Il Copyright e la supremazia del pensiero creativo al tempo dell’IA

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Come reagireste se si scoprisse che “La Gioconda” di Leonardo o “Guernica” di Picasso non fossero state dipinte dai due artisti, ma fossero state totalmente eseguite da loro aiutanti e collaboratori? Il primato estetico-culturale di questi due capolavori universali della storia dell’arte rimarrebbe intatto o subirebbe un declassamento valoriale?

La domanda è provocatoria, tuttavia il lettore consideri che parte dell’arte creata nell’ultimo secolo e, particolarmente negli ultimi decenni, è stata un’arte delle idee piuttosto che un manufatto tangibile che si mostra attraverso la sua interfaccia estetica. E la digitalizzazione delle immagini non poteva che accelerare il processo di dematerializzazione dell’arte stessa, visto che, da un ventennio almeno, è ormai prassi corrente l’utilizzo di strumenti digitali nella creazione di opere d’arte. 

Ma oggi, con l’avvento dell’intelligenza artificiale applicata alle immagini, questa nuova tecnologia rivoluzionerà ulteriormente il processo creativo? Non possiamo negarlo, qualcosa di imprevedibile è accaduto, ma il cambiamento introdotto dall’IA sarà davvero così sconvolgente come appare a prima vista? Facciamo un passo indietro per comprendere meglio come lo slittamento dell’arte da materia fisica verso l’idea pura arrivi da lontano.

IDEA E PROGETTO, OVVERO LA MENTE E LA MANO 

Fin dai tempi più remoti la prima scintilla del processo creativo dell’uomo – non solo in campo artistico – è scaturita sempre nel pensiero della sua mente. Nell’arte del passato l’iniziale trasferimento dall’idea alla materia era solitamente affidato a uno schizzo veloce su carta per fissare la cosa immaginata, seguito poi dal disegno preparatorio e dalle fasi successive che costituivano il progetto tecnico fino all’opera ultimata.  

Sorvolando su quei movimenti, o singoli artisti che hanno apportato varianti parziali a tale prassi, il primo artista che eliminò totalmente l’aspetto progettuale fu il dadaista Marcel Duchamp. Egli nel 1917 ideando (non “creando”) il ready-made “Fontana” volle spostare l’attenzione dalla materialità dell’oggetto al puro pensiero intellettuale, per cui il valore, secondo Duchamp, non era più costituito dall’oggetto in sé ma dal suo atto culturale nell’averlo scelto. Non so se Duchamp si fosse ispirato al pensiero di Leonardo come ce lo ha raccontato il Vasari: Vedesi bene che Lionardo per l’intelligenza de l’arte cominciò molte cose e nessuna mai ne finì, parendoli che la mano aggiugnere non potesse alla perfezzione dell’arte ne le cose, che egli si imaginava, conciò sia che si formava nell’idea alcune difficultà sottili e tanto maravigliose, che con le mani, ancora ch’elle fussero eccellentissime, non si sarebbono espresse mai (Giorgio Vasari “Le vite”, ca 1547); sta di fatto che sulle premesse teoriche di Duchamp negli anni ’60 si sviluppò il filone dell’Arte concettuale che dura tutt’ora, il quale focalizza la sua azione sull’idea creativa e non più sull’aspetto percettivo-materico ed estetico dell’opera d’arte.

IA GENERATIVA DI DALL-E

ChatGPT è stata sviluppata da OpenAI, startup americana no-profit fondata nel 2015 da Sam Altman ed Elon Musk, e poi fortemente finanziata da Bill Gates, la cui finalità del suo sviluppo non sarebbe speculativa ma dovrebbe andare a beneficio dell’intera umanità; esulano qui dalla nostra argomentazione le implicazioni etiche, sociali, occupazionali ed economiche quali ricadute dalla sua applicazione e diffusione. In pratica basterà dare a questo software una semplice istruzione testuale (prompt) e in pochi secondi ChatGPT ci creerà alcune immagini (text to image).  

La cosa che distingue ChatGPT da un comune motore di ricerca è la sua capacità di generare immagini nuove, inedite, che altro non sono che un “mescolamento”, una sintesi elaborata dal suo algoritmo tra le innumerevoli immagini circolanti nel web (o residenti nel suo enorme database?), coerenti con la stringa di testo che abbiamo digitato. 

