L’America degli anni ’50: l’umanità raccontata dai fotografi Magnum a Parma

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“La fotografia è un fenomeno strano…ti fidi del tuo occhio e non puoi fare a meno di mettere a nudo la tua anima

Inge Morath

The 1950s. Storie americane dei grandi fotografi di Magnum è “una bella storia” come spiega il curatore Marco Minuz. Una storia raccontata attraverso una selezione di immagini curata da Summer Jamboree – il più grande Festival Internazionale dedicato alla cultura americana degli anni ’40 e ’50 – in mostra a Parma al Palazzo del Governatore dal 7 ottobre al 10 dicembre.

In occasione della prima edizione del Winter Jamboree, 82 scatti di 14 tra i più grandi fotografi dell’agenzia Magnum Photos campeggiano tra le grandiose sale del palazzo raccontando l’essenza di un decennio all’apparenza spensierato, ma insitamente complesso.

È un decennio, questo, che rivela un’identità americana in continua evoluzione, un’America reale, come descrivono i testi all’ingresso della mostra, “con i suoi problemi e le sue difficoltà, ma anche con la sua straordinaria forza di guardare avanti”. Promossa dal Comune di Parma, Assessorato alla Cultura, Fiere di Parma, Regione Emilia-Romagna e Summer Jamboree che l’ha prodotta e organizzata in collaborazione con l’agenzia Magnum Photos e Suazes, la mostra fa rivivere alcuni tra gli scatti inediti e altri più celebri di fotografi della società Magnum. Tra essi: Eve Arnold, Werner Bischof, René Burri, Cornell Capa, Bruce Davidson, Elliott Erwitt, Leonard Freed, Burt Glinn, Philippe Hartmann, Bob Henriques, Wayne Miller, Inge Morath e Dennis Stock. La Magnum Photos è un’agenzia fotografica fondata da Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger, Maria Eisner e William Vandivert i quali, accomunati da un’esperienza di vita comune, ovvero aver raccontato attraverso le immagini il trauma del secondo conflitto mondiale, riuniti attorno a un tavolo del ristorante del MoMa di NY, danno avvio a una cooperativa finalizzata alla tutela dei diritti delle loro fotografie sull’utilizzo inappropriato delle stesse da parte delle riviste e dei giornali per cui lavorano.

Sin dall’ingresso dell’esposizione, sagome in cartonato a grandezza naturale popolano la grande sala accogliendo lo spettatore che sembra immergersi improvvisamente nello scintillio della brillantina, nella spensieratezza della gioventù americana, nel divismo più concreto, nell’entusiasmo contagioso degli anni d’oro del decennio post bellico. Una stanza pensata per divertirsi, come afferma un socio della Summer Jamboree: “Noi ci siamo divertiti a pensare l’esposizione e questa stanza rappresenta un po’ questo divertimento”.

Il percorso della mostra è libero, non prestabilito, guida lo spettatore, e al contempo sembra lo disorienti, in un susseguirsi di stanze di un buio soffuso, la cui luce è data da un faretto spot che illumina la fotografia che ci sta davanti, dietro, di fianco. Si è esploratori, di una traiettoria labirintica in cui si abbandonano i panni sgualciti della quotidianità per immergersi nella cultura americana del tempo.

Beauty class at the Helena Rubinstein Salon, New York, USA, 1958 © Inge Morath/Magnum Photos

Si comincia con una prima sala che accoglie il visitatore con la descrizione della società americana, animata da un rinnovato senso di ottimismo e fiducia per un futuro post-bellico. Luminose, come punti di riferimento, vi sono le fotografie di Inge Morath, prima donna che dal 1953 entra a far parte dell’agenzia, quelle di Leonard Freed, Eve Arnold tra le altre, e procedendo per la sala, si staglia un flipper appoggiato alla parete, anch’esso degli anni ’50. Come spiega Marco Minuz: “ci sono tre inserimenti che vedrete che ci consentono di rendere la mostra fotografica un po’ meno fredda, e che cercano di accompagnarci in modo travolgente in anni come questi”.

