L’altra metà della pittura

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Le donne oggi dipingono: molto, anche in Italia. Al di là delle difficoltà che la pittura ha vissuto per decenni, accusata di essere poco “contemporanea”. Forse perché le donne artiste sono già abituate a fare parte di una minoranza. Una più una meno, dunque, non fa una grande differenza. 

Chi mi legge sa quanto io sia restia a creare campi chiusi e ghetti di genere. Se mi si chiede, però, espressamente uno sguardo sul femminile, sono costretta a rendermi conto che l’orizzonte è ancora disseminato di paletti e confini e che dunque un discorso sull’arte delle donne ha senso. E ha senso sottolineare quanto le donne stiano facendo oggi in Italia per la pittura.

Guardandomi intorno, tra le artiste con cui regolarmente lavoro, individuo quattro grandi campi d’azione. Il primo è quello che ho voluto chiamare “poesia del paesaggio”. Lo trovo particolarmente interessante perché il paesaggio non è uno spazio tradizionalmente femminile: nel passato la donna ha parlato soprattutto di corpo, di viso (tanto autoritratto, tanto guardarsi dentro). Eppure oggi il paesaggio domina. Le artiste che lo praticano sono le figlie delle campiture pastose di Gabriele Münter, delle trasfigurazioni oniriche di Georgia O’Keeffe, e raccontano un paesaggio poetico, ripensato, difficilmente definito con lo sguardo analitico del reporter. Cielo e foreste, mari e alberi stemperano in astrazioni emotive, come nei lavori materici di Alessandra Rovelli o in quelli eterei di Samantha Torrisi; si fanno pittura germinante, ai limiti dell’astratto, nella puntuale osservazione della natura di Linda Carrara così come nel ripensamento del dripping operato da Cristina Lefter. Oppure si sfaldano in bagliori neoimpressionisti, come nei panorami milanesi di Marina Previtali, negli interni intessuti di memorie di Tina Sgrò, nelle notti vibranti di Mariarosaria Stigliano o nella folla in fuga di Liliana Cecchin.

Il corpo è ancora tra i soggetti più amati, tuttavia. Si tratta però di un corpo diverso, rielaborato dalla complessità del suo bagaglio di potenzialità – la maternità – e dal fatto che, come dice con esattezza chirurgica Rossana Rossanda, “la donna non può non vedersi ‘vista’. E il dover fare i conti con questa immagine coattiva complica il rapporto femminile con il corpo”. Le artiste che hanno messo al centro della loro pittura il corpo hanno madri che vanno da Frida Kahlo a Maria Lassnig, fino a Jenny Saville. Se Erica Campanella e Jara Marzulli propongono ancora una femminilità integra, ispirata alla tradizione e alla classicità, il racconto del corpo è spesso abitato da donne evanescenti, fantasmatiche, come nelle figure trasparenti di sapore orientaleggiante di Valeria Patrizi, nei volti di Francesca Candito, che ci scrutano dal buio, o nelle fanciulle di Evita Andujar, sdoppiate nello spazio come se non vi trovassero pace. A volte sono donne che si spezzano e si rimontano in un continuo ripensamento del sé (nei lavori del duo Cavallaro e Martegani) e restano forse solo le guerriere di Elena Monzo, femmine alfa fuori dal tempo, a riscattarci.

Esiste poi, nella pittura femminile, un filone che mi piace definire analitico, ma che non si può – come del resto quasi nulla, oggi – ridurre a movimento, vista la profonda diversità delle voci. Queste artiste, eredi di figure come Natalia Goncarova o Benedetta Cappa, ma anche della poesia astratta di Agnes Martin e di Bice Lazzari, sono Marica Fasoli, con la sua minuziosa distruzione dell’origami per restituirlo in pittura attraverso le pieghe della carta, Ieva Petersone e Marta Mezynska, che riducono interni e facciate a pulitissime campiture geometriche; Valentina Ceci, capace di rendere icone di bellezza gelide architetture d’acciaio; Anna Caruso, con la sua decostruzione ordinata degli spazi; e Sabrina Milazzo, che analizza il reale attraverso un pennello affilato come un bisturi riproponendocelo in full HD. 

E infine ci sono le favole, che le artiste amano raccontare e raccontarsi: liriche e un po’ terrificanti sull’onda di Leonora Carrington e di Remedios Varo, o magiche e brutali come quelle di Kiki Smith o di Paula Rego. Ecco allora i paesaggi fatati di Alessandra Carloni, i dialoghi segreti tra animali e adolescenti di Claudia Giraudo, il bestiario mitologico di Giulia Ronchetti; ecco le atmosfere neosurrealiste di Irene Balia e di Ilaria del Monte, tra oggetti simbolici e rituali misteriosi. E ancora ecco le infiorescenze infestanti di Tamara Ferioli, intessute dei suoi capelli come filtri magici, ecco i labirinti abitati da creature fantastiche di Marianna Bussola. E gli ambienti domestici di Loredana Galante, scompigliati dagli scherzi della memoria e ripensati in paesaggi emotivi.

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