Seppure il sistema ChatGPT/DALLE-E.3  a prima vista può suscitare meraviglia, in realtà al momento l’applicazione ha parecchi limiti e imperfezioni, poiché le immagini create presentano spesso evidenti errori e incongruenze, per non dire della bassa risoluzione dei file rilasciati solo nel formato .jpg (1024 pixel per lato), buone per pubblicazioni sul web ma non per un uso professionale; inoltre, ChatGPT è stato addestrato per rifiutare i temi inerenti la discriminazione di genere, razziale e religiosa, la violenza, le armi, il nudo e tutto ciò che potrebbe rasentare l’illegalità, comportandosi come una macchina che applica la filosofia del politically correct. Ed è per tale motivo che sono anche bandite le richieste su personaggi pubblici famosi quali capi di stato, politici, attori, ecc., che potrebbero alimentare fake news, censura necessaria e condivisibile che però circoscrive drasticamente le potenzialità immaginative degli artisti. 

DIVENTEREMO TUTTI ARTISTI?

Circola tra i non addetti ai lavori l’opinione che con tale potente strumento a disposizione, tutti possono creare opere d’arte. È una grossolana semplificazione perché ChatGPT non è nient’altro che una macchina, un servo sciocco che esegue, spesso male, i comandi che gli si impartiscono, perciò l’utilizzo di queste immagini sta nel know-how di chi la usa. Probabilmente col tempo diventerà una tecnologia sempre più perfetta, ma ciò non cambia i termini concettuali della questione.

Nel momento in cui un artista adopera un’immagine creata da IA la pone in dialogo con la sua cultura, con la storia dell’arte, col proprio vissuto interiore, col proprio stato d’animo e, soprattutto, la connette con il percorso di maturazione stilistica cui è giunto fino a quel momento. Ecco, tutto questo non può accadere al ragioniere Brambilla che usa l’IA, che magari si divertirà un mondo, ma nulla di più. Allo stesso modo tutti sono capaci di premere il pulsante di scatto di una fotocamera davanti a un panorama, o in una festa di compleanno, ma non tutti sanno realizzare fotografie con la qualità di Ansel Adams, Sebastião Salgado o Helmut Newton. C’è un’efficace definizione della fotografia (artistica) del fotografo-editore siciliano Enzo Sellerio (1924-2012): in certi stati di grazia scatta un telemetro interiore che fa coincidere quello che si vede con quello che si sa. È proprioquello che si saa fare la differenza. Comunque anche tra gli artisti vi sono favorevoli e contrari a tale tecnologia, perciò quelli che la usano (AI artist) la considerano una naturale evoluzione dei software di fotoritocco come Photoshop, e altri che invece la percepiscono come una minaccia, soprattutto per le implicazioni occupazionali e, ancor di più, per la problematizzazione che essa produce nell’ambito del diritto d’autore.

IL DIRITTO D’AUTORE

Abbiamo visto come l’IA generando immagini inedite, ha aggirato il copyright, principio confermato dalla “Corte del distretto della Columbia ha pronunciato una decisione significativa lo scorso 18 agosto 2023, stabilendo che le opere create autonomamente tramite sistemi automatizzati non possono godere della protezione del diritto d’autore” (lentepubblica.it, 28 Settembre 2023).

Tuttavia, bisognerebbe indagare se le immagini originarie che usano i vari software generativi sono libere da diritti, e se non lo sono i loro autori andrebbero compensati. L’agenzia fotografica Shutterstoch dal 2021 usa l’IA, e Lúí Smyth, responsabile del settore IA, non ha dubbi: ”Il copyright è di nessuno, i guadagni di tutti” (Bruno Ruffili, Repubblica, 14 ottobre 2023). Sta di fatto che Shutterstoch ha un contenzioso aperto con Wikimedia che la accusa di avere utilizzato immagini dal suo sito senza autorizzazione. 

Nel più specifico ambito artistico il problema spinoso dell’attribuzione del copyright si pone quando l’opera non è materialmente eseguita dal suo iniziale ideatore. Ciò interroga il sistema dell’arte soprattutto per la sempre più diffusa concettualizzazione dell’arte contemporanea. In alcuni casi lo sdoppiamento tra artisti e artefici è inevitabile, pensiamo agli impacchettamenti monumentali di Christo. Altre volte, in un contesto di lavori eseguibili in un normale atelier, è invece discutibile.