L’elemento determinante dell’esposizione è la costruzione spaziale per aree tematiche. Si entra in uno spazio riservato agli orizzonti, poi alle automobili, con fotografie di Cornell Capa (Rural highway 1959), Elliott Erwitt (Rear View mirar kiss, 1955) che immortala giovani amanti colti nello specchietto laterale di una macchina dell’epoca. Procedendo si è condotti a una sala dedicata alla cultura americana, poi alla gioventù americana, (Elliott Erwitt, Cheerleader, 1954; Eve Arnold, High school Students studying between classes, 1955). Il percorso continua al ritmo di musica, emessa da un jukebox e conduce il visitatore alla visione della sala dedicata ai divi americani, di cui determinanti sono le figure quali la dirompente Marylin Monroe (Philippe Halsman, American actress Marilyn Monroe, 1952), l’elegante Audrey Hepburn, gli affascinanti James Deane e Marlon Brando. Una parte determinante della mostra è dedicata al panorama culturale degli scrittori, come nel caso degli esponenti della Beat Generation con Jack Kerouac, William S. Burroughs, Allen Ginsberg che danno voce alla nuova generazione anticonformista americana animata da intenti di ribellione e di ricerca della libertà. Infine, si conclude con lo spazio dedicato ai musicisti catturati dall’obiettivo schietto dei fotografi in mostra, Elvis Presley, i The Drifters, Miles Davis, Louis Armstrong e altri.

American actress Marilyn MONROE, USA, 1952
© Philippe Halsman/Magnum Photos

Il fil rouge dell’esposizione è la storia degli anni ’50 vista dall’obiettivo di questi quattordici grandi autori, ma non solo. Tutte le fotografie di questi autori, con sensibilità e storie diverse, sono accomunati da una grande tensione verso l’umanità, verso le persone. “Quindi vedrete” – afferma Muniz – “una carrellata di volti, di occhi, di persone, che sono proprio il fil rouge che si sviluppa in tutti questi anni nella storia di questa agenzia fotografica”. E ancora una volta al centro è lo spettatore che – secondo il curatore – è il protagonista. “Ognuno di voi è proprietario del proprio percorso, e può girare liberamente all’interno di queste stanze. Oltre che una bella mostra, vorremmo che fosse un esercizio di osservare. Osservare diventa per lo spettatore uno stare davanti. Le fotografie, i volti, le persone che guardiamo, sembrano guardarci a loro volta in un’eco di rimandi visivi che ci avvicinano a quella gente, invece, così temporalmente lontana. L’intento è la riflessione condotta da questi grandi autori che hanno cercato di andar oltre la superficie”.

High school teenagers at a coffee shop, Port Jefferson, New York, USA, 1956
© Eve Arnold/Magnum Photos

L’obiettivo dei fotografi – come affermato da Marco Muniz – è cercare di avvicinarsi alla realtà e di essere schietti, neutri, di non modificarla. The 1950s. Storie americane dei grandi fotografi di Magnum sembra condividere l’essenza di quanto teorizzato dalla critica d’arte Lucy Lippard a proposito dell’arte Pop. La definisce un’arte estroversa poiché “arriva al dunque istantaneamente”. Qui, anche la fotografia diviene estroversa, perché pare disposta a portare l’arte verso la vita, verso le cose, verso il mondo. Un mondo che i fotografi in questione catturano in un”istante decisivo” alla Cartier-Bresson, in una volontà di avvicinarsi alle persone, ai fatti, allo scorrere della vita in Robert Capa, al bisogno di utilizzare la fotografia come necessità esistenziale, come testimonianza in Inge Morath, così come in Dennis Stock, Elliott Erwitt, Eve Arnold, Philippe Hartmann e tutti gli altri autori qui in mostra. “Ama le persone e faglielo capire” diceva Robert Capa, e questi autori, con le loro Rolleiflex, Leica, Contax e così via, hanno narrato non solo la storia dell’America in un decennio ingarbugliato ed entusiasta, ma più in generale, hanno raccontato la storia dell’umanità.

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