un rifiuto cosciente della permanenza, di una memoria annebbiata, di un’identità sospesa; conseguenze queste dei sempre più frequenti spostamenti. Allo stesso tempo, la leggerezza dei materiali è in forte contrasto con l’imponenza della struttura: le mura, elemento portante per antonomasia, suggeriscono l’idea di un qualcosa di rimovibile, di temporaneo, discostandosi nettamente da quel sentore di solidità e durevolezza tipicamente trasmesso dalle costruzioni ad uso abitativo.

 

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Il ricorso alla tecnica del “gigantismo” e quindi la scelta di riprodurre le strutture rispettandone la dimensione originaria è anch’essa ponderata. Lo scopo è quello di coinvolgere lo spettatore, di creare una memoria indelebile. Quest’ultimo diviene l’inquilino temporaneo della costruzione fantasma e, catapultato nella realtà dell’artista, ne comprende l’identità spaziale e psicologica. Camminando all’interno dell’opera si ha infatti la sensazione di trovarsi in una realtà sospesa, quasi spettrale, che trasmette perfettamente l’idea di non appartenenza a un luogo che forse non è mai esistito. L’opera di Do Ho Suh non provoca nostalgia. L’autore è abilissimo nello spingere il fruitore a porsi gli stessi interrogativi ai quali Home Within Home sembra voler rispondere: quali sono i confini dell’identità umana e qual è l’importanza da attribuire ai luoghi che ci accompagnano nel corso della vita? L’artista stravolge il concetto di casa, sinonimo di benessere, serenità e sicurezza, rappresentando lo spazio abitativo come un involucro trasparente, un luogo cedevole e di passaggio che verrà inesorabilmente sostituito. La casa non è un posto nel quale rifugiarsi bensì un luogo che disorienta, che destabilizza. L’opera di Do Ho Suh è memoria invisibile delle sue esperienze che, come le mura di Home Within Home tendono a dissolversi.

 

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Il medesimo concetto di volatilità, di temporaneità dello spazio abitato viene riproposto dall’artista sudcoreano nel 2016, con l’opera Passage/s. L’installazione, realizzata presso la Lehmann Maupin Gallery a Manhattan in concomitanza con il nuovo trasferimento a New York, ripropone tecnica e concetti di Home Within Home. Ancora una volta si tratta di un’installazione in scala 1:1 e realizzata con tessuto semitrasparente, raffigurante alcuni corridoi di colori diversi e in successione. Sono i corridoi delle case abitate dall’artista: a Seoul, Providence, New York, Berlino e Londra. Do Ho Suh sceglie nuovamente di rappresentare luoghi a lui familiari e con questi sconfessare il concetto di attaccamento, di stabilità. Percorrendo i corridoi, lo spettatore si trova proiettato in una meta-realtà che lo porta ad attraversare tre continenti, posti a pochi metri l’uno dall’altro. I luoghi del passato, i corridoi, non sono spazi in cui si incontrano i pensieri, i sogni e i ricordi dell’uomo. Quello che l’artista vuole comunicare con Passage/s è la migrazione territoriale, l’erranza post-nazionale, che oblitera il passato e proietta l’individuo verso un futuro ignoto e ancora una volta, temporaneo.

 

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