In minore misura ciò avveniva anche nelle botteghe rinascimentali, quando il maestro titolare faceva eseguire alcune parti dell’opera ai suoi aiutanti, ma si trattava di interventi parziali. Su una dimensione di produzione seriale possiamo considerare la Factory di Andy Wharol, che negli anni Sessanta impiegava decine di assistenti per realizzare le sue serigrafie.

Si sa che l’artista affida a laboratori specializzati l’esecuzione delle sue composizioni, per es. le litografie o le fusioni in bronzo, ma in questo caso si tratta di tradurre con un’altra tecnica quello che l’artista ha già formalizzato con il disegno, la pittura o un bozzetto plastico.

Recentemente è venuto alla ribalta un clamoroso conflitto legale, tra il noto artista italiano Maurizio Cattelan e lo scultore francese Daniel Druet, al quale Cattelan aveva commissionato la realizzazione 9 sculture iperrealiste tra il 1999 e il 2006, pagandogliele intorno ai 30.000 euro ciascuna, che poi Cattelan rivendeva a milioni di euro. Druet ha portato Cattelan in tribunale, rivendicando per sé il diritto esclusivo delle sculture, battendosi contro “tutti gli artisti che usano il lavoro degli altri per promuovere sé stessi”.

Egli sostiene che le indicazioni dategli da Cattelan erano molto vaghe: Mi ha mandato un fax di dieci righe oppure i suoi colleghi italiani, che parlavano a malapena il francese, mi hanno dato delle istruzioni”, racconta Daniel Druet. Era tutto piuttosto vago e toccava a me capirlo. (Pascale Nivelle, Le Monde, 1maggio 2022). Ma i giudici francesi hanno rigettato la sua richiesta: “La justice donne raison à Maurizio Cattelan contre Daniel Druet (Emmanuelle Jardonnet, Le Monde, 8 luglio 2022). Per me hanno sbagliato entrambi, Druet con la sua improbabile pretesa, comunque eccessiva, ma anche la star Cattelan non citandolo mai nei cataloghi e nemmeno invitandolo alle sue mostre, confinando così il suo primario collaboratore in un anonimato che denota mancanza di sensibilità umana oltre che culturale. Forse sarebbe più corretto scrivere nelle didascalie “opera di Maurizio Cattelan, realizzata da Daniel Druet”.

Due opere di Maurizio Cattelan realizzate dallo scultore Daniel Druet, “La nona ora” del 1999, e “Him” del 2001

Quello che non ha ottenuto Druet è invece riuscito a Clare Torry nel 2005, la vocalist che ha contribuito all’incisione del celebre album dei Pink Floyd “The Dark Side of the Moon” del 1973, cantando nel brano “The Great Gig in the Sky” il famoso assolo da brividi. In sala d’incisione alla cantante era stato detto di improvvisare, quindi il giudice le ha riconosciuto di essere co-autrice del brano assieme a Richard Wright.

Nell’ambito delle arti visive, a mio avviso tali contraddizioni accadono perché la qualità formale delle opere è oggi poco considerata, anzi è proprio sparita dal dibattito culturale, mentre l’aspetto contenutistico-filosofico-concettuale è diventato soverchiante nell’attribuire valore a un’opera. E se pure consideriamo il cruccio leonardesco della minorità della mano rispetto al suo pensiero, senza la tangibilità delle sue opere non avremmo potuto godere della sua poliedrica genialità, poiché la mano altro non è stata che l’appendice del suo cervello: due aspetti inscindibili e complementari del suo essere che lo hanno reso eterno nella storia dell’umanità.

Caravaggio “San Matteo e l’angelo”, 1602, San Luigi dei Francesi, Roma. In questa iconografia è molto eloquente la trasmissione della parola di Dio a Matteo, dettata dall’angelo suo messaggero.

Come ultima riflessione sulla indiscussa, o presunta supremazia del pensiero sulla forma, rammento che la Bibbia fu scritta su ispirazione divina, e quella impressa sulle pagine di carta sarebbe di conseguenza la “parola di Dio”, che quindi ne detiene legalmente il copyright. 

Non sarà un problema di poco conto fargli avere i proventi del più grande best seller di tutti i tempi. 

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